Liti con il Fisco. Le parti impegnate in un contenzioso, con il Fisco, non hanno diritto all’oscuramento dei loro nomi (Corte di cassazione, Sezione Tributaria, Sentenza 23 agosto 2023, n. 25173).

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta da

Francesco Federici            Presidente –

Filippo D’Aquino                Consigliere rel. –

Giancarlo Triscari              Consigliere –

Roberto Succio                  Consigliere –

Gian Andrea Chiesi           Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19013/2021 R.G. proposto da:

(omissis) s.r.l. in liquidazione (C.F. (omissis)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. (omissis) (omissis) in virtù di procura speciale allegata al ricorso, elettivamente domiciliata presso il secondo in (omissis);

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI (C.F. (omissis) ), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12

controricorrente

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, Sezione staccata di Brescia, n. 290/25/21, depositata in data 14 gennaio 2021.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 maggio 2023 dal Consigliere Relatore dott. Filippo D’Aquino.

RILEVATO CHE

1. La società contribuente (omissis) s.r.l., società di spedizioni internazionali titolare del regime doganale di transito comunitario esterno, ha separatamente impugnato un avviso di pagamento per diritti di confine e un atto di contestazione di sanzioni, relativi a operazioni di transito di 66 partite di merce acquistate in Cina tramite emissione del documento con procedura  informatica NCTS, avvenute tra l’aprile e il settembre 2007, in relazione ai quali l’Ufficio aveva riscontrato l’assenza dei presupposti del transito doganale per non essere state le merci presentate alla dogana di destinazione (Romania).

2. In particolare, si accertava – in relazione al DAU emesso dalla dogana rumena di destinazione, esibito dalla società contribuente a comprova dell’arrivo a destino della merce – la falsità di tale documento, per cui veniva recuperato l’importo dei dazi.

L’atto impositivo faceva seguito a precedenti atti impositivi annullati in sede giurisdizionale e teneva conto del pagamento da parte del garante. La società contribuente riteneva di essere vittima di una frode perpetrata da terzi.

3. La CTP di Brescia ha accolto i ricorsi, con sentenza confermata dalla CTR della Lombardia.

Questa Corte (Cass., Sez. V, 23 gennaio 2019, n. 1788) ha cassato con rinvio la sentenza del giudice di appello, ritenendo che il giudice di appello, in presenza di documenti manifestamente falsi, avesse erroneamente ritenuto rilevante la buona fede della contribuente, trasferendo sull’Ufficio l’onere di provare la mala fede del contribuente.

4. La CTR della Lombardia, Sezione staccata di Brescia, adita in sede di giudizio di rinvio, con sentenza del 14 gennaio 2021 ha accolto l’appello dell’Ufficio. Ha ritenuto il giudice del rinvio che la società contribuente, in quanto spedizioniere e garante dell’operazione, ha assunto la responsabilità solidale in relazione alla merce oggetto di spedizione.

5. Propone ricorso per cassazione la società contribuente, affidato a tre motivi e ulteriormente illustrato da memoria; resiste con controricorso l’Ufficio.

CONSIDERATO CHE

1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Premette parte ricorrente che la responsabilità della contribuente non deriva dall’aver prestato una garanzia, come rilevato dal giudice del rinvio, bensì dall’essere la società contribuente titolare del regime doganale di transito comunitario esterno.

Al riguardo, il ricorrente deduce che non sarebbe stato oggetto di esame la circostanza che i timbri del documento doganale rumeno non fossero falsi, ma semplicemente non più in uso, circostanza che avrebbe reso impossibile per la contribuente riconoscere la falsità ideologica dei documenti.

2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 20l Reg. (CEE) n. 29l3/92, sostituito dall’art. 79 Reg. (UE) n. 952/13.

Osserva parte ricorrente che le disposizioni del codice doganale non contengono una presunzione assoluta di responsabilità, ma una affermazione di corresponsabilità del titolare del regime doganale, a condizione che vi fosse prova che egli sapesse o avrebbe dovuto ragionevolmente sapere che non fosse rispettato un obbligo previsto dalla normativa doganale.

Il ricorrente osserva come l’obbligato principale non potesse essere a conoscenza della circostanza che i timbri, benché genuini, non fossero più in uso presso la dogana di destinazione, costituendo ciò violazione dell’art. 79 Reg. (UE) n. 952/13 quale ius superveniens.

3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per motivazione apparente in violazione dell’art. l32, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., mancando la stessa dell’illustrazione dell’iter logico che ha condotto alla decisione.

4. Il terzo motivo, il quale appare pregiudiziale, è infondato.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il vizio di nullità della sentenza per motivazione apparente è rubricabile solo nel caso in cui non sia evincibile il percorso logico che ha condotto il giudice del merito alla decisione, così venendo meno all’obbligo costituzionale di motivazione (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).

Il giudice di appello ha ritenuto che l’obbligazione doganale sia sorta a carico della società contribuente per avere questa garantito, in qualità di spedizioniere, che la merce sarebbe giunta alla dogana di destinazione (Romania), considerandosi la società contribuente «responsabile del buon esito del transito stesso a prescindere dal fatto che essa abbia agito in buona o in cattiva fede». Il percorso motivazionale appare compiuto e comprensibile.

5. Il primo motivo è inammissibile per un duplice ordine di In primo luogo, non viene illustrata la decisività di tale circostanza, ossia se e in che termini – ove il giudice avesse preso in esame tale circostanza in fatto – la decisione del giudice del rinvio sarebbe stata diversa, posto che la decisione del giudice di appello è stata fondata sull’assunzione di garante da parte della società contribuente.

