L’imputato dichiarato assente è tenuto a indicare un domicilio che renda più facile il processo di notifica dell’atto di impugnazione (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 30 ottobre 2023, n. 43718).

REPUBBUCA ITAUANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

QUARTA SEZIONE PENALE

Composta da:

Dott. PATRIZIA PICCIALLI -Presidente-

Dott. DONATELLA FERRANTI -Consigliere-

Dott. LUCIA VIGNALE -Consigliere-

Dott. VINCENZO PEZZELLA -Relatore-

Dott. FABIO ANTEZZA -Consigliere-

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(omissis) (omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 09/01/2023 della CORTE APPELLO di ROMA;

visti gli atti, ii provvedimento impugnato e ii ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA;

udito ii Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa SILVIA SALVADORI che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito il difensore avvocato (omissis) (omissis) del  foro di Roma, in sostituzione, per delega orale, dell’avvocato (omissis) (omissis) in difesa di (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) che si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.

RITENUTO IN ATTO

1. Con sentenza del 9/1/2023 la Corte di Appello di Roma, concesse all’imputato la non menzione della condanna e ordinata la restituzione della somma di danaro in sequestro, ha confermato l’affermazione di responsabilità di (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) di cui alla sentenza del Tribunale di Roma in composizione monocratica del 12/1/2019 per il reato di cui all’art. 73 co. 5 (così qualificati i fatti di cui all’imputazione commesso in (omissis) (cessione a (omissis) (omissis) di g. 0,90 di cocaina).

II giudice di primo grado, all’esito di giudizio abbreviato seguito a processo per direttissima, aveva condannato l’odierno ricorrente, con le concesse circo­stanze attenuanti generiche e la riduzione per il rito, alla pena condizionalmente sospesa di mesi 5, giorni 10 di reclusione ed euro 3000 di multa.

I fatti, per quello che rileva in questa sede, venivano ricostruito dai giudici di merito come segue.

L’imputato, il (omissis) veniva notato da personale della Guardia di Finanza in (omissis), nota zona di “spaccio”, essere avvicinato, mentre si trovava in atteggiamento di attesa nei pressi del (omissis) da un soggetto, successivamente identificato, in (omissis) al quale dopo un breve colloquio, consegnava degli involucri in cambio di alcune banconote.

Gli operanti, a quel punto, intervenivano e riuscivano a fermare i due nonostante un tentativo di fuga e rinvenivano la somma di circa 125,00 euro e n. 3 involucri risultati contenere, a seguito di consulenza tecnica, cocaina pari a gr. 0,216 di principio attivo da cui e ricavabile una singola dose. A seguito di perquisizione l’imputato veniva trovato in possesso di ulteriori euro 800,00. Arrestato, all’udienza di convalida l’imputato si avvaleva della facoltà di non rispondere.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) (omissis) deducendo, i motivi, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art:. 173, co. 1, disp. att., cod. proc. pen.

Con ii primo motivo ii ricorrente chiede sollevarsi questione di legittimità co­stituzionale degli artt. 581co. 1 ter e 1 quater cod. proc. pen. introdotti dal d.lgs. 150/2022, in relazione agli artt. 3, 24, 25 e 111 Cost., avendo tali norme – nell’in­trodurre l’obbligo di sottoscrizione di una dichiarazione o elezione di domicilio e un mandato ad impugnare a pena di inammissibilità dell’impugnazione, creato una disparita di trattamento in capo agli imputati dichiarati assenti (gravati anch’essi da tali obblighi), rispetto agli imputati presenti, creando così le condizioni per la violazione del diritto di difesa degli imputati assenti, tanto più se gli stessi assistititi da difensori d’ufficio gravati da una difficoltoso onere di reperimento del proprio assistito.

Con ii secondo motivo, si deduce nullità della sentenza per omessa notifica del decreto di fissazione dell’udienza dinanzi alla Corte di Appello nella lingua dell’imputato straniero.

Con ii terzo motivo di ricorso si lamentano violazione degli artt. 125 co. 3, 546 co. 1 lett. e) cod. proc. pen. e 73-75 d.P.R. 309/90 e vizio di motivazione in punto di affermazione di penale responsabilità laddove la Corte territoriale non ha riconosciuto l’uso personale dello stupefacente caduto in sequestro.

