REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
GERARDO SABEONE Presidente
LUCA PISTORELLI
PIERANGELO CIRILLO
MICHELE CUOCO
CARLO RENOLDI Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;
(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;
(omissis) (omissis) nato a (omissis) (omissis) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 15/03/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. CARLO RENOLDI;
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. TOMASO EPIDENDIO, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi;
udito, per la parte civile, (omissis) (omissis) l’avv. (omissis) (omissis) che in sostituzione dell’avv. (omissis) (omissis) ha chiesto la declaratoria di inammissibilità e, in subordine, il rigetto del ricorso depositando conclusioni e nota spese;
udito, per (omissis) (omissis) l’avv. (omissis) (omissis) che si é riportato ai motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento, nonché lo stesso avv. (omissis) (omissis) quale sostituto processuale dell’avv. (omissis) (omissis) per (omissis) (omissis) dell’avv. (omissis) (omissis) per (omissis) (omissis) dell’avv. (omissis) (omissis) per il quale ha concluso riportandosi ai motivi dei ricorsi e chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 10 dicembre 2021, emessa all’esito di giudizio abbreviato, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Agrigento aveva riconosciuto la responsabilità penale di (omissis) (omissis), (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) in relazione ai delitti, unificati dalla continuazione, previsti dagli artt. 110, 112, primo comma 1, nn. 1 e 4, 81 cpv. e 613-bis cod. pen., per avere, in concorso tra loro e con i minori cagionato a invalido civile e in condizioni di minorata difesa, attraverso reiterate violenze fisiche e minacce gravi, acute sofferenze fisiche e traumi psichici e un trattamento inumano e degradante, anche introducendosi arbitrariamente nell’abitazione della persona offesa e talvolta pubblicando sui social network i filmati delle vessazioni (capo A) e dagli artt. 61, nn. 2 e 5, cod. pen., 110, 112, primo comma, nn. 1 e 4, 81 cpv. e 614, primo e quarto comma, cod. pen., per essersi introdotti arbitrariamente all’interno dell’abitazione di (omissis) (omissis) in due occasioni, al fine di eseguire ii reato di cui al capo A), approfittando dell’apertura della finestra, e, in altra circostanza, dopo aver rotto i vetri delle finestre, intrattenendosi in tale luogo con violenza alla persona (capo C);
i soli (omissis) e (omissis) dei reati, unificati dalla continuazione anche con gli altri ad essi contestati, previsti dagli artt. 110, 61, nn. 2 e 5, 605 cod. pen., perché, al fine di eseguire ii reato di cui al capo A), dopo aver sorpreso mentre passeggiava lungo la pubblica via, immobilizzatolo e trascinatolo a terra, lo avevano legato e colpito ripetutamente con calci al corpo, ordinandogli di «non andare in caserma», deridendolo e umiliandolo, per poi scappare lasciandolo per strada, a terra e legato, dapprima riprendendo la scena con un cellulare e, successivamente, diffondendo il video sui social network con commenti che lo deridevano: in (omissis) il 15 gennaio 2021 (capo B);
agli artt. 110 e 613-bis cod. pen., per avere, in concorso tra loro, cagionato a invalido civile e in condizioni di minorata difesa, attraverso reiterate violenze fisiche e minacce gravi, acute sofferenze fisiche e traumi psichici e un trattamento inumano e degradante, consistiti, nel gennaio 2021, mentre-filmava la scena con uno smartphone e derideva la vittima, nell’avere-percosso (omissis) minacciandolo di morte ove «avesse guardato ancora le donne», nel trascinare la persona offesa verso un’autovettura e sbattendogli reiteratamente la testa contro lo sportello, tanto da causargli dolore all’occhio sinistro: in (omissis) nel gennaio 2021 (capo Bl);
all’art. 697 cod. pen. in relazione all’art. 38, r.d. n. 773 del 1931, perché, senza aver fatto denuncia all’Autorità amministrativa, deteneva presso l’abitazione, unitamente a tre coltelli a serramanico di 9, 5 e 8 cm., un tirapugni di metallo (capo Cl), il solo (omissis) dei delitti, unificati agli altri dal vincolo della continuazione, previsti dagli artt. 61, nn. 2 e 5 e 377, primo e terzo comma, cod. pen., perché, sottoposto al regime degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, approfittando di un permesso concessogli dall’Autorità giudiziaria, avvicinava lungo la pubblica via (omissis) che avrebbe dovuto testimoniare il giorno dopo nell’ambito del presente procedimento, minacciandolo e intimandogli di «togliergli la denuncia», al fine di indurlo a commettere falsa testimonianza, il 22 marzo 2021 (capo C3);
dagli artt. 110 e 613-bis, primo e quarto comma, cod. pen., per avere, con altri soggetti in corso di identificazione, cagionato a (omissis) invalido civile e in condizioni di minorata difesa, attraverso reiterate violenze fisiche, umiliazioni e minacce gravi, acute sofferenze fisiche e traumi psichici, nonché un trattamento inumano e degradante, aggredendolo sulla pubblica via, afferrandolo per i capelli e strattonandolo ripetutamente e, in altra occasione, afferrandolo per la testa e facendogliela sbattere, ripetutamente, contro una saracinesca, deridendolo e continuando a colpirlo, nonostante che la persona offesa lo supplicasse di smetterla perché gli mancava il respiro, filmando le relative scene con uno smartphone, per poi fuggire con i complici, non identificati, sulla vettura con cui erano giunti sul posto: in data 8 e 17 gennaio 2021 (capo D);
il solo (omissis) del reato, unificato agli altri dalla continuazione, di cui agli artt. 61, nn. 2 e 5, 377, commi 1 e 3, cod. pen., perché, al fine di garantire a se e ai complici l’impunità per i reati contestati ai capi A), B), Bl) e C), essendo a conoscenza che (omissis) avrebbe dovuto testimoniare nel presente procedimento, usava violenza e lo minacciava di morte per indurlo a commettere falsa testimonianza, schiaffeggiandolo, per farlo desistere, fin quando la persona offesa negava di aver sporto denuncia, il 7 marzo 2021 (capo C2), e condannandoli, con la diminuente per il rito, rispettivamente alle pene di 9 anni, di 7 anni e di 8 anni di reclusione.
Con lo stesso provvedimento anche (omissis) (omissis) fu condannato alla pena, ridotta per il rito, di 7 anni di reclusione in quanto ritenuto colpevole dei reati, unificati dalla continuazione, di cui agli artt. 110, 112, primo comma, nn. 1 e 4, 81 cpv. e 613-bis cod. pen., per avere, in concorso con altri soggetti, tra cui il fratello minore, più azioni anche in tempi diversi, cagionato a (omissis) con (omissis) e in condizioni di minorata difesa, attraverso reiterate violenze fisiche e minacce gravi, acute sofferenze fisiche e traumi psichici e un trattamento inumano e degradante: in particolare, in un’occasione, in concorso con altri soggetti, tra cui il fratello minore, dopo avere immobilizzato, all’interno di una stalla, la persona offesa e averle legato le mani e i piedi, per avere tentato di metterle un secchio in testa, facendola rovinare a terra e colpendola ripetutamente con un bastone in legno, nonostante che supplicasse di essere liberato, deridendola e filmando la scena con uno smartphone; in altra occasione, in concorso con altro individuo, per avere imbrattato il viso di (omissis) con vernice verde, inseguendolo con una Moto Ape lungo una strada “fuori paese” e riprendendolo mediante uno smartphone – nonostante che (omissis) tentasse di nascondersi con il cappuccio del giubbotto – per poi pubblicare il video sul profilo facebook riconducibile a (omissis) e denominate- in epoca anteriore e prossima al 18 gennaio 2021 (capo E);
agli artt. 110, 61, nn. 2 e 5, 605 cod. pen., perché, al fine di eseguire il reato di cui al capo che precede, in concorso con altri soggetti, tra cui il fratello minore, privava della libertà personale (omissis) (omissis) persona invalida e incapace di difendersi – per un apprezzabile lasso di tempo, in epoca anteriore e prossima al 18 gennaio 2021 (capo F).
