L’inventore di un software per la pubblica amministrazione, a fronte di un contratto privo però della forma scritta, può agire per ottenere quanto dovuto con l’azione di indebito arricchimento (Corte di Cassazione, Sezione IV Civile, Sentenza 18 marzo 2024, n. 7178).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

QUARTA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

ANTONIO MANNA                     – Presidente –

ANNALISA DI PAOLANTONIO  – Consigliere –

IRENE TRICOMI                          – Consigliere –

ROBERTO BELLÉ                        – Consigliere –

DARIO CAVALLARI                     – Consigliere – Rel. –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 1580/2017 proposto da:

(omissis) (omissis) elettivamente domiciliato in Roma, (omissis), presso l’avv.to (omissis) (omissis), rappresentato e difeso dagli avv.ti (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis);

-ricorrente-

contro

ASP (omissis) in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, (omissis), presso l’avv.to (omissis) (omissis), rappresentata e difesa dagli avv.ti (omissis) (omissis) (omissis) (omissis);

-controricorrente-

nonché

(omissis) (omissis) elettivamente domiciliato in Roma, (omissis), presso l’avv.to (omissis) (omissis), rappresentato e difeso dall’Avv. (omissis) (omissis);

-controricorrente e

ricorrente incidentale-

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI PALERMO n. 913/2016, pubblicata il 3 novembre 2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 6 marzo 2024 dal Consigliere dr. DARIO CAVALLARI;

lette le conclusioni del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale, dr. Mario Fresa, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso principale e la dichiarazione di inammissibilità di quello incidentale;

uditi gli Avvocati (omissis) (omissis) per il ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, (omissis) (omissis) per la P.A. controricorrente, e (omissis) (omissis) per il ricorrente incidentale, che hanno chiesto il rigetto del ricorso principale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 6 febbraio 2007 (omissis) (omissis) ha convenuto in giudizio l’AUSL (omissis) (omissis) deducendo che:

ricopriva presso il Dipartimento di Neurologia del Baylor College of Medicine di (omissis) la qualifica di Adjunct Associate Professor ed aveva iniziato, quale esperto di informatica medica, una collaborazione con la ASL (omissis) in diretto contatto con il Direttore generale;

aveva realizzato un sistema di acquisizione ed elaborazione dei flussi aziendali denominato (omissis) e aveva elaborato un documento intitolato (omissis) (omissis) inviato agli organi di vertice dell’azienda;

il Direttore generale lo aveva incaricato di realizzare un supporto computerizzato, denominato (omissis)

aveva svolto per un triennio un’intensa attività professionale in favore dell’AUSL (omissis) (omissis).

Egli ha chiesto la condanna dell’Azienda convenuta a titolo di ingiustificato arricchimento e, in via subordinata, di (omissis) a titolo di risarcimento del danno, nella sua qualità di Direttore generale, per avere ingenerato in lui il convincimento che fosse impegnata la volontà della detta Azienda.

II Tribunale di Palermo, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 808/2014, ha accolto la domanda di indebito arricchimento.

L’ASP (omissis) (omissis) ha proposto appello.

(omissis) (omissis), (omissis) (omissis) si sono costituiti, proponendo entrambi appello incidentale in ordine alle spese di lite.

La Corte d’appello di Palermo, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 913/2016, ha accolto l’appello principale, rigettando ogni domanda di (omissis) (omissis)

(omissis) (omissis) ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

L’ASP (omissis) (omissis) si é difesa con controricorso.

(omissis) (omissis) si é difeso con controricorso e ha proposto ricorso incidentale condizionato.

Le parti hanno depositato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 329 e 342 c.p.c. e 2909 c.c. in quanto la corte territoriale avrebbe esaminato, con riferimento alla domanda di arricchimento senza giusta causa, la questione della sussistenza del requisito della sussidiarietà in assenza di un motivo di appello delle parti sul punto.

La doglianza é infondata.

Innanzitutto, la Corte d’appello di Palermo ha ritenuto, sulla base di una lettura dell’appello dell’ASP (omissis) che, in realtà, vi fosse stata una complessiva contestazione del fondamento della condanna di quest’ultima da parte del Tribunale di Palermo.

Al riguardo, ii ricorrente non ha neppure riportato per sintesi ii contenuto del gravame dell’ASP (omissis) al fine di consentire una disamina del suo contenuto.