In particolare, si deduce che il giudice di appello non avesse il potere di integrare la sentenza impugnata perché così facendo ha omesso di censurare le lacune argomentative di quella che le erano state proposte con l’atto di gravame nel merito.

Con ii quarto motivo di ricorso si deduce inosservanza ovvero erronea applicazione della legge penale nonché illogicità della motivazione laddove la Corte ter­ritoriale non ha riconosciuto la particolare tenuità del fatto ai sensi dell’articolo 131 bis cod. pen.

II ricorrente richiama la motivazione di pag. 3 della sentenza impugnata posta alla base del diniego e ritiene che la stessa sia viziata da illogicità, atteso che non e stato presa in considerazione lo stato di incensurato dell’odierno ricorrente al fine di stabilire l’occasionalità della sua condotta. Si evidenzia poi che la Corte territoriale ha motivato il rigetto con il possesso non giustificato di quegli ulteriori 800 euro di cui poi ha risposto la restituzione in assenza di prova del collegamento con la vendita dello stupefacente oggetto del presente provvedimento.

Con ii quinto motivo di ricorso si lamenta inosservanza ovvero erronea applicazione e l’articolo 125 co. 3 cod. proc. pen. e dell’articolo 133 cod. pen. ed illogi­cità della motivazione laddove il giudice di merito avrebbe irrogato una pena palesemente ed eccessivamente afflittiva, ritenendo la non occasionalità della condotta senza motivare nella dovuta maniera logica ed analitica l’eccessivo discosta­mento dal parametro minimo edittale, tenendo tra l’altro conto delle diminuente dovute al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed alla scelta del rito.

Chiede, pertanto, preliminarmente dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata la proposta questione di legittimità costituzionale dell’articolo 581 co. 1- ter e 1-quater cod. proc. pen. in relazione agli artt. 3, 20, 24, 27 Cost., in via subordinata di voler dichiarare come rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 89 co. 3 D.lgs  150/2002 sempre in relazione agli articoli 3, 24, 27, 111 Cost.; annullarsi in ogni caso la sentenza impugnata.

3. II PG presso questa Corte ha presentato in data 6/9/2023 memoria scritta con cui ha anticipato le proprie conclusioni.

Le parti hanno concluso in pubblica udienza come riportato in epigrafe.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. II ricorso e inammissibile in quanto proposto da difensore privo dello specifico mandato ad impugnare di cui all’art. 581 co. 1 quater proc. pen.

2. Ed invero il Collegio ritiene che la proposta questione di legittimità costituzionale sia manifestamente infondata.

II ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale degli artt. 89 d.lgs 150/22 e 581 co. 1 ter e 1 quater cod. proc. pen. per violazione dei principi di uguaglianza, effettività della tutela giurisdizionale, presunzione di non colpevo­lezza e giusto processo, di cui agli artt. 3, 24, 27 e 111 della Costituzione e dell’art. 6 CEDU.

L’art. 581 co. 1 ter e 1 quater cod. proc. pen. (cosi come introdotti dall’art. 33 del d.lgs. 150/2022, la c.d. Riforma Cartabia) richiede che unitamente all’atto di impugnazione delle parti private e dei difensori sia depositata, a pena di inam­missibilità, la dichiarazione o l’elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio (art. 581 co. 1 ter), nonché, ove trattasi di imputato rispetto al quale si é proceduto in assenza che, unitamente all’atto di ap­pello sia depositato, a pena di inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato ai fini della notificazione del decreto che di-spone ii giudizio (art. 581 co. 1 quater).

Tale disposizione, ai sensi dell’art. 89 co. 3 d.lgs. 150/2022, si applica per le impugnazioni proposte avverso le sentenze pronunciate in data successiva all’entrata in vigore del succitato decreto, ossia dopo ii 30/12/2022.

3. Orbene, la proposta questione si palesa rilevante ai fini dell’odierno decidere -ed assorbente rispetto agli altri motivi proposti- ancorché la Corte di Appello di Roma, che pure ha pronunciato la sentenza impugnata il 9/1/2023, ovvero in data successiva al 30/12/2022, non abbia ritenuto, come pure avrebbe potuto, di pronunciarsi per l’inammissibilità dell’appello proposto in assenza dello specifico mandato.

