Per la Cassazione, nessuna diffamazione, sull’allora Ministro Lorenzin, definita corrotta su Facebook per l’obbligo vaccinale (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 20 novembre 2023, n. 46496).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

QUINTA SEZIONE PENALE

Composta da:

GRAZIA ROSA ANNA MICCOLI    – Presidente –

EDUARDO DE GREGORIO

MICHELE ROMANO

DANIELA BIFULCO

VINCENZO SGUBBI                       – Relatore –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) nato a TRAPANI il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 25/01/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. VINCENZO SGUBBI;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. FERDINANDO LIGNOLA che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio perché il fatto non costituisce reato;

lette le conclusioni del difensore di parte civile, avv. (OMISSIS) (OMISSIS), che ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso;

lette le conclusioni del difensore del ricorrente, avv. (OMISSIS) (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Palermo ha riformato solo sotto il profilo sanzionatorio la pronuncia con la quale il Tribunale di Trapani, in data 18 giugno 2021, aveva condannato (omissis) (omissis), anche a fini civili, per il delitto di diffamazione commesso attraverso l’utilizzo della piattaforma “Facebook”, il 14 giugno 2017, nei confronti dell’allora Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin.

La vicenda riguardava la frase che il ricorrente aveva pubblicato, a commento della c.d. campagna vaccinale disposta dopo un’epidemia di morbillo, in questi termini: «Lorenzin obbliga gli italiani popolo sano a 12 vaccini. Siete i politici più corrotti del mondo fatevi un vaccino anticorruzione».

La Corte di appello di Palermo ha ritenuto che il commento fosse senza dubbio rivolto al Ministro, in quanto responsabile politico del decreto-legge che portava il suo nome, e che fossero stati travalicati i limiti del diritto di critica.

2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore avv. (omissis), articolando un unico motivo, che viene di seguito enunciato negli stretti limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.

Si deducono i vizi di violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta insussistenza della scriminante del diritto di critica.

Secondo il ricorrente, la Corte di appello avrebbe arbitrariamente attribuito alla frase pubblicata su Facebook un significato diverso ed ulteriore rispetto a quello fatto proprio dal senso delle parole usate: che, cioè, l’obbligo vaccinale fosse stato introdotto in ragione di accordi corruttivi tra il Ministro e case farmaceutiche. Al contrario, quella usata dal ricorrente era una frase priva di riferimenti personali, dal tono sferzante ed ironico.

L’aggettivo “corrotto” ha ormai un significato non infamante, e dunque il suo utilizzo non è di per sé incompatibile con il rispetto della continenza espositiva. Il riferimento alla necessità di un “vaccino anticorruzione” avrebbe un significato ironico.

In ogni caso, il dibattimento avrebbe dimostrato il contesto di critica politica nel quale la frase è stata pubblicata: il ricorrente, infatti, sarebbe stato iscritto ad un movimento politico che in quel momento criticava le scelte del governo.

Infine, il commento era di interesse pubblico e pertinente ad un vivace dibattito che aveva accompagnato l’introduzione dell’obbligo vaccinale per i minori.

3. Il ricorso è stato trattato, senza intervento delle parti, nelle forme di cui all’art. 23, comma 8, legge n. 176 del 2020 e successive modifiche.

Il Procuratore generale ha concluso per iscritto chiedendo l’annullamento senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.

Richiamata la giurisprudenza della Corte di Strasburgo in materia, il Procuratore generale ha osservato che nel caso concreto sussiste la verità del fatto, sotto il profilo di una “base fattuale sufficiente”: il post ritenuto diffamatorio, infatti, era stato pubblicato in seguito all’emanazione di un decreto del Ministro della Salute a seguito di un’epidemia.

Ciò premesso, secondo il Procuratore generale non sono travalicati i limiti del diritto di critica: tenuto conto della posizione pubblica rivestita dalla persona offesa e dell’interesse della notizia, le espressioni pur forti usate dall’imputato nella seconda parte della frase incriminata dovrebbero ritenersi scriminate, non potendosi pretendere, nell’ambito della critica politica, che i giudizi espressi siano rigorosamente obiettivi ed asettici. Le espressioni usate dal ricorrente sarebbero state dirette all’attività politica svolta dalla persona offesa e non già alla sua persona.