Inoltre, si osserva che, qualora la sentenza di primo grado abbia accolto l’azione di arricchimento senza causa, in mancanza del previo riscontro positivo del requisito della sussidiarietà dell’azione medesima di cui all’art 2042 c.c., la questione afferente alla sussistenza di detto requisito é rilevabile d’ufficio ed esaminabile dal giudice d’appello anche in difetto di uno specifico motivo di gravame, atteso che, sul punto, non può dirsi formato il giudicato interno (Cass., Sez. 1, n. 2046 del 26 gennaio 2018; Cass., SU, n. 33954 del 5 dicembre 2023, in motivazione, ove esclude che sia operativo ii divieto di ius novorum ex art. 345 c.p.c.).

2) Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2041 e 2042 c.c. e 45 e 64 del d.lgs. 30 del 2005 in quanto la corte territoriale avrebbe errato nell’affermare che la prestazione di tipo informatico da lui resa fosse stata eseguita in base al rapporto di continuità assistenziale intercorrente con l’ASP (omissis) e durante le ore in plus orario.

In particolare, la sentenza di appello é criticata perché sosterrebbe che egli ricorrente avrebbe potuto esercitare nei confronti dell’ASP (omissis) l’azione ex art. 1218 c.c. o quella ai sensi dell’art. 64 del d.lgs. n. 30 del 2005 nonostante, nella specie, non ricorressero un’invenzione di servizio, una di azienda occasionale e, comunque, il rapporto fra le parti fosse di natura autonoma.

Inoltre, la Corte d’appello di Palermo non avrebbe correttamente valutato le prove agli atti, ritenendo che la prestazione da lui resa rientrasse nell’unico rapporto formalmente esistente fra le parti, quando, al contrario, vi sarebbero stati molteplici incarichi espressi da parte dell’azienda che, però, non sarebbero stati messi per iscritto. A ciò sarebbe conseguita l’esperibilità della sola azione di arricchimento senza giusta causa.

Dirimente, suI punto, sarebbe stata la circostanza che il citato rapporto di c.d. continuità assistenziale richiamato dal giudice di secondo grado, in relazione al quale sarebbero state pagate le ore in plus orario, avrebbe avuto ad esclusivo oggetto l’attività di epidemiologia e farmacovigilanza e non la realizzazione del software, come si sarebbe ricavato anche dal fatto che l’ASP (omissis) avrebbe fondato il suo appello sull’irregolarità formale dell’incarico per mancanza di formalizzazione, di assolvimento delle procedure di scelta del contraente e di preventivo impegno di spesa sul bilancio dell’Ente.

Preliminarmente, si osserva che non merita accoglimento la difesa dell’ASP (omissis) secondo la quale questo Collegio non potrebbe esaminare il motivo in questione in quanto, sul punto, vi sarebbe stato un accertamento di merito in appello, poiché ii rigetto della domanda del ricorrente in detta sede si sarebbe fondato sull’accertamento in concreto dell’esistenza di un rapporto contrattuale tra il (omissis) e l’Azienda e sulla riconducibilità a questo delle prestazioni svelte dal primo, con conseguente necessità di agire ai sensi dell’art. 1218 c.c.

Si tratta di argomento che non può essere condiviso atteso che il ricorrente non contesta direttamente siffatto accertamento, ma afferma che, in assenza di una formalizzazione del rapporto de quo con la P.A., come evidenziato da quest’ultima con i suoi motivi di appello, non sarebbe stato possibile per legge agire ex art. 1218 c.c., altresì in ragione del contenuto tipizzato del rapporto di continuità assistenziale, che non poteva concernere la realizzazione di software. L’effetto sarebbe stato che l’unica tutela normativamente possibile sarebbe stata quella ex art. 2041 c.c.

Ad essere prospettati sono, quindi, la violazione della legislazione vigente in materia di contratti stipulati con la P.A. e di contratti di continuità assistenziale, la mancata considerazione delle allegazioni dell’appellante e l’errata riconduzione della fattispecie alle disposizioni individuate dalla Corte d’appello di Palermo e non all’art. 2041 c.c., tutti profili che nulla hanno a che vedere con una semplice censura di merito.

Ciò premesso, la doglianza é fondata.

