Reddito d’impresa. La cassazione fa chiarezza sulla Direttiva Madre e Figlia (Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, Sentenza 14 luglio 2023, n. 20240).

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

ANDREINA GIUDICEPIETRO    Presidente

MARIA LUISA DE ROSA            Consigliere

PAOLO DI MARZIO                   Consigliere

MARCELLO M. FRACANZANI   Consigliere

FEDERICO LUME                       Consigliere rel.

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 31527/2018 R.G. proposto da:

(omissis) B.V., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. (omissis) in forza di procura in calce al ricorso, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. (omissis) (omissis);

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliata presso gli uffici dell’Avvocatura in Roma alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, n. 422/2018 emessa in data 21/12/2017 e depositata in data 8/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/06/2023 dal consigliere relatore dott. Federico Lume.

Rilevato che:

1. La Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, accolse l’appello dell’Agenzia delle entrate contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di (omissis) che aveva accolto il ricorso di (omissis) (omissis), società residente nei Paesi Bassi, contro il silenzio rifiuto sull’istanza di rimborso delle ritenute operate sui dividendi pagati in suo favore dalle partecipate italiane (omissis) (omissis) (omissis).

2. (omissis) (omissis) propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrati da successiva memoria con cui ha, per il caso di ritenuta infondatezza della tesi difensiva, chiesto di rinviare alla Corte di giustizia dell’Unione europea la questione se la Direttiva madre-figlia osti a un’interpretazione, come quella proposta dall’Agenzia delle entrate e avallata dai giudici d’appello, che individua nel credit advice l’unico mezzo di prova idoneo a dimostrare la distribuzione del dividendo al netto della ritenuta precludendo così, di fatto, l’esenzione da ritenuta alle società che, non investendo per il tramite di banche depositarie, sono impossibilitate a produrre i c.d. credit advices.

Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Il pubblico ministero, in persona del sostituto Procuratore generale dott. Giuseppe Locatelli, ha depositato conclusioni scritte per il rigetto del primo motivo e l’accoglimento del secondo, del terzo e del quarto motivo di ricorso, con assorbimento del quinto, con conseguente cassazione con rinvio della sentenza impugnata,

Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 14/06/2023, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380-bis.1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31/08/2016, n. 168, conv. in l. 25/10/2016, n. 197.

Considerato che:

1. La società propone cinque motivi di ricorso.

Con il primo motivo la società deduce <<nullità della sentenza per macroscopica non corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato nella parte in cui ha negato il diritto al rimborso della ritenuta muovendo da fatti e richieste del tutto estranei al giudizio- violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c.)>>, lamentando che i giudici di appello, a fronte della domanda di rimborso delle ritenute operate sui dividendi distribuiti dalla società figlia alla società madre e della questione della necessità o meno dei cd. credit advices al fine di dimostrare l’accredito dei dividendi, abbiano utilizzato argomentazioni estranee al thema decidendum determinato dalle domande delle parti, quali quelle relative alle Convenzioni contro la doppia imposizione tra Italia e Francia e tra Italia e Gran Bretagna, al modello OCSE e alla disciplina dei crediti di imposta in relazione a dividendi distribuiti prima del 2008.

Con il secondo motivo deduce <<nullità della sentenza per motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile nella parte in cui ha negato il diritto al rimborso delle ritenute subite mediante argomentazioni prive di conseguenzialità logica -violazione dell’art. 36, comma 1, d.lgs. 31 dicembre 1997, n. 546 – (art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c.)>>.

Con il terzo motivo deduce <<violazione e falsa applicazione dell’art. 27-bis del D.P.R. n. 600/1973, della Direttiva n. 2011/96/UE, dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. per aver i giudici sostenuto che fosse obbligatorio produrre in giudizio i cd. credit advices pur non essendo richiesto da alcuna norma (art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.)>>, evidenziando che nessuna disposizione normativa impone quale mezzo di prova del pagamento dei dividendi i credit advices che non hanno valore di prova legale, ed avendo (omissis) provato sia l’accredito dei dividendi al netto delle imposte sia lo stesso versamento delle ritenute; una tale interpretazione peraltro andrebbe a danno dei soggetti, come la contribuente, che detengono in proprio le azioni e si appoggiano solo per i flussi monetari a banche commerciali, come nel caso di specie (omissis) che non possono rilasciare i credit advices, rispetto ai soggetti che investono per il tramite di istituti finanziari, che invece possono invece possono procedere al loro rilascio

Con il quarto motivo deduce <<nullità per motivazione macroscopicamente confusa e incomprensibile del capo della sentenza che ha giudicato il credit advice quale unico documento idoneo a provare il versamento dei dividendi al netto della ritenuta richiamando, però, il credito documentario e le sue caratteristiche (art. 330, primo comma, n 4 c.p.c.)>>, censurando la decisione laddove ha confuso il credit advice con il credito documentario, la cd. lettera di credito, strumento proprio del commercio internazionale e funzionale a tutt’altri scopi.