Infine, il Procuratore generale ha sottolineato che si tratta di un post pubblicato in risposta ad altro commento di un esponente politico di opposizione, e che in ogni caso il tono usato è stato satirico e pertanto “iperbolico”.

Il difensore della parte civile, avv. (omissis) (omissis), ha depositato memoria, replicando alle osservazioni del Procuratore generale che, nel caso di specie, non si discute del nucleo essenziale di verità della prima parte della frase, riferita evidentemente al dato non discusso della emanazione del c.d. decreto vaccini; quanto piuttosto della seconda parte della frase, nella quale si è accusata la Lorenzin di essere corrotta.

La parte civile ricorda giurisprudenza della Corte di cassazione che si è occupata di diffamazioni nei confronti di magistrati definiti “corrotti”, nonché di fatti analoghi commessi ai danni di altri pubblici ufficiali, ed evidenzia il danno alla reputazione insito in affermazioni quale quella di cui si discute, che allude ad una decisione presa dal Ministro non già in vista della tutela di interessi pubblici, quanto di interessi privati aventi causa in accordi corruttivi con le case farmaceutiche.

Osserva che il commento è indubbiamente diretto, come si evince anche dalla prima parte della frase, nei confronti dell’allora Ministro e non già di tutta la classe politica, e contesta si tratti di una risposta ad altro post, trattandosi invece di commento pubblicato nella pagina personale dell’imputato. I limiti del diritto di critica sono dunque travalicati.

Per tali ragioni il difensore della parte civile ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso ed ha depositato nota spese.

Il difensore del ricorrente, avv. (omissis) (omissis), si è riportato al ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Va premesso che, in materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare la frase che si assume lesiva della altrui reputazione perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e quindi della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell’imputato (Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, dep. 2020, Fabi, Rv. 278145; Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014, Demofonti, Rv. 261284; Sez. 5, n. 41869 del 14/02/2013, Fabrizio, Rv. 256706).

2. Ciò detto, il ricorso è fondato.

3. Nel caso di specie non si discute della verità o veridicità del fatto esposto, né dell’interesse pubblico alla notizia.

Non è in discussione che, nel momento in cui il commento del quale si discute fu pubblicato, fosse in corso un dibattito sul c.d. decreto Lorenzin e che fosse del tutto corrispondente all’interesse pubblico l’approfondimento ed il dibattito, anche in chiave critica, di tutte le questioni che l’obbligo vaccinale da tale decreto introdotto comportava.

In materia di diffamazione a mezzo stampa o, come nel caso sottoposto a giudizio, con «altro mezzo di pubblicità», il diritto di critica politica consentito, che trova fondamento nell’interesse all’informazione dell’opinione pubblica e nel controllo democratico nei confronti degli esponenti politici e dei pubblici amministratori, non deve comunque essere avulso da un nucleo di verità (Sez. 5, n. Sez. 5, n. 31263 del 14/09/2020, Capozza, Rv. 279909).

Il nucleo di verità insito nel commento critico è, appunto, relativo alla decisione che il Ministro aveva proposto.

Detto ciò, non si discute del diritto del ricorrente di esprimere la propria opinione, anche con toni aspri proprio in ragione della natura pubblica del personaggio oggetto di attacchi, e cioè del Ministro della Salute che si identificava con la persona e con la responsabile dell’istituzione direttamente coinvolta nella scelta politica sottoposta a censura. Si discute, invece, del tono e delle espressioni utilizzate, nella prospettiva del riconoscimento, o meno, dell’invocata scriminante.

La parte civile, nella memoria con la quale ha replicato alle argomentazioni del Procuratore generale, ha correttamente osservato che non corrisponde alla verità o veridicità del fatto storico la circostanza che il Ministro della Salute fosse corrotta; ed altrettanto correttamente ha osservato che la frase utilizzata dal ricorrente (si discute, come è chiaro, della seconda parte del commento, quello cioè nel quale si parla di “politici più corrotti del mondo” e di “vaccino anticorruzione”) fosse suscettibile di ledere la reputazione del soggetto preso di mira.

