Responsabilità civile, confisca ed eredità giacente (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 11 dicembre 2023, n. 34536).

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

GIACOMO TRAVAGLIANO        Presidente

ENRICO SCODITTI                      Consigliere – Rel.

FRANCESCO MARIA CIRILLO    Consigliere

ENZO VINCENTI                         Consigliere

MARCO DELL’UTRI                    Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 31968/2020 R.G. proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS);

-ricorrente-

contro

MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende;

-controricorrente-

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 750/2020 depositata il 11/03/2020.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 25/09/2023 dal consigliere dott. ENRICO SCODITTI

udito l’Avvocato (OMISSIS) (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS) (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. PEPE ALESSANDRO.

Fatti di causa

1. Il Ministero dello Sviluppo Economico (M.I.S.E.) convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Milano l’eredità giacente di (omissis) (omissis) chiedendola condanna al risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, cagionato dal reato di truffa aggravata ai danni dello Stato accertato dal Tribunale penale di Milano, nella misura di Euro 90.864.416,43, a titolo di danno patrimoniale pari alla perdita sopportata per l’erogazione dei contributi statali illecitamente percepiti, e di Euro 15.000.000,00 a titolo di danno non patrimoniale.

Espose in particolare parte attrice quanto segue.

(omissis) (omissis) era stato coimputato insieme a (omissis) (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis), nonché alla società (omissis) (omissis) s.p.a. in giudizio ai sensi della legge n. 231 del 2001, in relazione ad una truffa aggravata (art. 640 bis cod. pen.) consistita nella messa in opera di un articolato meccanismo societario volto a beneficiare di contributi statali concessi alle esportazioni extra U.E.

La sentenza penale aveva disposto, ai sensi degli artt. 322 ter e 640 quater cod. pen., nei confronti degli imputati e della società, la confisca per equivalente del profitto del reato fino alla concorrenza di Euro 90.864.416,43, importo determinato sommando i contributi percepiti illecitamente dalle società amministrate dagli imputati, pronunciando inoltre non luogo a procedere nei confronti di (omissis) (omissis) in quanto deceduto.

Si costituì la parte convenuta chiedendo il rigetto della domanda.

Nel corso del giudizio intervenne la sentenza d’appello di conferma della pronuncia penale.

La sentenza di appello fu poi parzialmente confermata con sentenza di data 9 dicembre 2016 di questa Corte, divenendo così irrevocabile la confisca.

2. Il Tribunale adito accolse la domanda, condannando l’eredità giacente al risarcimento del danno patrimoniale domandato, oltre interessi e rivalutazione monetaria secondo il criterio di cui a Cass. Sez. U. n. 1712 del 1995 a decorrere dalla erogazione dei contributi, nonché al risarcimento del danno non patrimoniale nei limiti di Euro 10.000.000,00.

3. Avverso detta sentenza propose appello (omissis) (omissis) (omissis), che nel frattempo aveva accettato l’eredità di (omissis) (omissis). Si costituì la parte appellata chiedendo il rigetto dell’appello.

4. Con sentenza di data 11 marzo 2020 la Corte d’appello di Milano rigettò l’appello.

Osservò la corte territoriale che la confisca per equivalente disposta in sede penale, non avendo natura risarcitoria, ma sanzionatoria, non escludeva l’obbligazione risarcitoria e che la confisca incideva sul patrimonio dell’imputato condannato, trasferendo le utilità all’Erario, mentre il risarcimento del danno rimediava la lesione patrimoniale subita dall’ente erogatore del contributo pubblico. Precisò che in sede esecutiva andavano detratte le somme che il Ministero avesse già incassato per il medesimo titolo.

Aggiunse, con riferimento al danno non patrimoniale, che il Tribunale lo aveva correttamente ritenuto sussistente. In particolare, osservò che il Tribunale aveva specificato di avere fatto riferimento all’entità della truffa operata, all’importanza del soggetto leso e alle ricadute di credibilità dell’azione amministrativa di governo e che i criteri adottati erano congrui, non sproporzionati e sufficientemente motivati. Infine, osservò che spettavano, con riferimento al danno patrimoniale, sia la rivalutazione della somma che gli interessi compensativi.

5. Ha proposto ricorso per cassazione (omissis) (omissis) (omissis) sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso la parte intimata.

E’ stata depositata memoria dal ricorrente.