2. Con sentenza in data 15 marzo 2023, la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza di primo grado:
– per (omissis) (omissis) tenuto conto dell’assorbimento nel capo A) del delitto di cui all’art. 605 cod. pen. contestato al capo B), previa esclusione della continuazione interna tra i reati di cui all’art. 613-bis cod. pen. contestati al capo A), ha ridotto la pena inflittagli a 7 anni e 6 mesi di reclusione, con conferma, nel resto, della sentenza impugnata in relazione ai capi A), Bl), C) e Cl);
– per (omissis) (omissis) ha ridotto la pena inflittagli a 5 anni e 10 mesi di reclusione;
– per (omissis) (omissis) ha ridotto la pena a 4 anni di reclusione, con sostituzione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici con quella dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di 5 anni;
– per (omissis) (omissis) esclusa la continuazione interna per i reati di cui all’art. 613-bis cod. pen. contestati ai capi A), D) e di cui all’art. 613-bis contestato ai capi A) ed E), ha ridotto la pena inflittagli a 6 anni e 6 mesi di reclusione.
2.1. All’esito dell’istruttoria compiuta nei due gradi di giudizio, le due sentenze di merito hanno ritenuto provati i fatti contestati a partire dall’acquisizione di nove video, diffusi in rete, su social network e su applicazioni informatiche – quali facebook e whatsapp – riprendenti atti di gratuita violenza e di scherno posti in essere dagli odierni imputati (omissis) (omissis), (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) e di altri soggetti minorenni, nei cui confronti si é proceduto separatamente, ai danni di soggetti fragili ed emarginati del comune di (omissis) identificati in (omissis) (omissis), (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) ritenuti incapaci di difendersi e, quindi, in stato di minorata difesa.
Tali videoriprese sono state confermate, nel loro contenuto, dalle dichiarazioni delle stesse persone offese, rese in sede di indagini preliminari e reiterate in sede di incidente probatorio con l’ausilio di una psicologa nominata in ragione del loro stato di vulnerabilità, e da (omissis) (omissis) padre di (omissis) (omissis) nonché da altri filmati estrapolati dai telefoni cellulari degli imputati, grazie ai quali é stata individuata sia una nuova vittima, identificata in (omissis) (omissis) di reato, sia un altro autore di reato, (omissis) (omissis).
3. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione (omissis) (omissis) a mezzo del difensore di Fiducia, avv. (omissis) (omissis) deducendo quattro distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d), proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 603 e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto non necessaria la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale finalizzata a disporre una perizia medico-legale al fine di verificare le effettive condizioni psicofisiche, nonché lo status di disabile attribuito alle persone offese, (omissis) (omissis) avendo la Corte territoriale dedotto la loro condizione di minorata difesa da elementi evanescenti, quali l’uso di tranquillanti, e considerato che le reazioni descritte dalle vittime (come l’avere sorriso ai propri presunti aguzzini) non avrebbero evocato alcuna riduzione della capacità di resistenza.
II mancato approfondimento della condizione delle persone offese attraverso un accertamento peritale avrebbe inciso sulla completezza della motivazione, con violazione dell’art. 603, comma 1, cod. proc. pen. posto che il Giudice di appello sarebbe stato impossibilitato a decidere allo stato degli atti, in presenza di dati probatori contraddittori o, comunque, incerti.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 613-bis cod. pen. in relazione agli artt. 192 e 533 cod. proc. pen. La Corte di appello di Palermo avrebbe fatto un uso improprio del concetto di «minorata difesa» e di quello di «trattamento inumano e degradante», evocati attraverso ii ricorso a stereotipi e formule di stile.
II delitto di tortura dovrebbe essere escluso in quanto le azioni illecite commesse dall’imputato si sarebbero estrinsecate in un lasso temporale assai breve, dal dicembre 2019 all’11 gennaio 2021 e, infine, in data 16 gennaio 2021; nonché per il fatto che della «causazione di acuta sofferenza fisica o psichica» non vi sarebbe alcuna prova, essendosi i Giudici limitati a valorizzare le condizioni di salute delle persone offese esclusivamente sulla scorta delle loro dichiarazioni; tanto più che le condotte contestate non sarebbero connotate da grave violenza e crudeltà.
Ne l’agire di (omissis) sarebbe stato mosso dalla volontà di recare sofferenze e traumi gravi alla vittima, ma solo dall’intento di deriderla, pubblicando i relativi video sui social. Infatti, per l’integrazione del reato di tortura, l’azione dovrebbe tradursi in comportamenti degradanti e occorrerebbe che l’agente abbia voluto provocare una sofferenza della vittima per soddisfare un istinto sadico. Pertanto, non potrebbero condividersi le considerazioni svolte in sentenza in ordine al trattamento inumano e degradante provocato nelle vittime considerate che tali nozioni deriverebbero dall’art. 3 CEDU e che la Corte di Strasburgo avrebbe escluso dal concetto di tortura le condotte che comportano per la vittima “soltanto” un trattamento degradante o disumano.
Quanto al concetto di minorata difesa, esso costituirebbe un elemento accidentale del reato, sicché l’art. 3 Cost. non consentirebbe che l’art. 613-bis cod. pen. elevi detta condizione a elemento costitutivo del reato accanto a situazioni che presuppongono un rapporto qualificato tra il soggetto attivo e quello passivo, tanto più se la valutazione dello status di particolare vulnerabilità sia compiuta sulla scorta di mere percezioni della vittima, in specie quando, come nel caso esaminato, la prova centrale sia rappresentata dalle sole dichiarazioni di essa, tanto più ove essa sia portatrice di interessi economici all’affermazione di responsabilità dell’imputato. Invero, a nulla potrebbe rilevare, sotto il profilo probatorio, lo status di invalido civile riconosciuto a (omissis) (omissis) e a (omissis) (omissis) da parte dell’INPS, ne sarebbe pertinente il richiamo al principio del libero convincimento del giudice, che rileva con riferimento al memento della valutazione della prova e non anche a momenti anteriori del procedimento probatorio. Nel caso che occupa, i Giudici di merito non avrebbero seguito percorsi logici, affidandosi integralmente alle dichiarazioni accusatorie.
3.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 614 cod. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione che ha confermato la responsabilità di (omissis) per violazione di domicilio.
La decisione si sarebbe fondata unicamente sulle propalazioni della persona offesa, alla quale verrebbe attribuita credibilità nonostante l’assenza di prova certa, non potendo escludersi, stante la pregressa conoscenza tra l’imputato e (omissis) che questi abbia volontariamente aperto la porta della propria abitazione. Peraltro, i Giudici di merito avrebbero omesso qualsiasi tipo di valutazione in ordine alle condotte ascrivibili a ciascun imputato.
3.4. Con il quarto motivo, il ricorso deduce, ex 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 38, r.d. n. 773 del 1931 e dell’art. 697 cod. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui ha ritenuto integrato il reato di detenzione di armi a partire dal rinvenimento, nel domicilio, di tre coltelli a serramanico e di un tirapugni, senza indagare sull’elemento soggettivo del reato.