II Collegio ritiene, infatti, di confermare l’orientamento espresso da Sez. 5 n. 39166 del 4/7/2023, Nappi, non mass., alla cui articolata e condivisibile motiva­ zione si rimanda, secondo cui sono applicabili al ricorso per cassazione proposto dall’imputato, nei cui confronti si sia proceduto in assenza, gli specifici oneri formali  previsti dall’art. 581, co. 1 quater cod. proc. pen. come novellato dall’art. 33 co. 1 lett. d) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, posto che tale norma rientra tra le disposizioni generali relative alle impugnazioni valevoli, in mancanza di indici normativi di segno contrario, anche per ii ricorso per cassazione, non potendo essere intesa nel senso di consentire l’impugnazione di legittimità nell’interesse dell’imputato assente secondo un regime meno rigoroso di quello vigente per l’appello ed essendo funzionale a garantire a quest’ultimo l’esercizio consapevole del diritto di impugnazione.

Come rileva Sez. 5 n. 39166/2023 sotto tale profilo e utile richiamare Sez. U, 8825 del 27/10/2016 – dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822, la quale (argomentando in relazione all’ordito normative anteriore alle modifiche introdotte dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, con considerazioni che senz’altro conse1·vano rilievo anche per la disciplina successivamente posta) ha rimarcato come 1 li artt. 581 e 591 cod. proc. pen., che disciplinano i requisiti formali e sostanziali c:ui deve sottostare l’atto introduttivo» del giudizio di impugnazione, si collochino entrambi nel Titolo I (“Disposizioni generali”») del Libro IX (“Impugnazioni”) e siano, perciò, certamente applicabili sia all’appello che al ricorso per cassazione.

4. Detto della rilevanza della proposta questione, ritiene, tuttavia il Collegio che la stessa sia manifestamente infondata.

Va subito detto che la doglianza secondo cui l’introduzione di tali norme stravolgerebbe il sistema delle impugnazioni, a cominciare dalla legittimazione all’impugnazione disciplinata dall’art. 571 cod. proc. pen., appare generica e non connotata da concreta specificità e pertinenza censoria.

Il d. lgs. 10 ottobre 2022, n.150 e stato adottato sulla base della delega legislativa conferita dalla legge 27 settembre 2021, n.134 («Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e di­sposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari») e che la nuova disposizione dell’art.581, co. 1 ter, cod. proc. pen., così come sopra riportata, riproduce pedissequamente quanta previsto dall’art. 1, comma 13, lett. a) della legge delega: «fermo restando il criterio di cui al comma 7, lettera h), dettato per ii processo in assenza, prevedere che con l’atto di impugnazione, a pena di inam­missibilità, sia depositata dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notifica­zione dell’atto introduttivo del giudizio di impugnazione».

Nella Relazione illustrativa al d.lgs. n.150/2022 si legge «II comma 1 ter dell’art. 581 cod. proc. pen., in attuazione del criterio di cui all’art. 1, comma 13, lett. a) della legge delega, introduce un’ulteriore condizione di ammissibilità dell’impugnazione: con l’atto d’impugnazione deve essere presentata la dichiara­ zione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione. In caso di impugnazione del difensore dell’imputato assente, pe1- attuare la delega sono aumentati di quindici giorni  termini per impugnare previsti dall’art. 585, comma l».

Analogo riscontro, nella relazione che ha accompagnato la legge, vi é per l’art. 581 co. 1 quater.

Lo scopo manifesto della novella legislativa, come ricorda lo stesso ricor­rente, e quello di selezionare in entrata le impugnazioni, caducando quelle che non siano espressione di una scelta ponderata e rinnovata, in limine impugnationis, ad opera della parte.

Ebbene, ritiene il Collegio che si tratti di una norma che appare del tutto ragionevole ed esercizio di una legittima scelta discrezionale attribuita al legisla­tore, e che non collide con alcuna delle norme costituzionali invocate.

5. L’asserito contrasto con i principi costituzionali poggia su un’indimostrata restrizione della facoltà d’impugnazione che deriverebbe dal chiedere all’imputato, assente per sua scelta al processo che lo ha riguardato di cui pure era stato posto a conoscenza, di indicare un domicilio che renda più agevole ii processo di notificazione dell’atto d’impugnazione e, soprattutto, di rinnovare la propria volontà di proseguire in un ulteriore grado di giudizio, con possibili conseguenze negative per lui, quanta meno sotto il profilo della possibile condanna ad ulteriori spese.