Il pubblico ministero ha presentato le conclusioni scritte.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 158 cod. proc. civ. in relazione alla eccezione di incostituzionalità degli artt. 62-72 legge n. 98 del 2013 di conversione del d. l. n. 69 del 2013.

Osserva la parte ricorrente, in relazione alla circostanza che il Collegio è composto da un giudice ausiliario, peraltro relatore ed estensore della sentenza, che con ordinanze nn. 32032 e 32033 del 2019 la Corte di Cassazione ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della normativa istitutiva dei giudici ausiliari.

1.1. Il motivo è infondato.

A seguito della sentenza della Corte Cost. n. 41 del 2021, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di quelle disposizioni, contenute nel d.l. n. 69 del 2013 (conv. con modif. nella l. n. 98 del 2013), che conferiscono al giudice ausiliario di appello lo “status” di componente dei collegi nelle sezioni delle corti di appello, queste ultime potranno legittimamente continuare ad avvalersi dei giudici ausiliari, fino a quando, entro la data del 31/10/2025, si perverrà ad una riforma complessiva della magistratura onoraria; fino a quel momento, infatti, la temporanea tollerabilità costituzionale dell’attuale assetto è volta ad evitare l’annullamento delle decisioni pronunciate con la partecipazione dei giudici ausiliari e a non privare immediatamente le corti di appello dei giudici onorari al fine di ridurre l’arretrato nelle cause civili (Cass. n. 32065 del 2021).

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 332–ter cod. pen, 1223 e 2043 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ..

Osserva la parte ricorrente che il valore dei beni confiscati, quanto meno nella valutazione ad opera della Guardia di Finanza nella misura di Euro 84.712.233,03, deve essere portato a detrazione dell’ammontare risarcitorio, pena la duplicazione risarcitoria, perché la confisca, pur avendo natura punitiva, ha apportato al danneggiato dal reato (l’Erario) le utilità sottratte costituenti il profitto del reato, o quanto meno parte di esse, per cui, elidendo il danno, deve essere considerata nella liquidazione di quest’ultimo, nel rispetto del principio di risarcibilità del danno effettivo.

Aggiunge che deve trovare applicazione il principio della compensatio lucri cum damno e che diversamente il danno avrebbe natura punitiva in mancanza di previsione di legge.

2.1. Il motivo è fondato.

La confisca in questione è stata disposta, ai sensi dell’art. 322 ter cod. pen. nei confronti delle persone fisiche ed ai sensi dell’art. 19 d. lgs. n. 231 del 2001, per l’equivalente economico delle erogazioni indebitamente percepite. Si tratta della confisca del profitto del reato, che viene disposta «salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato», prevede l’art. 19.

Quest’ultimo inciso è la chiave di volta per l’inquadramento del rapporto fra la confisca in sede penale, ai sensi delle norme citate, ed il risarcimento del danno, avente ad oggetto le erogazioni elargite dalla Amministrazione dello Stato.

La giurisprudenza penale di questa Corte riconosce che, proprio perché la confisca ha ad oggetto il profitto del reato, il suo limite è il profitto che il danneggiato può restituire.

Cass. pen. n. 39874 del 2018 riafferma, come ricorda la decisione impugnata, che la confisca disciplinata dall’art. 322 ter costituisce una sanzione in forza della sua natura punitiva e « persegue lo scopo di ripristinare la situazione economica del reo, qual era prima della violazione della legge penale, privandolo delle utilità ricavate dal crimine commesso e sottraendogli beni di valore ad esse corrispondenti senza esplicare alcuna funzione preventiva».

Essa differisce dalla condanna al risarcimento del danno, che persegue l’effetto di reintegrare il patrimonio del soggetto pubblico leso dalle erogazioni indebite.

Afferma tuttavia Cass. pen. n. 39874 del 2018: «per quanto attiene più specificamente ai rapporti tra la confisca emessa in sede penale ed eventuali provvedimenti risarcitori, emessi in altro procedimento civile o amministrativo in favore di un ente pubblico che sia stato danneggiato dal reato e dall’illecito commesso dalla persona giuridica giudicata responsabile, la autonomia del corso dei giudizi eventualmente contestuali non si risolve anche in reciproca indifferenza dei rispettivi esiti decisori; al contrario, nel determinare l’ammontare pecuniario sino a concorrenza del quale confiscare in sede penale i beni del condannato e della persona giuridica è necessario tenere conto della già avvenuta totale o parziale restituzione o corresponsione all’ente danneggiato di eventuali somme di denaro, da scomputare dal totale del profitto del reato, che va considerato, non al momento di percezione, ma all’atto della decisione.

