Reati fiscali autonomi rispetto agli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 17 gennaio 2024, n. 2051).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE PENALE

Composta da

Dott. Luca Ramacci – Presidente –

Dott. Antonella Di Stasi – Consigliere –

Dott. Antonio Corbo – Consigliere –

Dott. Alessandro Maria Andronio – Relatore –

Dott. Maria Beatrice Magro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

(omissis) (omissis), nato a Livorno il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 12/07/2022 della Corte di appello di Firenze;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Alessandro Maria Andronio;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Mariaemanuela Guerra, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 12 luglio 2022, la Corte di appello di Firenze ha confermato al sentenza del Tribunale di Livorno del 4 febbraio 2021, con la quale – per quanto qui rileva – l’imputato era stato condannato per i seguenti reati (indicati con numerazione corrispondente ai relativi capi di imputazione):

1) art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, perché, quale legale rappresentante (dal 5 settembre 2013) della Autotrasporti (omissis) s.r.l. (fallita il 30 marzo 2017), al fine di evadere le imposte sui redditi e l’Iva, non presentava le previste dichiarazioni relative all’anno 2012;

3) art. 10 del d.lgs. n. 74 del 2000, perché nella stessa veste, al fine di evadere le imposte sui redditi e l’Iva, distruggeva o comunque occultava scritture contabili e libri sociali di cui è obbligatoria la conservazione in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi del volume di affari per il periodo dal 1 gennaio 2012 al 14 marzo 2017;

4) artt. 216, primo comma, n. 2), e 223 della legge fallimentare, perché nella stessa veste, distruggeva o comunque sottraeva, con lo scopo di procurarsi ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, libri e scritture contabili o comunque li teneva in modo tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

2. Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.

2.1. Con un primo motivo di doglianza, si censurano vizi della motivazione circa la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, con particolare riferimento all’assunzione di testimonianza su circostanze emerse dopo il dibattimento.

La difesa sostiene che vi era la necessità di sentire il curatore del fallimento Autotrasporti (omissis) e il funzionario dell’Agenzia delle Entrate che aveva proceduto all’accertamento sulla circostanza che – come risulta dallo stato passivo e confermato dallo stesso curatore – l’erario non si era insinuato al passivo fallimentare per le imposte e sanzioni pecuniarie relative agli anni 2012-2017, perché nessun danno era stato cagionato all’erario stesso.

Secondo la difesa, l’escussione del funzionario dell’Agenzia delle Entrate avrebbe potuto far risultare l’esatto ammontare delle imposte evase; sul punto vi erano elementi nuovi, rappresentati dalla notifica di separati avvisi di accertamento, la cui conoscenza era sopravvenuta il 12 marzo 2021.

Il ricorrente afferma che la doglianza proposta in appello era necessariamente vaga e generica, ma non avrebbe potuto essere precisata meglio, dal momento che non potevano essere conosciute né le risposte del curatore circa la mancata impugnazione degli avvisi di accertamento e l’inesistenza al passivo di insinuazione erariale, né quelli del funzionario dell’Agenzia che avrebbe dovuto esplicitare il metodo e le conclusioni dell’accertamento eseguito.

2.2. Un secondo motivo di doglianza è riferito alla manifesta illogicità della motivazione quanto alla ritenuta sussistenza dell’elemento materiale e psicologico di reati di bancarotta fraudolenta documentale e di sottrazione o distruzione di documentazione contabile.

La difesa ribadisce che non si era verificata alcuna sottrazione o distruzione di contabilità e non era stato particolarmente difficile procedere alla ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari da parte degli inquirenti.

Si sostiene che manca l’elemento materiale dei reati sopra menzionati, perché le scritture contabili, il libro giornale, il libro degli inventari non erano mai stati istituiti, cosicché non avrebbero potuto essere occultati o distrutti.

Si contesta la motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui sostiene che le scritture contabili e la documentazione erano effettivamente tenute, sul rilievo che (omissis) aveva restituito tutto quanto detenuto e che vi era un’eccezione difensiva relativa alla sottrazione delle scritture contabili da parte della dipendente (omissis).

La difesa sostiene che l’istituzione delle scritture contabili da parte di (omissis) era riferita solo al 2012, anno in cui l’imputato non era amministratore e che in seguito le scritture non erano più stati istituite e, anche se negli anni 2013-2014 venivano tenute annotazioni di operazioni commerciali svolte e venivano conservate le fatture attive e passive ricevute.

Si critica anche l’argomento della sentenza impugnata secondo cui la parziale documentazione rinvenuta, anche presso terzi, conferma l’esistenza della restante documentazione.

Sul punto, il ricorrente sostiene che tale documentazione consiste in tre fatture ed estratti conto bancari, mentre analoghe considerazioni possono essere riportate per quanto attiene all’elemento materiale del reato dell’art. 10 del d.lgs. n. 74 del 2000.

Quanto all’elemento soggettivo, si afferma che non potrebbero essere attribuiti all’imputato i reati fiscali e commerciali commessi fino al 5 settembre 2013, data del suo insediamento nella carica di amministratore.