Peraltro, un coltello a serramanico non a scatto, con lama pieghevole azionabile con manovra manuale, non rientrerebbe tra le armi proprie, la cui detenzione é punita ai sensi dell’art. 697 cod. pen., ma sarebbe un’arma impropria la cui destinazione naturale non e l’offesa alla persona, il cui porto fuori dell’abitazione non sorretto da giustificato motive é punito ex art. 4, terzo comma, legge 18 aprile 1975, n. 110, ma la cui detenzione non costituirebbe reato.
4. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione anche (omissis) (omissis) a mezzo del difensore di fiducia, avv. (omissis) (omissis) deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciate nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione al mancato accertamento delle condizioni psicofisiche nonché dello status di disabile delle persone offese.
Nel dettaglio, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., che già con i motivi di appello era stata formulata istanza di riapertura dell’istruttoria dibattimentale al fine di accertare le effettive condizioni psicofisiche e lo status di disabile attribuito alle persone offese, affermato, in primo grado, soltanto a partire dalle loro dichiarazioni e in assenza di un accertamento tecnico che avrebbe fugato ogni dubbio circa le condizioni delle stesse rilevanti ai fini della minorata difesa.
Secondo la difesa, l’episodio del 17 gennaio 2017 non sarebbe connotato dalle condizioni richieste per la configurabilità del reato, data anche l’oggettività della certificazione medica contenente una prognosi di 10 giorni per «algia da contusione nella regione occipitale»; e la qualificazione dei fatti come tortura sarebbe erronea a fronte di singoli episodi in cui non verrebbe specificata la tipologia di minorata difesa della vittima, se non genericamente in relazione all’invalidità civile.
Dal punto di vista soggettivo, la volontà di (omissis) non sarebbe stata quella di recare sofferenze e traumi gravi alla vittima, ne di soddisfare presunti istinti sadici. Si sarebbe trattato di uno spiacevole gioco poi degenerate, cui (omissis) non avrebbe nemmeno partecipato sino in fondo, secondo quanto attestato dalla persona offesa. II Tribunale e la Corte di appello non avrebbero indicate, con puntualità, chiarezza e completezza, tutti gli elementi di fatto e di diritto sui quali si e fondata la decisione.
5. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione (omissis) (omissis) a mezzo del difensore di fiducia, avv. (omissis) (omissis) deducendo, con un unico motivo di impugnazione, formulate ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. e di seguito enunciate nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 613-bis cod. pen. e degli artt. 327-bis, 391-bis e 391-octies cod. proc. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla configurabilità del delitto di tortura.
Premesso che la norma incriminatrice intende tutelare ii bene giuridico della liberta morale o psichica, si opina che uno scherzo, per come recepito dalla persona offesa e dall’imputato, non consenta di integrare il reato contestato, anche considerato che il soggetto passivo, pur infastidito dal protrarsi «del gioco», non avrebbe avuto alcun timore per la propria incolumità, essendo una persona che viveva da sola, capace di autodeterminarsi benché affetta da un lieve ritardo mentale, che in passato «aveva avuto due bar» e che, in aula, era parsa tranquilla.
La Corte di appello avrebbe smentito la persona offesa, ritenendo che le immagini non consentissero di qualificare quanto avvenuto come un semplice scherzo (pag. 51 della sentenza impugnata), pesto che la vittima aveva urlato in mode sempre più forte per essere slegata.
Secondo la difesa, tuttavia, (omissis) (omissis) avrebbe urlato non perché stava soffrendo, ma perché non gli piaceva più il gioco, riportando le dichiarazioni con cui egli, sentito dal Pubblico ministero, aveva negato di avere avuto paura, sicché non avrebbe patito alcun turbamento psicologico da parte di (omissis) che continuava a indicare come suo amico e che con lui si comportava come un fratello.
Tali condotte, dunque, non avrebbero integrate l’art. 613-bis pen., che punisce soltanto fatti che costituiscano di per se reato (minaccia, percosse, lesioni, violenza privata) e che, al contempo, si caratterizzino per la loro idoneità a produrre acute sofferenze fisiche o psichiche, sicché ciascuno dei singoli atti che concorrono a integrare la fattispecie di tortura dovrebbe superare una soglia minima di gravita; ciò che non ricorrerebbe nel caso di specie.
Quanto alla crudeltà, nel caso in esame vi sarebbe state soltanto un bambino che colpiva con un bastone la vittima, peraltro senza veemenza, per non farla sciogliere dalla corda con cui era stata legata. Ne vi sarebbe stato alcun trattamento inumano e degradante, in assenza di una mortificazione o di un annientamento dei diritti fondamentali della persona. A riprova di ciò, la difesa deduce che i due avevano continuato a frequentarsi dopo i fatti e che, quando (omissis) era stato arrestato, (omissis) (omissis) si era recato in caserma per salutare l’amico.
Tutto ciò dimostrerebbe l’assenza in capo alla persona offesa di un trauma psichico, avendo ella parlato di una “babbiata”, cioé di uno scherzo, in relazione all’episodio per cui e processo; e tenuto canto del fatto che, successivamente a esso, i due avevano lavorato insieme e trascorso insieme le festività natalizie.
La Corte di appello, inoltre, non avrebbe tenuto canto delle prove assunte ex artt. 327-bis e 391-bis cod. proc. pen. e contenute nel fascicolo, quali l’esame testimoniale, in data 3 marzo 2021, di (omissis) la quale avrebbe riferito del solido rapporto di amicizia tra (omissis) e (omissis) e (omissis) avrebbe confermato che il primo aveva vissuto l’episodio contestato come uno scherzo; nonché l’esame, in pari data, di madre della convivente di (omissis) che avrebbe confermato il rapporto di amicizia tra i due e l’esame, il 4 marzo 2021, di convivente di (omissis) (omissis) che avrebbe reso analoghe dichiarazioni, ribadendo che (omissis) si era finanche recato presso la caserma dei Carabinieri di Licata, dopo il suo arresto, per salutarlo, mostrandosi rattristato per la mancanza dell’amico fraterno e definendo l’episodio come uno scherzo.
6. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione anche (omissis) (omissis) a mezzo del difensore di Fiducia, avv. (omissis) (omissis) deducendo sei distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
6.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la mancanza o incompletezza parziale del dispositivo, nonché l’omessa e contraddittorietà della motivazione con riguardo al capo Cl), per il quale (omissis) sarebbe stato condannato a un ulteriore anno di reclusione, senza che in nessuna altra parte della sentenza, nella motivazione o nel dispositivo, sia dato rinvenire alcun riferimento a tale capo di imputazione. Né alcun riferimento nella parte riguardante il trattamento sanzionatorio, ne nel dispositivo, sarebbe dato rinvenire con riguardo al delitto di cui al capo C2), per il quale (omissis) (omissis) era stato condannato in primo grado. Cio determinerebbe la nullità parziale della sentenza relativamente al capo C2), contestato e non deciso.
6.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riguardo alla condanna e alla determinazione della pena per un reato non contestato, quello di cui al capo Cl).
6.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 613- bis cod. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione ai capi A) e Bl), quanto all’insussistenza dell’abitualità della condotta, di un trattamento inumano e degradante, nonché della crudeltà della condotta.