Siffatta soluzione riceve avvallo normativo per effetto della disposizione del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 19, comma 1, contenente la clausola per la quale, in caso di responsabilità degli enti, la confisca deve essere disposta soltanto per quella parte del profitto del reato presupposto che non possa essere restituito al danneggiato».

Su questa linea vanno ricordate le seguenti decisioni. Cass. pen. n. 45054 del 2011, secondo cui in tema di responsabilità degli enti, la confisca deve essere disposta soltanto per quella parte del profitto del reato presupposto che non possa essere restituito al danneggiato, per cui è da escludere la confiscabilità della somma sequestrata per equivalente, ove tale somma o parte di essa abbia già formato oggetto di restituzione.

Ha poi affermato Cass. pen. n. 44446 del 2013 che in tema di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, la confisca del profitto non può essere disposta nel caso di restituzione integrale all’erario della somma anticipata dallo Stato, giacché tale comportamento elimina in radice l’oggetto della misura ablatoria che, se disposta, comporterebbe una duplicazione sanzionatoria contrastante i principi dettati dagli articoli 3, 23 e 25 Cost. ai quali l’interpretazione dell’art. 640 quater cod. pen. deve conformarsi. Negli stessi termini è Cass. pen. n. 29512 del 2015.

La restituzione integrale all’Erario della somma indebitamente percetta, come da ultimo affermato da Cass. pen. n. 44189 del 2022, elimina in radice l’oggetto della misura ablatoria che, se disposta, comporterebbe una duplicazione sanzionatoria contrastante i principi costituzionali.

In questa rassegna va ricordata la risalente Cass. pen. n. 10120 del 2010, la quale ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 322 ter cod. pen. e 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 per la parte in cui, nel prevedere la confisca per equivalente anche per i reati tributari previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, contrasterebbero, nel caso di sanatoria della posizione debitoria con l’Amministrazione finanziaria, con gli artt. 23 e 25 Cost., in quanto la restituzione all’Erario del profitto del reato fa venir meno lo scopo principale perseguito con la confisca, escludendo la temuta duplicazione sanzionatoria.

Ha osservato il Collegio che la sanatoria della posizione debitoria con l’amministrazione finanziaria fa venir meno lo scopo principale che si intende perseguire con la confisca.

Ne consegue che la restituzione all’erario del profitto derivante dal reato elimina in radice lo stesso oggetto sul quale dovrebbe incidere la confisca. In caso contrario si avrebbe una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in violazione principio che l’espropriazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al profitto derivato dal reato.

Dalla elaborazione giurisprudenziale di questa Corte in materia di confisca del profitto del reato e restituzione all’Erario delle erogazioni indebitamente percepitesi evince un principio, che è alla base dell’art. 19 d.lgs. n. 231 del 2001, secondo cui, essendo parametrata la confisca a quanto indebitamente erogato, la ripetizione dell’importo corrisposto senza causa preclude, nei limiti di quanto restituito, la confisca. Non può aversi mediante quest’ultima una duplicazione di quanto già restituito del profitto derivato dal reato.

Il principio, deve intendersi, opera anche in senso contrario, nel senso che l’azione restitutoria trova limite nella disposta confisca.

Alla stessa conseguenza deve pervenirsi laddove l’azione promossa è di tipo risarcitorio, ed il danno allegato corrisponde alle erogazioni indebite in relazione alle quali sia già intervenuta la confisca.

Riconoscere un danno risarcibile in favore dell’Erario violerebbe il principio di effettività del danno una volta che la confisca abbia avuto ad oggetto proprio il valore che viene preteso a titolo risarcitorio e fatto costitutivo della confisca e del danno è la medesima condotta pregiudizievole ai danni dell’Amministrazione pubblica.

Non si tratta del mero coordinamento dei due titoli in sede esecutiva, detraendo le somme già incassate dal Ministero a diverso titolo, come affermato dalla corte territoriale e dal pubblico ministero nelle sue conclusioni scritte, perché il coordinamento, sulla base del principio sotteso all’art. 19 d.lgs. n. 231 del 2001 (confisca del profitto del reato disposta «salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato»), si impone già sul piano dei valori giuridici.

Come non può essere disposta la confisca per la parte che può essere restituita al danneggiato, così non può essere disposto il risarcimento per la parte che sia già oggetto di confisca, pena la violazione, come si è detto, del principio di effettività del danno.