Partendo dall’ultima osservazione, nel momento stesso in cui si invoca, da parte del ricorrente, la scriminante del diritto di critica si dà per presupposto che la reputazione sia stata lesa, perché se la frase di cui si discute non fosse stata offensiva mancherebbe la stessa tipicità del fatto, e cioè appunto l’offesa alla reputazione; il ricorrente, invece, invoca il diritto di critica che incide, come ogni causa di giustificazione, sull’antigiuridicità del fatto, certamente tipico. Dunque, non si discute dell’offensività della frase, ma della sua illiceità alla luce del diritto di critica politica. Nemmeno coglie nel segno l’ulteriore osservazione che riguarda la “verità” del fatto.

Non si discute certo della verità o veridicità di una notitia criminis di corruzione, bensì della notizia relativa all’annunciato decreto vaccinale.

Su di esso si è innestata la reazione critica del ricorrente (e di altri frequentatori della piattaforma sulla quale il commento fu pubblicato), espressa con la frase di cui si discute, e della quale dunque non va valutata la verità o veridicità, ma solo la continenza, secondo gli approdi cui è giunta la giurisprudenza della Corte di cassazione in tema di c.d. critica politica.

4. Il diritto di critica si concretizza in un giudizio valutativo che, postulando l’esistenza del fatto elevato a oggetto o spunto del discorso critico, trova una forma espositiva non ingiustificatamente sovrabbondante rispetto al concetto da esprimere; di conseguenza va esclusa la punibilità di coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale, purché tali modalità espressive siano adeguate e funzionali all’opinione o alla protesta, in correlazione con gli interessi e i valori che si ritengono compromessi (Sez. 1, n. 36045 del 13/06/2014, Surano, Rv. 261122).

La critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale e non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica (Sez. 5, n. 25518 del 26/09/2016, dep. 2017, Volpe, Rv. 270284). Nondimeno, occorre rispettare il requisito della “continenza” delle espressioni utilizzate per esprimere la propria opinione.

Nella valutazione di tale requisito non si può prescindere dal considerare le “espressioni utilizzate” (Sez. U, n. 37140 del 30/05/2001, Galiero, Rv. 219651), il lessico (Sez. 5, n. 6925 del 21/12/2000, dep. 2001, Arcomanno, Rv. 218282), la modalità espositiva e il tenore del linguaggio (Sez. 5, n. 8898 del 18/01/2021, Fanini, Rv. 280571; Sez. 5, n. 8824 del 01/12/2010, dep. 2011, Morelli, Rv. 250218; Sez. 5, n. 31096 del 04/03/2009, Spartà, Rv. 244811; Sez. 5, n. 25138 del 21/02/2007, Feltri, Rv. 237248).

Occorre però tener presente che, ferma l’esigenza di evitare gratuite ed immotivate aggressioni, il diritto di critica consente l’utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, hanno anche il significato di mero giudizio critico negativo di cui si deve tenere conto alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato (Sez. 5, n. 17243 del 19/02/2020, Lunghini, Rv. 279133); e che occorre considerare il significato che le espressioni assumono nel contesto comune, laddove sono accettate dalla maggioranza dei cittadini espressioni più aggressive e disinvolte di quelle ammesse nel passato, per effetto del mutamento della sensibilità e della coscienza sociale (cfr. Sez. 5, n. 39059 del 27/06/2019, Fiorato, Rv. 276961).

Ciò è tanto più vero quando si discuta di commenti pubblicati sui social networks, dove è frequente l’uso di espressioni forti in chiave di immediato e poco meditato commento critico, espressioni che vanno considerate penalmente illecite solo laddove immediatamente e inequivocabilmente percepibili come offensive secondo parametri di comune comprensione, ancorati al registro di verifica dell’uomo medio (Sez. 5, n. 1365 del 09/11/2022, dep. 2023, Simone, Rv. 284044): pena, altrimenti, la violazione dei principi che la giurisprudenza interna ha stabilito, in ossequio alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo sull’art. 10 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, che richiede la più ampia tutela e protezione della libertà di espressione, specie quando riguardi la manifestazione di opinioni su questioni di interesse pubblico (su quest’ultimo punto si veda Corte EDU, Antunes Emídio e Soares Gomes da Cruz c. Portogallo, 24/09/2019).