Con il quinto motivo deduce <<omesso esame di fatti (l’aver le controllate operato, certificato, versato e indicato le ritenute nella dichiarazione del sostituto di imposta) decisivi per il giudizio essendosi i giudici pronunciati sulla sola rilevanza del credit advice come se in giudizio null’altro fosse stato prodotto (art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.)>>.

2. E’ infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta in base alla ritenuta presenza nella decisione di due autonome rationes decidendi, una delle quali (quella relativa alla inesistenza di una doppia imposizione) non impugnata, sia perché nella sentenza in esame non è dato rinvenire due autonome ragioni della decisione sia perché, ove così fosse, il primo motivo del ricorso è volto proprio a censurare il riferimento alle Convenzioni in tema di doppia imposizione, che sarebbe viziato da ultrapetizione, sia infine alla luce dell’accoglimento, di cui infra, dei motivi di ricorso relativi alla nullità della sentenza per vizio motivazionale.

3. Il primo motivo, con cui la società deduce il vizio di ultrapetizione, pur ammissibile, avendo la parte compiutamente descritto i termini processuali della vicenda, non è fondato, in quanto l’uso in motivazione di argomentazioni non pertinenti al caso in esame non configura infatti un vizio di ultrapetizione in quanto non incide sul decisum.

4. Il secondo ed il quarto motivo, con cui la ricorrente lamenta la nullità della sentenza per vizio motivazionale, vanno esaminati congiuntamente e sono invece fondati.

La mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. (e nel caso di specie dell’art. 36, secondo comma, n. 4, d.lgs. 546/1992) e riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, si configura quando la motivazione <<manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero… essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum.

Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; successivamente tra le tante Cass. 25/09/2018, 22598; Cass. 01/03/2022, n. 6626).

In particolare si è in presenza di una <<motivazione apparente allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi,  materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la  formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del  ragionamento del giudice non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture.

Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella <<perplessa e incomprensibile; in entrambi i casi, invero, – purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (Cass., Sez. U., 03/11/2016, n. 22232 e le sentenze in essa citate).

Nel caso di specie, la motivazione adottata dalla C.T.R., che pure – nella parte narrativa – descrive compiutamente l’oggetto del giudizio, appare per larga parte un assemblaggio di argomentazioni palesemente inconferenti rispetto al caso di specie, quali quelle relative alle Convenzioni contro la doppia imposizione tra Italia e Francia e tra Italia ed Inghilterra, che pure occupano larga parte della motivazione medesima, e che sono tuttavia irrilevanti sia perché la società ha sede nei Paesi Bassi sia perché non si discuteva dell’applicazione delle medesime ma della Direttiva Madre Figlia; né è possibile ritenerle mere argomentazioni ultronee in quanto l’intera pagina 7 (ove peraltro la società viene una volta individuata come appellante e un’altra volta come appellata) appare motivare sull’impossibilità di ottenere il beneficio convenzionale del credito di imposta convenzionale, individuando in ciò la domanda della contribuente.

Né la motivazione pertinente al caso di specie può essere individuata nelle affermazioni contenute a pagina 8, non solo perché non appare possibile isolarle dall’intero contesto sopra descritto, ma anche perché, ove è affermato che la prova del flusso diretto dei dividendi può essere data solo per il tramite delle note di accreditamento, contiene un’affermazione del tutto apodittica, accompagnata poi da un prolungato riferimento alla nozione di credito documentario (che attiene a tutt’altra ipotesi) che la rende sostanzialmente incomprensibile, trattandosi di questione estranea al giudizio.

5. Respinto il primo motivo, vanno quindi accolti il secondo e il quarto, risultando assorbiti il terzo e il quinto motivo nonché la richiesta di rinvio alla Corte di giustizia dell’unione europea, formulata dalla società nella memoria.

6. La sentenza va cassata e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, in diversa composizione, cui va demandato di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il secondo e il quarto motivo di ricorso; rigetta il primo; dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, in diversa composizione, cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2023.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.