Nessuna motivazione in merito alla responsabilità di (omissis) (omissis) si evincerebbe con riguardo al capo Bl) dell’imputazione, non potendosi configurare alcun reato nella condotta dell’imputato consistita nel riprendere la scena a distanza, all’interno di un’automobile. Con riguardo al capo A), si contesta il vizio di motivazione in relazione alla responsabilità dell’imputato per il reato di tortura, non rinvenendosi nelle sue azioni od omissioni il requisito della crudeltà.
6.4. Con il quarto motivo, il ricorso deduce, ex 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 133 cod. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al criterio di determinazione della pena di cui al capo A) successivamente al giudizio di assorbimento nello stesso capo dei reati contestati ai capi B) e F).
Ne nella parte relativa al trattamento sanzionatorio, ne nella parte dispositiva della sentenza vi sarebbe alcun riferimento ai criteri di determinazione della pena in relazione al delitto di cui al capo B).
6.5. Con il quinto motivo, il ricorso lamenta, ex 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 613-bis cod. pen. con riguardo alla determinazione degli aumenti per i reati di cui ai capi in continuazione, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al giudizio di congruità della pena, che la Corte di merito avrebbe mutuato da quello del primo Giudice in ordine alla gravità dei fatti contestati, senza motivare l’aumento dei singoli reati e il giudizio di congruità, considerate che la percentuale di aumento della pena in concrete operata rispetto al reato base sarebbe superiore a quello stabilito dal Tribunale.
La motivazione risulterebbe, inoltre, contraddittoria laddove, pur premettendosi di voler infliggere un trattamento sanzionatorio meno severe di quello infitto dal primo Giudice, in realtà ne avrebbe adottato uno più severe, anche rispetto agli aumenti operati in percentuale maggiore rispetto alla pena base.
6.6. Con il sesto motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 133 cod. pen. nonché la mancanza o l’omessa e contraddittorietà della motivazione in relazione alla mancata applicazione del minimo edittale e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La motivazione sarebbe carente e contraddittoria poiché la gravità dei fatti sarebbe tratta dalla personalità di (omissis) (omissis) a sua volta dedotta dalla recidiva dei coimputati.
7. In data 17 aprile 2024, l’avv. (omissis) (omissis) nell’interesse della parte civile, (omissis) (omissis) ha fatto pervenire una memoria con la quale ha formulato conclusioni scritte, chiedendo la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi ovvero il loro rigetto, con conferma delle precedenti statuizioni in punto di responsabilità civile degli imputati.
8. In data 18 aprile 2024, l’avv. (omissis) (omissis) nell’interesse di (omissis) (omissis) ha depositato delle note d’udienza, con le quali ha ribadito le ragioni già dedotte in relazione alla asserita illegittimità del rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale e alla non configurabilità della fattispecie prevista dall’art. 613-bis cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Tutti i ricorsi sono inammissibili, fatta eccezione per le censure svelte con il quarto motivo del ricorso di (omissis) (omissis) che devono, invece, ritenersi meritevoli di accoglimento.
2. Tutti i ricorsi, pur focalizzandosi su profili differenti, argomentano variamente in ordine all’insussistenza del delitto di tortura contestato ai capi A), Bl), D) ed E).
In particolare le numerose censure, prospettando la violazione di norme sostanziali e processuali e plurimi vizi motivazionali, attengono alla astratta individuazione degli elementi essenziali della fattispecie incriminatrice (omissis) (omissis), (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) all’accertamento della concreta sussistenza di taluno di essi (omissis) (omissis), (omissis) (omissis), (omissis)(omissis), alla mancanza dell’elemento soggettivo (omissis) (omissis), (omissis) (omissis), all’insussistenza di un contributo concorsuale riferibile allo specifico imputato (omissis) (omissis).
2.1. Alla luce della prospettazione di doglianze in parte comuni, giova riepilogare brevemente la struttura del delitto di tortura previsto dall’art. 613-bis cod. pen.
Tale fattispecie é stata introdotta nell’ordinamento italiano con l’approvazione della legge 14 luglio 2017, n. 110, che ha inteso adempiere – oltre che all’impegno del Costituente a punire ex art. 13, quarto comma, «ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di liberta» – agli obblighi internazionali derivanti dall’adesione dell’Italia alla Convenzione internazionale contra la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 10 dicembre 1984 e alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo; adempimento che era stato sollecitato dalla Corte EDU nelle sentenze Cestara c. Italia del 7 aprile 2015 e Bartesaghi, Gallo e altri c. Italia del 22 giugno 2017.
La novella ha collocato la previsione incriminatrice in esame tra i delitti contra la libertà individuale e, più precisamente, tra quelli contro la libertà morale, a rimarcare lo specifico bene giuridico tutelato, costituito appunto dalla libertà morale o psichica, intesa come il diritto dell’individuo di autodeterminarsi liberamente, in assenza di coercizioni psichiche (v. Sez. 2, n. 11522 del 3/03/2009, Rv. 244199 – 01; Sez. 5, n. 40291 del 6/06/2017, Rv. 271212 – 01).
Sul piano strutturale, il delitto in esame é stato costruito dal legislatore italiano come reato comune, con scelta che la dottrina ha talvolta criticato richiamando le differenti indicazioni della giurisprudenza della Corte EDU; un reato che può, dunque, essere commesso da «chiunque», salva la previsione di una circostanza aggravante nel caso in cui il fatto sia stato posto in essere da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio. Inoltre, la fattispecie in parola si configura come un reato di evento a condotta vincolata eventualmente abituale.
Sul piano della condotta tipica, infatti, quest’ultima deve consistere nella realizzazione di «violenze o minacce», in entrambi i casi qualificabili come «gravi», o in comportamenti agiti «con crudeltà», ossia con un atteggiamento interiore particolarmente riprovevole dell’autore del fatto, ii quale intenda determinare nella vittima gratuite sofferenze.
Tali condotte devono essere state commesse reiteratamente, nel senso che ii fatto deve essere stato realizzato «mediante più condotte», anche se agite in un minimo lasso temporale (Sez. 5, n. 47079 del 08/07/2019, R., Rv. 277544 – 01, che ha configurato ii delitto di tortura come reato eventualmente abituale) e finanche se tenute nel medesimo contesto cronologico (Sez. 5, n. 50208 del 11/10/2019, S., Rv. 277841 – 01); e devono produrre, quale evento tipico, «acute sofferenze fisiche» ovvero «un verificabile trauma psichico» nella persona offesa, che deve essere privata della liberta personale o affidata alla custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza dell’agente o deve, comunque, trovarsi in una condizione di minorata difesa.
La condotta può anche essere realizzata uno actu nel caso in cui l’evento sia costituito da «un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona».
Dunque, il delitto in esame, pur essendo funzionale a offrire copertura penale, nell’ordinamento interno, al divieto posto dall’art. 3 della Convenzione EDU, accede a una nozione di tortura più ampia di quella fornita da tale disposizione convenzionale, ricomprendendo anche i trattamenti inumani e degradanti, che la Corte di Strasburgo ha distinto dal concetto di tortura in senso stretto. E coerentemente con questa impostazione, deve ritenersi che rientrino nella fattispecie in esame anche le ipotesi in cui le condotte agite realizzino una mortificazione o un annientamento dei diritti fondamentali che costituiscono ii nucleo della dignità della persona, a prescindere dall’aggressione al corpo della persona, quando sia offesa la personalità morale dell’individuo.