La sentenza della Corte costituzionale n.34 del 26 febbraio 2020 – che si e pronunciata nel senso della manifesta infondatezza dei motivi proposti in un caso in cui, nel proporre il gravame, il Procuratore generale aveva eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 593 cod. proc. pen., come sostituito dall’art. 2, co. 1, lett. a), del d.lgs. n. 11 del 2018, nella parte in cui prevede che il pubblico ministero possa appellare contra le sentenze di condanna «solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto spe­ciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato» – ricorda essere costante, l’affermazione per cui «nel processo penale, il principio di parità tra accusa e difesa non comporta necessariamente l’identità tra i poteri processuali del pubblico ministero e quelli dell’imputato: potendo una disparita di trattamento «risultare giustificata, nei limiti della ragionevolezza, sia dalla pecu­liare posizione istituzionale del pubblico ministero, sia dalla funzione allo stesso affidata, sia da esigenze connesse alla corretta amministrazione della giustizia» (sentenze n. 320, n. 26 del 2007 e, nello stesso senso, n. 298 del 2008; ordinanze 46 del 2004, n. 165 del 2003, n. 347 del 2002 e n. 421 del 2001; quanta alla giurisprudenza anteriore alla legge cost. n. 2 del 1999, nello stesso senso indicato, sentenze n. 98 del 1994, n. 432 del 1992 en. 363 del 1991; ordinanze n. 426 del 1998, n. 324 del 1994 en. 305 del 1992)».

E nella stessa si ribadisce che il processo penale é caratterizzato da una asimmetria «strutturale» tra i due antagonisti principali, cosicché le differenze che connotano le rispettive posizioni impediscono di ritenere che il principio di parità debba (e possa) indefettibilmente tradursi, nella cornice di ogni singolo segmento dell’iter processuale, in un’assoluta simmetria di poteri e facoltà.

Soprattutto, in tale pronuncia, i giudici delle leggi hanno anche ribadito che la garanzia del doppio grado di giurisdizione non fruisce, di per se, di riconosci­ mento costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 274 e n. 242 del 2009, n. 298 del 2008, n. 26 del 2007, n. 288 del 1997, n. 280 del 1995; ordinanze n. 316 del 2002 e n. 421 del 2001), anche se a livello sovranazionale, l’art. 14, paragrafo 5, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato a New York ii 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881, e l’art. 2 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta fondamentali, adottato a Strasburgo ii 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 9 aprile 1990, n. 98, prevedono ii diritto a far riesaminare la decisione da una giurisdizione superiore, o di seconda istanza, a favore della per­ sona dichiarata colpevole o condannata per un reato e sebbene la riconducibilità del potere d’impugnazione al diritto di difesa sancito dall’art.24 Cost. renda meno disponibile tale potere a interventi limitativi.

Ma -come si diceva- le norme tacciate d’incostituzionalità non prevedono affatto un restringimento della facoltà di impugnazione, bensì perseguono illegittime scopo di far si che le impugnazioni vengano celebrate solo quando si abbia effettiva contezza della conoscenza della sentenza emessa da parte dell’imputato, per evitare la pendenza di regiudicande nei confronti di imputati non consapevoli del processo, oltre che far si che l’impugnazione sia espressione del personale interesse dell’imputato medesimo e non si traduca invece in una sorta di automatismo difensivo.

6. Altrettanto condivisibile, ragionevole e logica appare la ratio legis di operare una diversa scelta tra l’imputato presente nel processo e quello che ha deciso di non parteciparvi, se non attraverso la sua difesa tecnica.

II ricorrente lamenta che vi sarebbe comunque un aggravio di tempo che potrebbe stridere con i tempi a disposizione per poter proporre l’impugnazione, ma proprio ad evitare ciò e a garantire la compatibilità costituzionale della nuova disciplina, il legislatore ha contemplato tutele compensative rispetto alla nuova previsione, quali l’ampliamento di quindici giorni del termine per impugnare per l’imputato assente e l’estensione del rimedio della restituzione in termini per im­pugnare.