La ratio decidendi della decisione impugnata consiste nella riconduzione dell’intera attività oggetto del contendere nell’ambito del preesistente rapporto di lavoro fra le parti, in ordine al quale sarebbe stato autorizzato un plus orario.

La corte territoriale ha ritenuto che (omissis) (omissis) avesse ricevuto, nell’ambito del citato rapporto, il compenso pattuito anche per la prestazione resa in ambito informatico.

Inoltre, ha affermato che egli avrebbe potuto agire ai sensi dell’art. 1218 c.c., enunciando l’inadempimento dell’Azienda ai suoi obblighi contrattuali, o ex art. 64 d.lgs. n. 30 del 2005, ricorrendo un’invenzione di servizio od un’invenzione di azienda.

II ricorrente sostiene, al contrario, che la prestazione per la quale agisce sarebbe stata resa in seguito al «conferimento di un diverso e complesso incarico professionale avente uno specifico e ben determinato oggetto, del tutto diverso da quello proprio del medico».

La ricostruzione della corte territoriale non é condivisibile.

Al riguardo, si osserva che i rapporti con la P.A. richiedono, per la loro instaurazione, la forma scritta ad substantiam e che, di conseguenza, le prestazioni riconducibili a tali rapporti devono trovare la loro previsione nel testo dell’accordo.

Nella specie, però, nessuna clausola dell’unica intesa redatta fra le parti menziona la creazione, da parte del ricorrente, di due sistemi informatici.

Non potrebbe ottenersi lo stesso risultato raggiunto dalla Corte di appello di Palermo neppure in via interpretativa, non potendosi non evidenziare l’assoluta incompatibilità logica fra l’oggetto del rapporto di continuità assistenziale, formalmente esistente fra la P.A. ed il ricorrente, e la tipologia di prestazione con riferimento alla quale (omissis) (omissis) agisce.

D’altronde, é problematico immaginare che un’attività complessa come quella prospettata da (omissis) (omissis) sia stata posta in essere nell’ambito di un rapporto lavorativo di continuità assistenziale, seppure con l’autorizzazione di un plus orario rispetto alle canoniche 24 ore settimanali.

Ciò induce ad escludere, allora, che l’importo di € 27.297,04, versato al ricorrente per il plus orario, possa essere servito a compensarlo, altresi, per l’ideazione dei due software.

In particolare, la Corte d’appello di Palermo fonda questo assunto su alcuni documenti, dai quali emergerebbe che (omissis) (omissis) sarebbe stato incaricato dagli organi di vertice dell’Azienda di «far parte di gruppi di lavoro deputati all’implementazione dei programmi informatici di supporto alla gestione amministrativa e di ausilio al contenimento delle spese».

Tale prestazione, però, si differenzia sostanzialmente da quella per la quale il ricorrente ha agito, non potendosi veramente ritenere che la partecipazione a detti gruppi di lavoro potesse, di per se, concludersi con la creazione di due software ad opera del solo (omissis) (omissis).

In ogni caso, siffatti documenti non possono sostituire la mancata formalizzazione per iscritto dell’accordo avente ad oggetto i software.

Criticabile é, poi, l’affermazione della corte territoriale per la quale sarebbe stato onere del ricorrente dimostrare, a fronte dei citati documenti, «l’esclusiva o prevalente destinazione delle ore di plus orario a finalità prettamente sanitarie».

Infatti, come detto, i menzionati documenti non si riferiscono all’ideazione, da parte del solo ricorrente, di due software. Inoltre, in linea di principio, le ore di plus orario concesse ad un medico di guardia devono ritenersi attribuite per svolgere «finalità prettamente sanitarie» e non per fare altro.

La decisione di appello non é condivisibile, inoltre, perché, nel sostenere che (omissis) (omissis) avrebbe potuto agire ex art. 64 d. lgs. n. 30 del 2005, non si pone la questione dell’improbabile brevettabilità di un software, alla luce anche del disposto dell’art. 45, comma 2, lett. b), d.lgs. n. 30 del 2005, in base al quale non sono invenzioni i programmi di elaboratore.

La non brevettabilità dei software impediva l’applicabilità del citato art. 64.

II ricorrente non avrebbe potuto in concreto godere neanche di tutela ai sensi della legge n. 633 del 1941.