Si ribadisce che la ricostruzione del volume degli affari e delle operazioni commerciali non è stata particolarmente difficoltosa, perché svolta sulla base delle entrate e uscite bancarie e della “prima nota” tenuta dall’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

1.1. Relativamente alla mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, per l’espletamento di prova testimoniale su fatti asseritamente nuovi – perché emersi dopo il 12 marzo 2021 – la stessa difesa ammette che la doglianza proposta in appello era necessariamente vaga e generica e richiama – con il ricorso per cassazione – una finalità tipicamente esplorativa, quale la messa in discussione dell’esistenza del credito erariale e dei criteri e risultati dell’accertamento.

Quanto al primo profilo, del resto, il ricorrente pretende di desumere l’insussistenza del credito verso l’erario dalla mancata insinuazione dell’erario stesso al passivo del fallimento; circostanza del tutto il rilevante a fini penali.

Quanto al secondo profilo, si limita a generiche considerazioni critiche che non tengono conto della motivazione della sentenza impugnata.

Quest’ultima risulta, peraltro, caratterizzata da particolari ampiezza argomentativa proprio sul punto del diniego di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, giacché evidenzia come gli accertamenti della Guardia di Finanza siano stati approfonditi e articolati e ribadisce l’autonomia dell’accertamento penale rispetto a quello tributario svolto dall’Agenzia delle Entrate.

Ciò emerge con chiarezza – secondo la corretta valutazione dei giudici di primo e secondo grado – da quanto accertato dal maresciallo (omissis), il quale ha precisato nel dettaglio le modalità di svolgimento dell’accertamento e dei computi effettuati (pagg. 15-17 della sentenza impugnata) e trova conferma in quanto dichiarato dal curatore fallimentare circa la tenuta della contabilità e circa i criteri di computo, senza che la relazione depositato da quest’ultimo valga a fondare la necessità di integrazioni istruttorie, perché la prova della sussistenza degli elementi costitutivi dei reati ascritti deve ritenersi pienamente raggiunta (pagg. 18-19 della sentenza).

In tale quadro – contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa – nessun elemento di novità rilevante a fini istruttori può ritenersi emerso il 12 marzo 2021, perché tale non è l’emissione di atti di accertamento nel procedimento amministrativo tributario, irrilevanti a fini penali e, comunque, già menzionati dallo stesso curatore (pagg. 17-18 della sentenza).

Più in generale deve ribadirsi come, dal sistema del d.lgs. n. 74 del 2000 – e, in particolare, dagli artt. 20-21 – emerga la totale autonomia dell’accertamento svolto dalla polizia giudiziaria ai fini penali rispetto a quello svolto dall’Agenzia delle Entrate a fini tributari; con la conseguenza che l’eventuale inerzia di quest’ultima, eventualmente manifestata attraverso l’omessa emanazione di avvisi di accertamento o l’omessa insinuazione dell’erario al passivo di un fallimento, non influisce sulla prova dell’esistenza del debito tributario o del profitto illecito rilevanti a fini penali.

Ne deriva l’inammissibilità della prima censura del ricorrente.

2.2. Il secondo motivo di doglianza è parimenti inammissibile, perché costituisce la mera riproduzione di censure già formulate in appello (secondo e terzo motivo) e motivatamente disattese dalla Corte territoriale.

La difesa ribadisce le sue generiche considerazioni circa la mancata istituzione delle scritture contabili nel periodo di riferimento e circa la mancanza di difficoltà dell’accertamento svolto dalla Guardia di Finanza sulla base degli elementi a disposizione.

Si tratta di affermazioni puntualmente smentite nella sentenza impugnata, nella quale si precisa come l’imputato stesso abbia indicato che la (omissis), segretaria della società, avesse fatto sparire le scritture contabili prima di fuggire in Ungheria; scritture inizialmente tenute dalla (omissis) s.a.s. e da questa restituite.

Né vale in senso contrario l’affermazione secondo cui tali scritture si riferirebbero solo all’anno 2012, trattandosi di una mera asserzione che non tiene conto degli esiti dell’attività istruttoria svolta, i quali non sono né specificamente richiamati né sottoposti a critica.

A ciò si aggiunge la prova rappresentata dalla parziale documentazione rinvenuta presso terzi a seguito degli accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza.

Quanto, infine, alla ricostruzione a posteriori del patrimonio e della movimentazione degli affari, questa è stata possibile – secondo la corretta e conforme valutazione dei giudici di primo e secondo grado – solo a seguito di approfonditi accertamenti da parte della polizia giudiziaria, nonostante i maldestri tentativi dell’imputato di ostacolarne l’operato, che evidenziano con chiarezza la sussistenza dell’elemento soggettivo dei reati contestati.

3. Il ricorso, per tali motivi, deve essere dichiarato inammissibile.

Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 04.10.23.

Depositato in Cancelleria, oggi 17 gennaio 2024.

SENTENZA