Quanto alla «condizione di minorata difesa», attraverso cui il legislatore ha inteso mutuare le indicazioni della giurisprudenza convenzionale volte a valorizzare la qualità e le condizioni fisiche e psichiche della vittima (come sesso, stato di salute, età), deve ritenersi non necessario che la difesa si presenti impossibile, atteso che la nozione di «minorata» difesa richiama ogni situazione in cui la capacita di resistenza della vittima sia depotenziata, se non annullata, da particolari fattori ambientali, temporali o personali, che invece rafforzino la signoria o il controllo dell’agente sulla vittima (Sez. 5, n. 50208 del 11/10/2019, S., Rv. 277841 – 04; in termini anche Sez. 5, n. 47079 del 08/07/2019, R., Rv. 277544 – 03).
Con riferimento all’evento tipico, l’inserimento dell’aggettivo «verificabile» all’interno del sintagma «trauma psichico», lungi dal volere richiamare pleonasticamente l’ovvia necessità di riscontrare un elemento di fattispecie, intende in realtà delimitare i confini della sofferenza psichica alle situazioni oggettivamente riscontrabili, al fine di rendere il più possibile chiara e determinata una nozione che rimanda a un evento “non integrabile” nel sistema psichico pregresso della persona, minacciando di frammentarne la coesione mentale, senza che sia necessario che l’evento critico si traduca in una sindrome di «trauma psicologico strutturato» (PTSD), ben potendo essere sufficiente anche un trauma temporaneo e non inquadrabile in una categoria predefinita, purché, come detto, ancorato a elementi sintomatici ricavabili dalle dichiarazioni della vittima, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta dell’agente, dalla astratta idoneità di quest’ultima a causare un effetto destabilizzante in una persona comune, avuto riguardo alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui é stata consumata (cos] Sez. 5, n. 47079 del 08/07/2019, R., Rv. 277544 – 02).
Con riferimento, invece, al requisito delle «acute sofferenze fisiche», la giurisprudenza di legittimità ritiene non necessario che la vittima abbia subito delle lesioni, le quali, ove si verifichino, integrano la circostanza aggravante prevista dall’art. 613-bis, comma quarto, cod. pen. (Sez. 6, n. 47672 del 4/10/2023, 0., Rv. 285883 – 01; Sez. 5, n. 50208 del 11/10/2019, S., Rv. 277841 – 03), sempre che non siano state volute dall’agente, realizzandosi, in caso contrario, un concorso di reati (Sez. 5, n. 1243 del 20/12/2023, dep. 2024, L., Rv. 285753 – 01).
Quanto, infine, all’elemento soggettivo, la norma non richiede un dolo unitario, costituito dalla rappresentazione e deliberazione iniziali del complesso di condotte da realizzare, essendo invece sufficiente la coscienza e volontà, di volta in volta, delle singole condotte (Sez. 5, n. 4755 del 15/10/2019, dep. 2020, U., Rv. 277856 – 01).
3. Alla luce delle considerazioni che precedono ritiene il Collegio che le censure articolate con i primi due motivi del ricorso proposto nell’interesse di (omissis) (omissis) siano generiche, aspecifiche e, in ogni caso, manifestamente infondate; e che analogo giudizio debba essere espresso in relazione alle doglianze dedotte in relazione al delitto di tortura con l’unico motivo dei ricorsi di (omissis) (omissis) e di (omissis) (omissis).
3.1. In particolare, con il secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse di (omissis) (omissis) la difesa censura la ritenuta configurabilità del delitto previsto dall’art. 613-bis cod. pen. in relazione a ciascuno degli elementi del fatto materiale tipico e alla sussistenza dell’elemento soggettivo. Con riferimento alle condotte contestate all’imputato si opina che le sue azioni si sarebbero estrinsecate in un lasso temporale troppo breve, dal dicembre 2019 all’11 gennaio 2021, oltre che in data 16 gennaio 2021; e che le stesse non sarebbero connotate da grave violenza o crudeltà.
Tali considerazioni critiche omettono, però, di considerare che secondo il già richiamato orientamento della giurisprudenza di legittimità non é affatto rilevante, ai fini dell’integrazione del delitto in esame, che le condotte siano state poste in essere in un arco temporale limitato, essendo sufficiente che esse siano state semplicemente reiterate. Fermo restando, e il rilievo assume carattere assorbente, che nel caso in esame il periodo indicato non poteva, comunque, ritenersi «assai breve», come, invece, opinato in ricorso.
3.2. Quanto al requisito della «minorata difesa», l’impugnazione deduce che esso costituirebbe un elemento accidentale del reato, sicché l’art. 3 Cost. non consentirebbe di elevarlo a elemento costitutivo. Inoltre, esso sarebbe stato accertato, nella specie, sulla scorta delle mere percezioni delle vittime, portatrici di interessi economici all’affermazione di responsabilità dell’imputato, non potendo riconoscersi rilevanza, sul piano logico, allo status di invalido civile riconosciuto a (omissis) e a (omissis) (omissis) da parte dell’INPS.
3.2.1. A questo riguardo, con il secondo motivo di impugnazione, la difesa di (omissis) (omissis) lamenta, altresì, l’illegittimo rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale finalizzata all’esperimento di una perizia medico legale al fine di verificare le condizioni psicofisiche delle persone offese, (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) ricostruite a partire da circostanze di fatti prive di una effettiva capacità descrittiva, come l’uso di tranquillanti o il riconoscimento della qualità di invalido civile.
II mancato approfondimento della condizione delle persene offese avrebbe incise sulla completezza della motivazione e integrerebbe una violazione dell’art. 603, comma 1, cod. proc. pen., posto che il Giudice di appello sarebbe stato impossibilitato a decidere allo stato degli atti, in presenza di dati probatori contraddittori o, comunque, incerti.
3.2.2. Analoghe censure vengono svolte con l’unico motivo del ricorse proposto nell’interesse di ove si é evidenziato come già con i motivi di appello fosse stata formulata istanza di riapertura dell’istruttoria dibattimentale al fine di accertare le effettive condizioni psicofisiche e lo status di disabile attribuite alle persone offese.
3.3. Richiamate le considerazioni già svolte in ordine al significato che tale requisito di fattispecie assume nella giurisprudenza di legittimità, deve osservarsi che le sentenze di merito hanno adeguatamente esplicitato le circostanze di fatto indicativo di una condizione di ridetta capacità di reazione delle vittime a fronte delle condotte gravemente vessatorie degli imputati, avuto riguardo sia al riconoscimento dello status di invalido civile legato alla particolare situazione psichica riscontrata a carico di ciascuna delle persone offese, sia a quanto chiaramente evincibile dalle peculiari condizioni personali di esse, addirittura oggetto di videoriprese da parte degli imputati.
Del tutto assertiva, dunque, e la ribadita affermazione delle difese circa l’insufficienza di tali indicatori ai fini della dimostrazione della particolare condizione soggettiva di (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis).
Così come apodittica é la censura relativa alla mancata rinnovazione dell’istruttoria in appello, rispetto alla quale la Corte territoriale, alla pag. 19 della sentenza di appello, ha fornito una motivazione del tutto adeguata, anche tenuto conto che, in primo grado, il giudizio era stato celebrate nelle forme del rito abbreviato e che, in tali casi, la rinnovazione istruttoria e ammessa esclusivamente ai sensi dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen. e, quindi, solo nel caso in cui il giudice ritenga l’assunzione della prova assolutamente necessaria, perché potenzialmente idonea ad incidere sulla valutazione del complesso degli elementi acquisiti (ex p!urimis Sez. 1, n. 12928 del 7/11/2018, dep. 2019, P., Rv. 276318 – 02).