Non si nega che la S.C. abbia affermato il principio per il quale le opere creative realizzate dal lavoratore subordinato al di fuori del rapporto di lavoro sono protette in base al disposto dell’art. 1 della legge n. 633 del 1941, come modificato dall’art. 1 del d.lgs. n. 518 del 1992, sicché, in caso di lesione dell’esercizio del diritto di utilizzazione economica di tali opere, é prevista la tutela di cui all’art. 158 della stessa legge, che consente di agire per ottenere la distruzione o rimozione dello stato di fatto dal quale risulta la violazione ovvero per il risarcimento del danno, con conseguente inammissibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento, la cui natura sussidiaria comporta che può essere esercitata soltanto quando manchi un titolo specifico sul quale possa fondarsi un diritto di credito (Cass., Sez. L, n. 8694 del 9 aprile 2018).

Infatti, i programmi per elaboratore sono protetti come opere letterarie ai sensi dell’art. 1 della legge n. 633 del 1941, come modificato dall’art. 1 del d.lgs. n. 518 del 1992 e, quindi, in linea generale, la loro creazione attribuisce all’autore il diritto esclusivo di utilizzare l’opera, anche a fini economici, ex artt. 64 bis, 64 ter e 64 quater della stessa legge, inseriti dall’art. 5 del richiamato decreto legislativo in attuazione della direttiva 91/250/CEE relativa alla tutela giuridica del software.

L’art. 12-bis pone un’eccezione a detto principio generale, attribuendo al datore di lavoro il diritto di utilizzazione esclusiva del programma o della banca dati creati dal lavoratore dipendente, a condizione che l’opera sia riferibile all’esercizio delle mansioni o sia stata creata a seguito di istruzioni impartite dallo stesso datore.

Peraltro, ii ricorrente non era un lavoratore dipendente e quindi non sussistendo i presupposti richiesti dalla norma derogatoria, tornava ad espandersi la disciplina di carattere generale, con la conseguenza che l’autore avrebbe avuto a disposizione, in teoria, se ne avesse provato i presupposti, le azioni previste dagli artt. 156 ss. della stessa legge n. 633 del 1941 (come, ad esempio, l’inibitoria) e, in particolare, avrebbe potuto agire ex art. 158, che attribuisce a colui che venga leso nell’esercizio di un diritto di utilizzazione economica a lui spettante il diritto di agire in giudizio per ottenere che sia distrutto o rimosso lo stato di fatto da cui risulta la violazione o per chiedere ii risarcimento del danno.

La legge n. 633 del 1941, allora, avrebbe potuto regolare, in astratto, il contenzioso concernente la creazione di software e il loro utilizzo economico, a condizione che fossero dimostrati dall’interessato, nel merito, gli elementi costitutivi per la sua applicabilità, in quanto la protezione del diritto d’autore riguardante programmi per elaboratori (appunto ii software, che rappresenta la sostanza creativa dei programmi informatici), al pari di quella di qualsiasi altra opera, postula il requisito dell’originalità, occorrendo stabilire, pertanto, se il programma sia o meno frutto di un’elaborazione creativo originale rispetto ad opere precedenti, e fermo restando che la creatività e l’originalità sussistono anche quando l’opera de qua sia composta da idee e nozioni semplici, comprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia propria dell’opera stessa, purché formulate ed organizzate in modo personale ed autonomo rispetto alle precedenti.

La consistenza in concreto di tale autonomo apporto avrebbe dovuto essere oggetto di una valutazione destinata a risolversi in un giudizio di fatto, come tale sindacabile in sede di legittimità soltanto per eventuale vizio di motivazione nei limiti in cui é oggi prospettabile ex art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass., Sez. 1, n. 13524 del 13 giugno 2014).

La potenziale rilevanza della legge n. 633 del 1941 nel caso in esame e l’esistenza del principio espresso da Cass., Sez. L, n. 8694 del 9 aprile 2018 non possono, pero, condurre a negare al ricorrente l’esperibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento.

Infatti,  in  primo  luogo,  la  giurisprudenza  della  S.C. ha affermato che presupposto per proporre l’azione di ingiustificato arricchimento é la mancanza, accertabile anche di ufficio, di un’azione tipica, tale dovendo intendersi non ogni iniziativa processuale ipoteticamente esperibile, ma esclusivamente quella derivante da un contratto o previsto dalla legge con riferimento ad una fattispecie determinata, pur se proponibile contro soggetti diversi dall’arricchito.