Inoltre, anche una frase che pure abbia connotazioni indubitabilmente offensive può connotarsi in termini di mero giudizio critico negativo, a seconda del contesto nel quale essa viene pronunciata (Sez. 5, n. 37397 del 24/06/2016, C., Rv. 267866).

Da questo punto di vista, va sottolineato che il commento pubblicato dal ricorrente si inseriva in un più ampio contesto, inaugurato da un messaggio offensivo che proveniva da un esponente politico di opposizione, al quale avevano fatto seguito diversi messaggi, dal tono più o meno pesante.

Si trattava, dunque, di un contesto nel quale l’oggetto del dibattere era costituito dal decreto vaccini, rispetto al quale i partecipanti alla discussione esprimevano il proprio punto di vista di radicale dissenso.

Non va taciuto, nella ricostruzione del contesto, che se non vi è dubbio che il Ministro della salute pro tempore fosse nominativamente indicata, sia nel messaggio in oggetto che in altri messaggi, come il soggetto cui erano indirizzate le critiche, la frase che riveste tono offensivo è in questo caso rivolta alla classe politica intera, apostrofata in chiave critica attraverso l’uso, in termini generici e grossolani, dell’aggettivo “corrotta”.

L’espressione finale, poi, si caratterizza per una formula iperbolica (attraverso il riferimento al “vaccino anticorruzione”) tipica di un linguaggio volutamente polemico e acceso, ma non contenente un argomento ad hominem.

La parte civile ricorda una sentenza di questa Sezione che non ha ritenuto scriminata l’accusa di “corruzione” rivolta ad un magistrato, ed invoca parità di trattamento per un esponente politico.

In generale l’osservazione va naturalmente condivisa, ma occorre considerare che il caso citato dalla parte civile (Sez. 5, n. 27930 del 13/04/2018, Morini, non massimata) era decisamente diverso da quello qui esaminato, sia perché il commento offensivo definiva espressamente il giudice preso di mira, indicato per nome, come “giudice corrotto”, sia perché l’affermazione offensiva era accompagnata dall’allegazione di circostanze false, sicché difettava anche il preliminare requisito della verità o veridicità del fatto commentato.

Verità o veridicità che, nel contesto qui giudicato, sussiste con riguardo al fatto al quale il commento offensivo si riferisce, e cioè all’iniziativa politica dell’odierna parte civile.

A proposito di quest’ultimo aspetto, ed in conclusione, si deve tener conto anche della perdita di carica offensiva di alcune espressioni nel contesto politico, in cui la critica assume spesso toni aspri e vibrati e del fatto che la critica può assumere forme tanto più incisive e penetranti quanto più elevata è la posizione pubblica del destinatario (Sez. 5, n. 27339 del 13/06/2007, Tortoioli, Rv. 237260): come ha correttamente osservato il Procuratore generale, «il livello e l’intensità, pur notevoli delle censure indirizzate a mo’ di critica a coloro che occupano posizioni di rilievo nella vita pubblica, non escludono l’operatività della scriminante, poiché nell’ambito politico risulta preminente l’interesse generale al libero svolgimento della vita democratica».

In conclusione, le espressioni offensive utilizzate, pur aspre, sono strettamente connesse all’attività politica del soggetto passivo, tanto più che il commento davvero irriverente è genericamente riservato, quale chiosa all’esposizione del dato vero della volontà politica del Ministro che il ricorrente non apprezzava, all’intera classe politica. Il fatto tipico dunque sussiste, ma esso non è antigiuridico in quanto scriminato ai sensi dell’art. 51 cod. pen.

5. Pertanto la sentenza va annullata senza rinvio, perché il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.

Così deciso il 27/10/2023.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.