Per la Cassazione, il contrasto politico non giustifica le offese su Facebook, la cui valenza denigratoria integra il reato di diffamazione (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 2 maggio 2023, n. 18057).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE GREGORIO Edoardo – Presidente

Dott. CATENA Rossella – Rel. Consigliere

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere

Dott. PILLA Egle – Consigliere

Dott. FRANCOLINI Giovanni – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza della Corte di Appello di Messina emessa in data 10/12/2021;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere dott.ssa Rossella Catena;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott.ssa Paola Mastroberardino, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso;

lette le conclusioni scritte dell’avv.to (OMISSIS) (OMISSIS) difensore e procuratore speciale della parte civile (OMISSIS) (OMISSIS) che ha concluso per il rigetto del ricorso, chiedendo la condanna alle spese;

lette le conclusioni scritte dell’avv.to (OMISSIS) (OMISSIS) che, nell’interesse del ricorrente, insiste per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Messina confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Messina in composizione monocratica, in data 14/10/2020, con cui (OMISSIS) (OMISSIS) era stato condannato a pena di giustizia, oltre che al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile, in relazione al reato di cui all’art. 595 cod. pen., in (OMISSIS) in data (OMISSIS).

2. (OMISSIS) (OMISSIS) ricorre, a mezzo del difensore di fiducia, avv.to (OMISSIS) (OMISSIS) in data 22/11/2021, deducendo un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.:

2.1. violazione di legge, in riferimento all’art. 595, comma terzo, cod. pen., ai sensi dell’art. 606, b) cod. proc. pen., in quanto le frasi attribuite al ricorrente non hanno alcuna valenza offensiva né contenuto violento, costituendo espressioni dialettali usuali tra persone che sono in confidenza, come il ricorrente e la parte civile che, su Facebook avevano da tempo scontri verbali per ragioni politiche, come dimostrato dalla documentazione depositata nel corso del giudizio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso di (OMISSIS) (OMISSIS) è manifestamente infondato, per le ragioni di seguito illustrate.

La  vicenda  riguarda  le frasi  pubblicate  sulla  pagina  Facebook  del  gruppo “(omissis) dall’imputato, il quale apostrofava la persona offesa (OMISSIS) (OMISSIS) con le frasi: “Ignorante libero …. sia personalmente che politicamente la verità è che sei tutto cretino non arrivi a capire perché sei ignorante libero …. si tu ca un maccaruni senza puttusu …. certe cazzate scrivile sul tuo sito …. (OMISSIS) non tela prendere …. porta pazienza ma si vede che ti hanno classificato nella categoria sciacqua lattughe.”

La Corte di merito ha osservato come il contesto politico non giustificasse in alcun modo la valenza evidentemente denigratoria delle frasi utilizzate, anche in considerazione della circostanza che era risultato come il (OMISSIS) non perdesse occasione di intervenire, con espressioni offensive, per commentare qualsiasi esternazione del (OMISSIS) anche non inerente ad argomenti strettamente politici, apparendo gli interventi del tutto pretestuosi ed evidentemente finalizzati ad insultare pubblicamente il (OMISSIS) (OMISSIS) soggetto che il (OMISSIS) non conosceva neanche personalmente, tanto è vero che la persona offesa aveva più volte diffidato l’imputato dal persistere nelle condotte.

Infine, la sentenza impugnata ha specificato che non è necessario, ai fini della diffamazione, che la persona offesa sia intimorita, e neanche che le frasi istighino o facciano riferimento alla violenza.

Tanto premesso, appare evidente come i motivi di ricorso siano meramente reiterativi delle medesime doglianze già rappresentate in appello, e che, inoltre, essi non si confrontino affatto con la motivazione della sentenza impugnata, atteso che l’uso di forme verbali discutibili, di contenuto lesivo dell’onorabilità del (OMISSIS) appare viepiù evidente se del tutto decontestualizzato da un contesto di critica politica, escluso dalla Corte di merito e genericamente evocato dalla difesa.

La pregressa conoscenza tra l’imputato e la persona offesa, peraltro, risulta incontestabilmente smentita dalla sentenza impugnata, circostanze in aperto contrasto con quanto sostenuto dalla difesa in ricorso.

Infine, la motivazione della sentenza impugnata appare del tutto coerente con la giurisprudenza di legittimità, secondo cui il limite della continenza nel diritto di critica è superato in caso di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato (Sez. 5, n. 320 del 14/10/2021, dep. 10/01/2022, Mihai Traian Claudiu, Rv. 282871; Sez. 5, n. 15089 del 29/11/2019, P.M. c. Cascio Antonino, Rv. 279084; Sez. 5, n. 15060 del 23/02/2011, Dessì e altro, Rv. 250174).

Nel caso in esame, quindi, il contesto di contrasto politico appare del tutto genericamente evocato, e, in molti casi, del tutto escluso dalla sentenza impugnata, apparendo, quindi, le frasi e gli epiteti utilizzati non inquadrabili neanche in un contesto di contrapposizione politica, né di dileggio personale tra soggetti legati da vincoli di conoscenza, con conseguente piena integrazione della condotta di diffamazione.

Va, infatti, rilevato che benché determinati epiteti, quali quelli utilizzati dall’imputato, siano entrati nel linguaggio comune o rappresentino modalità verbali colloquiali, nondimeno la loro valenza offensiva non è stata vanificata dall’uso, ma semplicemente attenuata in riferimento, tuttavia, a contesti specifici – quali quelli di tipo colloquiale, personale, tra soggetti legati da vincoli di amicizia e simili – dovendo ritenersi come la valenza denigratoria insita nel lemma lessicale si riespanda totalmente allorquando l’uso risulti del tutto gratuito, come verificatosi nel caso in esame.

Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso discende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, liquidate in complessivi euro 3.500,00 oltre oneri accessori.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 3.500,00 oltre oneri accessori.

Così deciso in Roma, il 17/02/2023.

Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2023.

SENTENZA -.