Ne consegue che é ammissibile l’azione di arricchimento quando l’azione, teoricamente spettante all’impoverito, sia prevista da clausole generali, come quella risarcitoria per responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c. (Cass., Sez. 3, n. 843 del 17 gennaio 2020; Cass., Sez. 1, n. 27827 del 22 novembre 2017; Cass., Sez. 2, n. 4620 del 22 marzo 2012).

Questa conclusione é coerente con la funzione dell’azione di arricchimento senza causa, la quale é ammessa per ottenere, nei limiti dell’arricchimento, il giusto prezzo della prestazione o dell’attività eseguita che, a sua volta, é indipendente dal danno patrimoniale subito, potendo questo anche non esservi.

Nella specie, pur se regolata dalla legge n. 633 del 1941, l’azione risarcitoria della quale (omissis) (omissis) avrebbe potuto avvalersi é tipicamente riconducibile alla figura generale del risarcimento del danno.

Ne deriva che l’ipotetica possibilità per il ricorrente di domandare il risarcimento del danno non avrebbe potuto escludere l’esperibilità dell’azione di arricchimento senza giusta causa.

In secondo luogo, occorre tenere conto che il ricorrente non ha prospettato di avere subito un danno ingiusto ex art. 2043 c.c. o di agire per conseguire il risarcimento del danno da inadempimento, ne ha domandato un’inibitoria o la distruzione o rimozione dello stato di fatto dal quale risulta la violazione (tutele previste dagli artt. 156 e 158 della legge n. 633 del 1941), ma si é lamentato, sostanzialmente, di non avere ricevuto dalla P.A. il compenso che gli sarebbe spettato in seguito al «conferimento di un diverso e complesso incarico professionale avente uno specifico e ben determinato oggetto, del tutto diverso da quello proprio del medico».

L’azione che (omissis) (omissis) avrebbe voluto esercitare é, allora, tipicamente contrattuale e collegata non al risarcimento per equivalente di un danno aquiliano o da inadempimento imputabile all’altro contraente, ma all’esecuzione di un impegno contrattuale assunto dall’ente al quale i software erano  destinati per l’uso.

Più esattamente, l’azione della quale il lavoratore avrebbe dovuto avvalersi é quella generale di adempimento ex art. 1453 c.c., atteso che egli ha agito per conseguire la medesima utilità che sarebbe derivata da un’azione di adempimento, ove fosse stata esercitabile, mentre non poteva porsi un problema di applicazione della legge n. 633 del 1941, che non prevede una disciplina ad hoc dell’azione di adempimento e non la ricomprende fra quelle indicate agli artt. 156 e 158.

La circostanza che l’incarico ottenuto dalla P.A. di inventare i due software, secondo l’allegazione del ricorrente, non sia stato attribuito con un atto scritto, nonostante controparte fosse una P.A., ha comportato, pero, l’impossibilita per (omissis) (omissis) di agire ai sensi dell’art. 1453 c.c., in ragione della nullità del titolo.

Al riguardo, la giurisprudenza ha affermato che, poiché la funzione dell’azione di indebito arricchimento é l’eliminazione di uno squilibrio determinatosi senza giusta causa, a seguito del conseguimento di una utilità economica da parte di un soggetto con relativa diminuzione patrimoniale di un altro soggetto, l’esercizio della stessa non trova impedimenta – bensì giustificazione – nell’accerta mento della non proponibilità dell’azione contrattuale derivante dalla nullità del titolo che ne costituisce ii fondamento (Cass., Sez. 2, n. 8040 del 2 aprile 2009; Cass., Sez. 2, n. 4269 del 13 aprile 1995).

D’altronde, la prospettabilità dell’azione generale di indebito arricchimento, in relazione al requisite di sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c., postula semplicemente che non sia prevista nell’ordinamento giuridico altra azione tipica a tutela di colui che lamenti il depauperamento, ovvero che la domanda sia stata respinta sotto il profilo della carenza ab origine dell’azione proposta, per difetto del titolo posto a suo fondamento (Cass., Sez. 3, n. 2350 del 31 gennaio 2017, che ha ritenuto la proponibilità dell’azione di indebito arricchimento nel caso di un contratto concluso da ente pubblico e ritenuto invalido per difetto di previa delibera autorizzativa alla stipula).