I Giudici di appello, invero, hanno sottolineato la superfluità dell’integrazione probatoria richiesta, tenuto conto dell’accertata situazione di deficit mentale di (omissis) (omissis) che nella sentenza di primo grado é indicato come affetto anche da gravi disturbi del comportamento e da crisi epilettiche con frequenza plurisettimanale), della condizione di disagio psichico sia di (omissis) (omissis) invalido civile e paziente del Centro di salute mentale, sia di (omissis) (omissis).
Una motivazione con la quale gli odierni ricorsi non si sono adeguatamente confrontati, in particolare per quanta concerne la pacifica circostanza, nel contesto di riferimento, della condizione di marginalità e di disagio psico-sociale delle persone offese e per quanto attiene il richiamo delle due sentenze di merito al contenuto delle videoriprese, che rappresentavano icasticamente la condizione di sostanziale incapacità delle vittime di difendersi dalle angherie cui erano state sottoposte.
Ne consegue che le odierne impugnazioni devono ritenersi, sul punto, del tutto aspecifiche.
3.4. Manifestamente infondata, ancora, é l’argomentazione difensiva svolta nel ricorso proposto nell’interesse di (omissis) (omissis) con riferimento alla nozione di «trattamento inumano e degradante», in relazione alla quale sembra opinarsene l’estraneità rispetto alla nozione di tortura ricavabile dall’art. 3 della Convenzione EDU. In realtà, la decisione del legislatore italiano di estendere, come più sopra ricordato, l’area della tutela penale anche a condotte connotate da una minore gravita rispetto ai fatti di tortura strettamente intesi costituisce una scelta di politica criminale niente affatto irragionevole e, come tale, sottratta a qualunque possibilità di sindacato costituzionale.
3.5. Aspecifica, poi, é la censura con cui la difesa di (omissis) (omissis) deduce che della «causazione di acuta sofferenza fisica o psichica» in capo alle vittime non vi sarebbe alcuna prova, essendosi il Giudice di merito limitato a valutare le condizioni di salute delle persone offese esclusivamente sulla scorta delle loro dichiarazioni. E ad analoga valutazione si espone l’unico motive del ricorso proposto nell’interesse di (omissis) (omissis) con cui la difesa sostiene, quanto all’episodio del 17 gennaio 2017, che la certificazione medica avrebbe riportato soltanto una prognosi di giorni 10 per «algia da contusione nella regione occipitale», sì da non integrare il requisito di fattispecie in parola.
In entrambi i casi, infatti, le doglianze difensive si limitano a generiche deduzioni fattuali, che lungi dal prospettare vizi della motivazione, propongono inammissibili tentativi di rilettura del materiale probatorio e, in particolare, non consentite sovrapposizioni di apprezzamenti valutativi sull’intensità delle sofferenze causate alle persone offese, che i Giudici di merito hanno potuto riscontrare, oltre che dai racconti degli interessati, dalla crudezza delle immagini cui hanno avuto accesso nel corso dell’istruttoria.
3.6. Inammissibili sono, infine, le doglianze svolte con riferimento all’elemento soggettivo.
Quanto al ricorso proposto nell’interesse di (omissis) (omissis) si opina che l’imputato non sarebbe stato mosso dalla volontà di recare sofferenze e traumi gravi alla vittima, ma solo dall’intento di deriderla, pubblicando i relativi video sui social; mentre con l’unico motivo del ricorso proposto nell’interesse di (omissis) (omissis) si deduce che l’imputato non avrebbe inteso causare sofferenze alla vittima, ne soddisfare presunti istinti sadici e che avrebbe voluto realizzare uno spiacevole gioco poi degenerate, cui egli non avrebbe nemmeno partecipato sino in fondo, secondo quanto attestato dalla stessa persona offesa.
E’, tuttavia, evidente che anche in tali casi le argomentazioni difensive hanno una natura fattuale, muovendo da una ricostruzione alternativa delle vicende processuali, senza in alcun modo confrontarsi con l’ampia e congrua motivazione delle due sentenze di merito, destinate a integrarsi reciprocamente.
Peraltro, quanto al delitto contestato al capo A), che l’imputato perseguisse finalità ludiche, traendo una qualche forma di divertimento dall’infliggere umiliazioni e sofferenze alla persona offesa, in evidenti difficoltà nel difendersi, non escluderebbe, in ogni caso, il dolo generico richiesto dalla fattispecie incriminatrice, posto che tali finalità apparterrebbero all’area dei motivi a delinquere e non certo dell’elemento soggettivo del delitto in contestazione.
Quanto al delitto contestato al capo E), la Corte territoriale si e in ogni caso confrontata con la tesi difensiva, sottolineando come la versione dello stesso (omissis) (omissis) secondo cui l’episodio andava considerato come un semplice scherzo, trovasse una netta smentita nelle immagini del video n. 9 che lo ritraevano mentre, legato a una poltrona all’interno di una stalla, urlava chiedendo di essere liberato, nonché nelle dichiarazioni del padre della vittima, (omissis) (omissis) (omissis) secondo cui il figlio era stato preso di mira da persone che lo schernivano e lo picchiavano, sicché il figlio, in totale stato di soggezione, aveva palesato un forte stato di timore, rinunciando a sporgere denuncia. E in questo modo, la Corte territoriale ha implicitamente disatteso le dichiarazioni dei testi difensivi circa il fraterno rapporto tra (omissis) (omissis), (omissis) (omissis), senza incorrere nei lamentati vizi di motivazione.
3.7. Aspecifiche sono, infine, anche le argomentazioni svolte nell’unico motivo del ricorso proposto nell’interesse di (omissis) (omissis) ove si deduce, anche in relazione all’episodio contestatogli (al capo E), che l’imputato avrebbe inteso mettere in scena uno scherzo, come tale percepito dalla stessa persona offesa, la quale non avrebbe avuto alcuna paura o timore per la propria incolumità, come confermato dall’interessato davanti al Pubblico ministero e come riscontrato sia dalle immagini acquisite, sia dalle testimonianze di (omissis) (omissis) di (omissis) (omissis) che avrebbero riferito degli ottimi rapporti tra dichiarazioni sarebbero state illegittimamente e illogicamente pretermesse dai Giudici di merito in occasione della valutazione del materiale probatorio.
Ne la vittima si sarebbe trovata in una condizione di minorata difesa, essendo una persona che viveva da sola, capace di autodeterminarsi benché affetta da un lieve ritardo mentale, che in passato «aveva avuto due bar» e che, in aula, era parsa tranquilla. Quanto alle condotte ascritte all’imputato, il ricorso opina che esse non supererebbero la soglia minima di gravità; mentre quanto alla crudeltà, nel caso in esame vi sarebbe stato soltanto un bambino che aveva colpito la vittima con un bastone, ma non con veemenza, quanto per impedirle di liberarsi. Ne vi sarebbe stato alcun trattamento inumano e degradante, non essendovi stata una mortificazione o un annientamento di diritti fondamentali della persona, ne un verificabile trauma psichico, avendo lo stesso (omissis) (omissis) parlato di una “babbiata”, cioé di uno scherzo, in relazione all’episodio per cui é processo.
Anche in questo caso, invero, il ricorso sostanzialmente ripropone la tesi difensiva già affacciata in sede di merito, senza però confrontarsi con l’ampia motivazione della sentenza impugnata e, in particolare, con la totalità degli elementi di fatto in essa valutati, sollecitando un confronto soltanto parziale con ii contenuto delle prove, dalle quali intenderebbe trarre differenti esiti valutativi, anziché contrastare la logicità e coerenza del complessivo ordito motivazionale, fondato su una equilibrata valutazione dell’intero compendia, arricchito da riscontri finanche fotografici, che ha fatto emergere come l’azione dell’imputato e dei suoi complici fosse volta a cagionare una gratuita sofferenza ai danni di una vittima indifesa.