6. In secondo luogo, l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma» (Cass., U., 27 dicembre 2019, n. 34476).

Nella specie, risulta dalla narrativa della sentenza impugnata che era stato accertato, tra le altre cose, che «i timbri apposti [..] non erano più in uso a partire dal gennaio 2006» e che, come visto supra, la società contribuente è stata ritenuta «responsabile del buon esito del transito stesso a prescindere dal fatto che essa abbia agito in buona o in cattiva fede».

Quand’anche, pertanto, la circostanza dedotta da parte ricorrente fosse (in tesi) indiziaria dell’esenzione da responsabilità, tale circostanza è stata implicitamente considerata dal giudice di appello e ritenuta irrilevante.

7. Va, peraltro, osservato che parte ricorrente censura con il suddetto motivo la decisione nella parte in cui la responsabilità della società contribuente è stata incentrata sulla prestazione di garanzia, questione giuridica che non può rientrare – al pari delle argomentazioni difensive – nel paradigma dell’omesso esame di un fatto storico (Cass., V, 17 febbraio 2013, n. 5113; Cass., Sez. V, 11 luglio 2022, n. 21948; Cass., Sez. II, 26 aprile 2022, n. 13024).

8. Il secondo motivo, sul quale il ricorrente ritorna diffusamente in memoria, è In disparte l’inammissibilità del suddetto motivo, dovendosi censurare l’eventuale violazione del principio di diritto enunciato in fase rescindente da questa Corte, va, in primo luogo, precisato che – vertendosi in tema di importazioni risalenti al periodo di imposta 2007 – la norma applicabile è l’art. 203 Reg. (CEE) 2913/1992, in vigore sino al 30 aprile 2016.

Ciò premesso, in disparte l’estraneità della questione prospettata alla ratio decidendi, incentrata sull’assunzione di garanzia da parte della società contribuente, nel caso di omessa presentazione della merce in regime comunitario esterno alla dogana di destinazione si configura la responsabilità dello spedizioniere, unitamente all’obbligato principale, perché la merce è uscita dal territorio doganale dell’Unione europea «e il titolare di detto regime non è in grado di produrre documenti conformi all’articolo 365, paragrafo 3, del regolamento (CEE) n. 2454/93 della Commissione, del 2 luglio 1993, che fissa talune disposizioni d’applicazione del regolamento n. 2913/92, nella versione di cui al regolamento (CE) n. 993/2001 della Commissione, del 4 maggio 2001, o all’articolo 366, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 2454/93, nella versione di cui al regolamento (CE) n. 1192/2008 della Commissione, del 17 novembre 2008» (CGUE, 29 ottobre 2015, B & S Global Transit, C-319/14; Cass., Sez. V, 23 luglio 2019, n. 19796).

9. La mancata presentazione della merce alla dogana di destinazione di merce sottoposta a vigilanza doganale impedisce il controllo anche temporaneo da parte delle autorità doganali e costituisce sottrazione al controllo doganale, di cui all’art. 203, paragrafo 1 CDC (CGUE, C-391/14, , punto 28).

Pertanto, ove si tratti di merci vincolate al regime del transito comunitario esterno non presentate all’Ufficio doganale di destinazione, l’art. 203, paragrafo 1 CDC non trova applicazione solo nel caso in cui sia provata la perdita irrimediabile della merce stessa e limitatamente alla parte di cui sia provata la distruzione (CGUE, 18 maggio 2017, Latvijas DzelzceJs VAS, C-154/16, punti 50, 65, 72).

10. In ogni caso, le questioni dedotte dal ricorrente e ribadite in memoria, attengono alla prova contraria che dovrebbe essere data dal contribuente, questione estranea per come tracciata dal ricorrente (che affronta il tema sotto il profilo della diligenza) sia alla perdita del carico, sia al thema decidendum posto dalla sentenza impugnata, incentrato sulla obbligazione conseguente a una prestazione di garanzia.

11. Va, infine, rigettata la richiesta di rinvio pregiudiziale formulata dal ricorrente, in quanto non si verte, in questo caso, in tema di presunzione assoluta di responsabilità, bensì – in disparte la estraneità della questione alla ratio decidendi, fondata sull’assunzione di garanzia in tema di mancata presentazione alla dogana di destino di merci vincolate al regime del transito comunitario esterno per le quali non sia provata la perdita irrimediabile della merce stessa.

12. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo

Va rigettata l’istanza di anonimizzazione formulata dalla società ricorrente, posto che in tema di diritto all’anonimato delle parti in giudizio o dei soggetti interessati garantito dall’art. 52 del d.lgs. 196/2003 nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali – stanti le modifiche apportate dall’art. 40 d.l. n. 201 del 2011, conv. in l. n. 214/2011, che ha eliminato il riferimento (anche) alla persona giuridica riveste la qualità di interessato, legittimato a presentare l’istanza di anonimizzazione delle generalità e degli altri dati identificativi, solamente la persona fisica, la quale può proporla in presenza di motivi legittimi, da intendersi come motivi opportuni (Cass., V, 7 agosto 2020, n. 16807; Cass., Sez. V, 12 agosto 2021, n. 22754; Cass., Sez. VI, 9 febbraio 2022, n. 4167).

13. Nella specie fa difetto – salva la mancanza del presupposto soggettivo – il presupposto oggettivo delle ragioni per procedere alla anonimizzazione delle generalità del ricorrente – ragioni, peraltro, non indicate dal ricorrente – trattandosi di questioni relative a dazi doganali e sanzioni tributarie, le quali non attengono a dati sensibili e, comunque, sono prive di quella particolare riservatezza che risulti tale da inibire la pubblicità del provvedimento giurisdizionale.

P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida in complessivi € 7.800,00, oltre spese prenotate a debito;

dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, in data 11 maggio 2023

Il Presidente

Dott. Francesco Federici

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.