II precedente rappresentato da Cass., Sez. L, n. 8694 del 9 aprile 2018, non era, poi, applicabile al caso in esame, considerato che, diversamente da quanto avvenuto nella fattispecie oggetto del giudizio deciso da quest’ultima pronuncia, il ricorrente non é parte di un rapporto di lavoro subordinato con la P.A. e, soprattutto, il titolo sulla base del quale egli poteva chiedere il pagamento del compenso per l’attività svolta é nullo.

Trovano spazio, piuttosto, i principi espressi da Cass., Sez. 3, n. 2350 del 31 gennaio 2017, Cass., Sez. 2, n. 8040 del 2 aprile 2009, e Cass., Sez. 2, n. 4269 del 13 aprile 1995.

Se ne ricava che(omissis) (omissis) non poteva che domandare l’indennizzo per ingiustificato arricchimento, da determinare, eventualmente, in via equitativa (Cass., Sez. 1, n. 14329 del 24 maggio 2019), tenendo conto che la diminuzione patrimoniale (depauperatio) subita dall’autore di una prestazione d’opera in favore della P.A., in assenza di un contratto valido ed efficace, da compensare ai sensi dell’art. 2041 c.c., non può essere fatta coincidere con la misura del compenso che sarebbe comunemente spettato per l’attività svolta, ma, deve ricomprendere i costi ed esborsi sopportati e ristorare il sacrificio di tempo, di energie mentali e fisiche del detto autore, al netto della percentuale di guadagno (Cass., Sez. 1, n. 14670 del 29 maggio 2019).

Queste conclusioni sono suffraga te anche dalla recente sentenza delie Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 33954 del 5 dicembre 2023, la quale ha affermato che «Ai fini della verifica del rispetto della regola di sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c., la domanda di arricchimento e proponibile ove la diversa azione, fondata sul contratto, su legge ovvero su clausole generali, si riveli carente ab origine del titolo giustificativo.

Viceversa, resta preclusa nel caso in cui ii rigetto della domanda alternativa derivi da prescrizione o decadenza del diritto azionato, ovvero nel caso in cui discenda dalla carenza di prova circa l‘esistenza del pregiudizio subito, ovvero in caso di nullità del titolo contrattuale, ove la nullità derivi dall’illiceità del contratto per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico».

Sostiene l’ASP (omissis) soprattutto nelle sue note conclusive, che, ove si volesse accedere alla tesi del ricorrente, dovrebbe tenersi conto che il dedotto affidamento dell’incarico in esame sarebbe nullo per contrasto con norme imperative e con l’ordine pubblico e che tale nullità renderebbe non proponibile la domanda in base alla menzionata sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 33954 del 5 dicembre 2023.

Infatti, le prestazioni da lui rese rientrerebbero tra i servizi informatici di cui all’AII. II A, ctg. 7 del d.lgs. n. 163 del 2006, assoggettati all’applicazione del Cadice dei Contratti della P.A.

L’affidamento di tali servizi sarebbe stato, quindi, subordinato all’espletamento di procedure di evidenza pubblica, anche perché, ove il valore dei servizi resi da (omissis) (omissis) fosse stato effettivamente quello dallo stesso rivendicato (€ 435.000,00), gli stessi sarebbero stati di importo superiore alla soglia comunitaria, fissata dall’art. 28 del d.lgs. n. 163 del 2006, per gli appalti di servizi, in € 209.000,00.

Al contrario, nell’ipotesi in cui vi fosse stato un appalto, il contratto sarebbe stato invalido in quanto, per la P.A. controricorrente, non vi sarebbe stata nessuna procedura di evidenza pubblica per la sua aggiudicazione, intervenuta nelle forme di una non consentita trattativa privata o, meglio di una procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara.

In definitiva, il detto contratto sarebbe stato nullo per contrasto con le direttive dell’UE in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici e della correlata giurisprudenza e della disciplina in tema di concorrenza.

La difesa é infondata.