II nuovo comma 1-bis dell’art. 585 cod. proc. pen., che disciplina i termini per t’impugnazione, prevede, infatti, che i termini, previsti a pena di decadenza, per proporre impugnazione di cui al comma 1 (15, 30 e 45 giorni a seconda dei casi) sono aumentati di quindici giorni (30, 45 e 60 giorni) per l’impugnazione del difensore dell’imputato giudicato in assenza. E il nuovo comma 2.1 dell’art. 175 cod. proc. pen. prevede, poi, che l’imputato giudicato in assenza sia restituito, a richiesta, nel termine per proporre impugnazione, qualora dia prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non aver potuto pro­porre impugnazione nei termini senza sua colpa.

II ricorrente parla dell’imputato assente come di una sorta di irreperibile. Ma non e cosi.

La norma riguarda l’imputato assente ovvero quello che, a conoscenza del processo a suo carico, sceglie, qualunque sia la ragione, di essere as­sente e di farsi rappresentare dal difensore (art. 420-bis, co. 4 cod. proc. pen.).

La sua scelta deve essere volontaria e consapevole e il giudice e tenuto ad accertarlo (art. 420-bis, co. 1 e 2). II difensore, pertanto, non dovrebbe incontrare soverchie difficolta a farsi rilasciare, dopo la sentenza di primo grado, ii mandate specifico ad appellare.

Del resto, già ii comma 3 dell’art. 571, soppresso dall’art. 46 della I. 16 dicembre 1999, n. 479, stabiliva che, contra una sentenza contumaciale, il difensore potesse proporre impugnazione solo se munito di specifico mandate, anche se tale mandate poteva essere rilasciato con la nomina o anche successivamente nelle forme per questa previste.

In ogni caso, ii difensore, qualora abbia motivo di ritenere che non riuscirà a farsi rilasciare il mandato specifico in tempo utile, potrà suggerire all’imputato, anche prima dell’emissione della sentenza, di nominare un procuratore speciale, come previsto dall’art. 571, co. 1, cod. proc. pen., che abbia ii potere di proporre l’impugnazione.

E chiaro, comunque, che la disposizione in esame non pensa all’imputato che, dopa il primo impatto con le forze di polizia (la designazione di un difensore d’ufficio e quant’altro la legge prevede), sparisca senza lasciare traccia alcuna di costui, infatti, non potrà mai essere legittimamente dichiarato assente. II per­corso processuale che lo riguarda e diverso e confluirà, di regola, nella sentenza di non luogo a procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo di cui all’art. 420-quater.

Analogamente, non si rinviene alcun contrasto con le norme costituzionali nell’aver imposto all’imputato assente la dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio.

La nuova disposizione dell’art. 581, co. 1 ter, cod. proc. pen., così come l’analoga incombenza imposta dall’art. 581 co. 1 quater cod. proc. pen., riproduttiva, come in precedenza ricordato, dell’art. 1, comma 13, lett. a) della legge de­lega, si coordina perfettamente con ii novellato art. 157-ter co. 3 cod. proc. pen. secondo cui «3.

In caso di impugnazione proposta dall’imputato o nel suo interesse, la notificazione dell’atto di citazione a giudizio nei suoi confronti é eseguita esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell’articolo 581, commi 1 ter e 1 quater>> e con l’art. 164 (rubricato «Durata del domicilio dichiarato o eletto»), che stabilisce ora quanta segue «La determinazione del domicilio di­ chiarato o eletto e valida per le notificazioni dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, degli atti di citazione in giudizio ai sensi degli articoli 450, comma 2, 456, 552 e 601, nonché del decreto penale, salvo quanta previsto dall’articolo 156, comma 1.».

II dettato normativo, sostituendo l’inciso contenuto nell’art.164 cod. proc. pen. in base al quale la dichiarazione o l’elezione di domicilio era valida per ogni stato e grado del procedimento, ha dunque escluso che la dichiarazione o l’elezione di domicilio già presente in atti possa esimere l’impugnante dal deposito di una nuova dichiarazione o elezione di domicilio.

Ebbene, le già spese considerazioni circa il fatto che l’imputato assente non e affatto irreperibile valgono anche per l’ulteriore onere richiestogli di indicare ii domicilio ove indirizzargli la notifica del nuovo decreto di citazione.

Tali considerazioni consentono di ritenere costituzionalmente compatibile – nel delineato nuovo quadro di garanzie – la novella legislativa in questione.

7. Essendo ii ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissi­bilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento delta san­ zione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma l’11 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2023.

SENTENZA