Il giudice del rinvio, nella liquidazione del danno risarcibile, dovrà quindi computare il valore economico dell’oggetto della confisca, attenendosi al seguente principio di diritto: “ove sia intervenuta confisca avente ad oggetto il profitto del reato ai sensi dell’art. 322 ter cod. pen., ovvero ai sensi dell’art. 19 d.lgs. n. 231 del 2001, deve tenersi conto nella quantificazione del danno risarcibile in favore del soggetto pubblico, danno costituito da quanto indebitamente percepito dall’autore del reato, del valore economico dell’oggetto della disposta confisca”.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione degli artt. 185 cod. pen, 2059, 2727 e 2729 cod. civ., 132, 163 e 164 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4 , cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che il danno non patrimoniale è stato riconosciuto sulla base di una motivazione apparente, già in primo grado e poi nella sentenza di appello, e che risulta postulato un danno in re ipsa in mancanza di allegazione e prova del danno conseguenza.

3.1. Il motivo è fondato.

Ha affermato il giudice del merito che il Tribunale, per la liquidazione del danno non patrimoniale, aveva specificato di avere fatto riferimento all’entità della truffa operata, all’importanza del soggetto leso e alle ricadute di credibilità dell’azione amministrativa di governo e che i criteri adottati erano congrui, non sproporzionati e sufficientemente motivati.

La motivazione ha un tono meramente assertivo e non esplicativo in quanto assume gli indici fatti propri dal tribunale e poi ne predica la congruità e il carattere non sproporzionato, senza illustrare, in relazione all’importo liquidato, la ragione di una siffatta valutazione.

Irrilevante è poi il giudizio di sufficienza motivazionale, posto che il controllo del giudice di appello non è di legittimità, ma di merito. In conclusione, la motivazione è apparente e non è idonea ad integrare il requisito motivazionale previsto dalla norma costituzionale.

4. Con il quarto motivo si denuncia violazione degli artt. 2043 e 1223 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ..

Osserva la parte ricorrente che con riferimento al debito di valore, di cui si è chiesta la liquidazione, l’attore ha domandato l’applicazione degli interessi compensativi, ma questi spettano a condizione che i mancati guadagni siano provati dal creditore, il quale deve pure provare la non sufficiente efficacia reintegrativa della mera rivalutazione. Aggiunge che tale allegazione e prova non è stata offerta dal creditore.

4.1. Il motivo è fondato.

Il principio di diritto tenuto fermo dalla giurisprudenza di questa Corte è nel senso che qualora la liquidazione del danno da fatto illecito extracontrattuale sia effettuata “per equivalente”, con riferimento, cioè, al valore del bene perduto dal danneggiato all’epoca del fatto illecito, e tale valore venga poi espresso in termini monetari che tengano conto della svalutazione intervenuta fino alla data della decisione definitiva, è dovuto al danneggiato anche il risarcimento del mancato guadagno, che questi provi essergli stato provocato dal ritardato pagamento della suddetta somma.

Tale prova può essere offerta dalla parte e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi, quale l’attribuzione degli interessi, ad un tasso stabilito valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive del caso; in siffatta ultima ipotesi, gli interessi non possono essere calcolati (dalla data dell’illecito) sulla somma liquidata per il capitale, definitivamente rivalutata, mentre è possibile determinarli con riferimento ai singoli momenti (da stabilirsi in concreto, secondo le circostanze del caso) con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base ai prescelti indici di rivalutazione monetaria, ovvero in base ad un indice medio (Cass. sez. n. 1712 del 1995).

In base a tale giurisprudenza, da tempo ormai consolidata, il risarcimento del mancato guadagno deve essere allegato e provato, con tutti i mezzi, anche presuntivi e mediante l’utilizzo di criteri equitativi ai sensi dell’art. 2056 comma 2 cod. civ. (da ultimo, in questo senso, Cass. n. 4938 del 2023).

Il giudice del merito, limitandosi a riconoscere puramente e semplicemente gli interessi compensativi, senza alcun ragionamento probatorio, sia pure di carattere presuntivo, ha violato questo principio di diritto.

In sede di rinvio il giudice dovrà accertare se il pregiudizio in discorso, benché domandato, sia stato provato, sia pure in termini presuntivi.

P. Q. M.

Accoglie il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, rigettando il primo motivo; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Milano in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma il giorno 25 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria l’11 dicembre 2023. 

SENTENZA – copia non ufficiale -.