La decisione delie Sezioni Unite sopra menzionata si riferisce, quando parla di illiceità dei contratti, alle ipotesi nelle quali il diritto alla prestazione non é riconosciuto a priori dall’ordinamento e non alle nullità derivanti dal mancato rispetto delle norme in tema di evidenza pubblica concernenti i contratti della P.A.

D’altronde, é consolidata la giurisprudenza che, in presenza di vizi formali della procedura volta alla stipula di un contratto di prestazione d’opera, ammette, in astratto, l’azione ex art. 2041 c.c. (Cass., Sez. 3, n. 9809 del 9 aprile 2019; Cass., Sez. 6-1, n. 351deI 10 gennaio 2017; Cass., Sez. 3, n. 3905 del 18 febbraio 2010).

Lo stesso esame della giurisprudenza richiamata dalle Sezioni Unite (Cass., Sez. 3, n. 13203 del 15 maggio 2023; Cass., Sez. 2, n. 14085 dell’11 giugno 2010; Cass., Sez. 3, n. 10427 del 18 luglio 2002) suffraga questo esito, atteso che, nelle fattispecie sottese a dette pronunce, veniva in rilievo una nullità assoluta (Cass., Sez. 2, n. 21495 del 12 ottobre 2007; Cass., Sez. 2, n. 3021 del 15 febbraio 2005) disposta per l’esigenza di evitare la frode alla legge e, comunque, l’aggiramento di norme indisponibili, poste a tutela di interessi generali.

Nel caso in esame, invece, l’azione di cui all’art. 2041 c.c. é l’unico rimedio esperibile da parte del ricorrente per ottenere, seppure in parte, il compenso al quale ritiene di avere diritto (ancora Cass., Sez. 3, n. 13203 del 15 maggio 2023).

Infine, non meritano accoglimento le questioni, prospettate sempre dall’ASP (omissis) relative alla mancata prova del danno subito e alla decadenza e prescrizione delle azioni che avrebbero potute essere esercitate dal ricorrente.

In ordine al danno, la corte territoriale non se ne é occupata, atteso che aveva ritenuto che il lavoratore fosse stato ricompensato tramite il plus orario.

Certo non può rilevare l’esito della domanda proposta, in via subordinata, nei confronti di (omissis) (omissis) che la corte territoriale ha disatteso sul presupposto della genericità delle allegazioni e dell’insussistenza dei presupposti legittimanti dell’azione, senza valutare se fosse stato dimostrato o meno un pregiudizio.

Per ciò che concerne la decadenza e la prescrizione delle dette azioni, si sottolinea che il ricorrente non aveva strumenti, alternativi a quello ex art. 2041 c.c., per domandare il pagamento, pur limitato, del corrispettivo richiesto.

3) II ricorso incidentale di (omissis) (omissis) con il quale é contestata la quantificazione delle spese di lite, é dichiarato inammissibile, essendo intervenuta rinuncia sul punto.

4) II ricorso principale é accolto quanto al secondo motivo, rigettato il primo.

II ricorso incidentale é dichiarato inammissibile.

La decisione impugnata é cassata con rinvio alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, che deciderà la causa nel merito anche in ordine alle spese di legittimità, applicando il seguente principio di diritto:

«L’ideatore di un software che abbia eseguito la sua prestazione sulla base di un contratto concluso con una P.A. nullo per mancanza della forma scritta o per violazione delie norme che regolano la procedura finalizzata alla sua conclusione, ove chieda alla stessa P.A. di essere remunerato per l’attività svolta in suo favore, può proporre l’azione di ingiustificato arricchimento. II giudice ha il potere di determinare in via equitativa il relativo indennizzo, il quale non può coincidere con il compenso che comunemente sarebbe stato corrisposto per la detta prestazione, ma deve ristorare la diminuzione patrimoniale subita dall’autore dell’opera e, quindi, i costi ed esborsi sopportati e il sacrificio di tempo, di energie mentali e fisiche del detto autore, al netto della percentuale di guadagno».

P.Q.M.

La Corte,

– accoglie il secondo motivo del ricorso principale, rigettato il primo;

– dichiara inammissibile il ricorso incidentale;

– cassa la decisione impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Palermo, in di versa composizione, che deciderà la causa nel merito, anche in ordine alle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 6 marzo 2024.

L’estensore

Dario Cavallari

II Presidente

Antonio Manna

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.