4. Manifestamente infondato, aspecifico e in ogni caso non consentito dalla legge processuale é il terzo motivo del ricorso proposto nell’interesse di (omissis) (omissis) con il quale la difesa censura la ritenuta configurabilità del delitto di violazione di domicilio contemplato dall’art. 614 cod. pen., commesso in data 10 gennaio 2021. Aspecifica, invero, é l’affermazione difensiva secondo cui la decisione si sarebbe fondata unicamente sulle dichiarazioni della persona offesa, alla quale verrebbe riconosciuta credibilità nonostante l’assenza di prove certe.
Infatti, la sentenza impugnata ha individuato, quali elementi rilevanti del ragionamento probatorio, non soltanto le dichiarazioni rese da (omissis) (omissis) in sede di incidente probatorio e nella denuncia da lui sporta ai Carabinieri della Stazione di Licata, ma anche il video n. 7, che tali dichiarazioni ha riscontrato.
Quanto alla possibilità, in tesi destinata a inficiare la attendibilità della persona offesa, che in considerazione della pregressa conoscenza tra l’imputato e (omissis) quest’ultimo abbia volontariamente aperto la porta della propria abitazione, la censura finisce per risolversi nella formulazione di congetturali spiegazioni alternative, certamente non consentite in sede di legittimità.
Quanto, infine, al rilievo difensivo secondo cui i Giudici di merito avrebbero omesso di valutare le condotte ascrivibili a ciascun imputato, la circostanza che essi fossero tutti entrati nell’abitazione di (omissis) (omissis) rompendo i vetri del balcone del primo piano e approfittando del fatto che la persona offesa dormisse, consente di ritenere integrata la condotta tipica da parte di ciascuno di essi, di tal che la relativa deduzione appare del tutto generica, oltre che manifestamente infondata.
5. Fondato é, invece, il quarto motivo di doglianza, con cui il ricorso deduce la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 38, r.d. n. 773 del 1931 e dell’art. 697 cod. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui ha ritenuto integrate il reato di detenzione di armi a partire dal rinvenimento, nel domicilio, di tre coltelli a serramanico e di un tirapugni metallico.
Nessun dubbio, in primo luogo, può fondatamente ipotizzarsi in relazione alla qualificazione giuridica dei coltelli e del tirapugni.
Per quanto concerne i primi, é consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, l’orientamento secondo il quale il comune coltello a serramanico (cioè l’utensile dotato di lama pieghevole nella cavita dell’impugnatura la quale, cosi, funge anche da guaina) costituisce strumento da punta e/o da taglio ovverosia arma impropria; mentre e arma propria (bianca), la cui detenzione e il cui porto abusivo sono puniti, rispettivamente, ai sensi degli artt. 697 e 699 cod. pen., quella particolare specie di coltello in relazione alla presenza o all’assenza della punta acuta e della lama a due tagli (Sez. 1, n. 19927 del 9/04/2014, Teti, Rv. 259539 – 01; Sez. 1, n. 10979 del 3/12/2014, dep. 2015, Campo, Rv. 262867 – 01; Sez. 1, n. 17255 del 1/04/2019, Naccarato, Rv. 275252 – 01).
Viceversa, quanto al tirapugni metallico, esso costituisce un’arma propria cd. bianca, non avendo altra funzione che quella di incrementare la potenzialità lesiva dell’azione violenta perpetrata a mezzo di esso (Sez. 1, n. 23840 del 13/01/2021, Brassi, Rv. 281398 – 01).
Ne consegue, che mentre per quest’ultimo la detenzione e il porto ingiustificato integrano, rispettivamente, le contravvenzioni previste dagli artt. 697 e 699 cod. pen., per i coltelli a serramanico, con lama pieghevole azionabile con manovra manuale, non rientrando essi tra le armi proprie, ma tra quelle improprie, la mera detenzione non può ritenersi rilevante ai sensi dell’art. 697 cod. pen., venendo in rilievo unicamente il porto fuori dell’abitazione non sorretto da giustificato motivo, secondo quanto stabilito dall’art. 4, terzo comma, legge 18 aprile 1975, n. 110 (Sez. 1, n. 7404 del 31/01/1978, De Rossi, Rv. 139340 – 01; Sez. 1, n. 10832 del 23/10/1984, Angileri, Rv. 166960 – 01; Sez. 1, n. 7011 del 19/05/1993, Arditi, Rv. 195502 – 01; Sez. 1, n. 392 dell’l/12/1999, dep. 2000, Sannibale, Rv. 215145 – 01; Sez. 1, n. 37080 dell’ll/10/2011, Scarcella, Rv. 250817 – 01; Sez. 1, n. 46264 dell’8/11/2012, Visendi, Rv. 253968 – 01; Sez. 1, n. 15945 del 21/03/2013, Cancellieri, Rv. 255640 – 01).
Ne consegue, pertanto, che in relazione alla detenzione dei tre coltelli a serramanico da parte di (omissis) (omissis) deve pronunciarsi l’annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.
6. Venendo, infine, all’impugnazione proposta nell’interesse di (omissis) (omissis) le censure difensive articolate con i sei motivi di ricorso sono complessivamente inammissibili.
6.1. Con i primi due motivi, il ricorso prospetta violazione di legge e vizio di motivazione in quanto (omissis) condannato in primo grado per ii delitto contestato al capo C2), sarebbe stato riconosciuto colpevole per il delitto di cui al capo C1), mai contestatogli, sicché la pena di un anno di reclusione inflittagli per quest’ultimo delitto sarebbe stata irrogata illegittimamente.
Osserva, nondimeno, il Collegio che la sentenza di appello ha ampiamente motivato, in particolare a pag. 48, sulle ragioni per le quali l’impugnazione proposta nell’interesse di (omissis) (omissis) con riferimento al reato di cui all’art. 377 cod. pen., contestato al capo C2), non poteva essere accolta, in specie per quanto concerne la asserita inattendibilità della persona offesa.
Invero, la Corte territoriale ha puntualmente sottolineato, con motivazione non manifestamente illogica, che !’errata collocazione temporale dell’episodio denunciate da (omissis) (omissis) ovvero di essere stato schiaffeggiato da (omissis) circa 3 mesi prima, trovasse piena giustificazione nella sua situazione di fragilità e nelle sue complessive condizioni psico-fisiche, accentuate dallo stato di paura palesato anche in sede di esame, allorché, a domanda della difesa, egli aveva dichiarato di temere per la propria incolumità, tanto da essersi determinate a non rivelare ad alcuno le sevizie cui era stato sottoposto.
Dunque, dalla complessiva lettura della motivazione emerge nitidamente che il riferimento, contenuto a pag. 58 della sentenza di appello, al delitto contestato al capo C1), appare frutto di un mero errore materiale, peraltro privo di effetti sul dispositivo, ove esso non é stato ribadito. Ne consegue, pertanto, la manifesta infondatezza delle doglianze prospettate, sul punto, nei primi due motivi.
6.2. Con il terzo motive, invece, il ricorso deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla affermazione di responsabilità di (omissis) (omissis) in relazione ai delitti contestati ai capi A) e B1).
Sotto un primo profilo, le censure investono la stessa configurabilità dei delitti de quibus in relazione all’abitualità della condotta, alla configurabilità di un trattamento inumano e degradante, nonché alla crudeltà della condotta. Trattandosi di profili già diffusamente affrontati con riferimento alle posizioni dei coimputati (v. supra §§ 3.2. e segg.), appare certamente opportuno, per ragioni di economia espositiva, fare integrale rinvio alle considerazioni svolte in precedenza.
Sotto altro aspetto, le considerazioni difensive attengono alla ritenuta insussistenza di una congrua motivazione in ordine alla responsabilità concorsuale di (omissis) (omissis) in relazione ai delitti contestati al capo A) e al capo B1).
Quanto al primo, il ricorso lamenta che non possa collegarsi a sue azioni od omissioni il requisito della crudeltà. Con riguardo, invece, al capo B1), la difesa deduce che la condotta dell’imputato, consistita nel riprendere a distanza, all’interno di un’automobile, l’aggressione compiuta ai danni di (omissis) (omissis) non sarebbe idonea a integrare un contributo concorsualmente rilevante.
Entrambi gli argomenti, tuttavia, si pongono in frontale contrasto con i criteri di elaborazione giurisprudenziale in materia di responsabilità concorsuale, alla luce dei quali per la configurabilità del concorso di persone e necessario che il concorrente abbia posto in essere un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante ii rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che ii partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato (Sez. 5, n. 43569 del 21/06/2019, P., Rv. 276990 – 01).
E’, infatti, evidente che in base a tali principi non e necessario che il concorrente ponga in essere tutti gli elementi del fatto tipico, ben potendo egli realizzare singoli segmenti di essi, purché idonei a sorreggere, sul piano causale o anche della semplice agevolazione, la condotta descritta dalla norma incriminatrice e agita dall’altro concorrente e finanche una mera condotta di determinazione idonea a realizzare un semplice contributo morale alla commissione del fatto.
In tale prospettiva, non e necessario che il contributo di (omissis) (omissis) fosse consistito in comportamenti connotati da crudeltà ai danni della vittima, ben potendo egli essersi limitato a condotte di mera agevolazione di essi, materialmente posti in essere dal complice (capo B1); ed é, per converso, sufficiente che egli si fosse limitato a filmare l’aggressione compiuta dal correo, stante ii riconosciuto significato di tale comportamento in chiave di rafforzamento del proposito criminoso di (omissis) (capo A). Ne consegue, dunque, che le censure difensive si connotano come generiche, aspecifiche e, in ogni caso, manifestamente infondate.
6.3. Con il quarto, il quinto e il sesto motivo, il ricorso prospetta una serie di censure, involgenti profili di violazione di legge e di vizi della motivazione, in relazione al trattamento sanzionatorio.
Secondo l’ordine logico, essi attengono, in primis, alla mancata applicazione del minimo edittale e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, che sarebbero state fondate sulla gravita dei fatti a sua volta tratta dalla personalità di (omissis) (omissis) dedotta dalla recidiva dei coimputati (omissis) (omissis), (omissis) (omissis), (omissis) (omissis).
Inoltre, la difesa lamenta la mancata esplicitazione del criterio di determinazione della pena sia per ii delitto di cui al capo A) successivamente al giudizio di assorbimento, nello stesso capo, dei reati contestati ai capi B) e F), sia per il delitto di cui al capo B).
Infine, non sarebbero state esplicitate le ragioni degli aumenti per i reati ritenuti in continuazione, ne sarebbe stata valutata la congruità della pena, considerato che la percentuale di aumento della pena in concrete operata rispetto al reato base sarebbe stata superiore a quanto stabilito dal Tribunale, con ciò contraddicendo la premessa secondo cui si sarebbe volute infliggere un trattamento sanzionatorio meno severo di quello applicato dal primo Giudice.
Tanto premesso, va ricordato, quanto alla concreta determinazione della pena base e all’eventuale riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, che si tratta di apprezzamenti tendenzialmente rimessi alla valutazione del giudice di merito, sindacabili, in sede di legittimità, soltanto quando del tutto immotivati, o motivati in maniera apparente o, comunque, manifestamente illogica.
Inoltre, come ricordato dalla Corte territoriale, per assolvere correttamente all’obbligo motivazionale incombente sul giudice di merito chiamato a determinare in concrete il trattamento sanzionatorio, salvo che nel caso in cui la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, nelle altre ipotesi é sufficiente fare ricorso ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., come avvenuto, appunto, nel caso qui in rilievo.
Quanto, poi, alla mancata applicazione delle attenuanti generiche, la sentenza impugnata ha posto in luce l’assenza di elementi positivamente valutabili, nemmeno indicati anche nell’odierno ricorso, e soprattutto la grave offensivita dei fatti in contestazione. Pertanto, l’affermazione secondo cui la decisione sarebbe stata fondata sulla negativa personalità di illogicamente dedotta dalla recidiva dei coimputati (omissis) (omissis) (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) si connota in termini di evidente aspecificità.
Quanto, ancora, alla mancata indicazione del criterio di determinazione della pena inflitta per il più grave delitto di cui al capo A), premesso che, come appena osservato, la sentenza impugnata ha, invece, richiamato i criteri stabiliti dall’art. 133 cod. pen., appare del tutto generica l’affermazione contenuta in ricorso secondo cui non sarebbe state indicate il criterio di determinazione della pena inflitta per ii delitto di cui al capo B), considerate proprio quanto, invece, osservato dalla Corte territoriale in ordine alla necessita di tenere conto dell’assorbimento dei delitti di cui all’art. 605 cod. pen. contestati ai capi B) e F) nel più grave delitto di cui all’art. 613-bis cod. pen. contestato ai capi A) ed E).
Infine, quanto alla motivazione dei singoli aumenti per i reati ritenuti in continuazione, essa é stata adeguatamente resa attraverso il passaggio argomentativo con cui la Corte territoriale ha affermato che dovessero essere mantenuti gli aumenti operati dal primo Giudice e che egli stessi dovessero ritenersi congrui in ragione della gravità degli ulteriori fatti contestati. Cio che, in definitiva, rende manifestamente infondata l’ulteriore censura relativa alla asserita contraddittorietà della motivazione in ordine alla congruità degli aumenti, asseritamente superiori rispetto a quelli stabiliti dal Tribunale, ma, in realtà, identici a questi ultimi.
7. Alla luce delle considerazioni che precedono, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di (omissis) (omissis) perché il fatto non sussiste limitatamente alla detenzione di tre coltelli a serramanico. Ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. l), cod. proc. pen., la pena deve essere rideterminata, in relazione ai residua reati, nella misura di 7 anni e 1 mese di reclusione. Nel resto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
I ricorsi di (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) devono essere dichiarati inammissibili, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
7.1. (omissis) (omissis), (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) devono, inoltre, essere condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, (omissis) (omissis) che devono essere liquidate in complessivi 4.500,00 euro, oltre accessori di legge, ai sensi degli artt. 12 e 16, d.m. n. 55 del 2014, come modificato dal d.m. n. 37 del 2018, tenuto conto – in relazione alle voci precisate nella nota spese depositata – dell’attività svolta e delle questioni trattate.
7.2. A norma dell’art. 52, d.lgs. n. 196 del 2003 va, infine, disposto che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
PER QUESTI MOTIVI
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (omissis) (omissis) perché il fatto non sussiste limitatamente alla detenzione di tre coltelli a serramanico e ridetermina la pena in anni sette e mesi uno di reclusione. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Dichiara inammissibili i ricorsi di (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (omissis) (omissis) che liquida in complessivi euro 4.500,00, oltre accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in data 23 aprile 2024
Il Consigliere estensore Il Presidente
Carlo Renoldi Gerardo Sabeone
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2024.