REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da:
Dott. ROSA PEZZULLO -Presidente
Dott. TIZIANO MASINI -Consigliere
Dott. MARIA TERESA BELMONTE -consigliere
Dott. ELISABETTA MARIA MOROSINI -Consigliere
Dott. ROSARIA GIORDANO -Relatore
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI SIRACUSA
nel procedimento nei confronti di:
(OMISSIS) (OMISSIS) nata a GROSSETO il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 12/07/2023 del TRIBUNALE di SIRACUSA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa ROSARIA GIORDANO;
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa MARIA FRANCESCA LOY, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
letta la memoria con la quale l’imputata (OMISSIS) (OMISSIS) ha chiesto, a mezzo dei propri difensori, il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale di Siracusa ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di (omissis) (omissis) – imputata, in virtù dell’originaria prospettazione accusatoria, del delitto previsto e punito dall’art. 99, comma secondo, n. 1, 624 e 625 n. 2 cod. pen., perché si impossessava di una quantità indeterminata di energia elettrica sottraendola a “E-distribuzione s.p.a.”, mediante un allaccio diretto alla rete di E-distribuzione s.p.a., con l’aggravante dell’uso del mezzo fraudolento – in quanto l’azione penale non poteva essere proseguita per mancanza di querela a seguito del mutamento del regime di procedibilità del delitto di furto, ai sensi dell’art. 624, comma terzo, cod. pen., aggiunto dall’art. 2, lett. i), del d.lgs. 30 ottobre 2022, n. 150.
2. Avverso la richiamata sentenza il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Siracusa ha proposto ricorso immediato per cassazione deducendo l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale poiché il giudice di primo grado avrebbe illegittimamente dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputata, nonostante l’avvenuta contestazione suppletiva, alla prima udienza del 12 luglio 2023, della circostanza aggravante del furto commesso su cosa destinata a pubblico servizio, in presenza della quale il reato è procedibile d’ufficio anche ai sensi del vigente art. 624, comma terzo, cod. pen.
Il Pubblico Ministero ricorrente lamenta, in particolare, che il giudice aveva ritenuto la contestazione suppletiva tardiva, benché la stessa potesse essere effettuata sino alla chiusura del dibattimento.
Né avrebbe potuto assumere rilievo, come invece ritenuto dalla pronuncia impugnata, che, alla data nella quale era stata effettuata tale contestazione, era ormai decorso il termine di cui all’art. 85 dello stesso d.lgs. n. 150 del 2022 per la proposizione della querela ad opera della parte a seguito del mutamento del regime di procedibilità del reato.
Ciò in quanto, con riferimento alla causa estintiva della prescrizione, la giurisprudenza di legittimità riconosce la possibilità che la contestazione suppletiva – espressione dell’obbligo di esercizio dell’azione penale – possa essere compiuta anche dopo il decorso del termine di prescrizione del reato.
Sarebbe di qui inconferente, a differenza di quanto ritenuto dal Giudice di primo grado, la formulazione della contestazione dopo il decorso del termine per la presentazione della querela, una volta mutato il regime di procedibilità del reato per come originariamente contestato alla parte.
Il Procuratore Generale ha chiesto l’accoglimento del ricorso evidenziando, per un verso, che è consentito al pubblico ministero di modificare la contestazione in udienza mediante la contestazione suppletiva di un aggravante da cui derivava la procedibilità d’ufficio per i reati divenuti perseguibili a querela dopo la modifica introdotta dal d.lgs. n. 150 del 2022 e, per un altro, che, ad ogni modo, non si tratta di una contestazione suppletiva perché già nella descrizione del fatto nel capo di imputazione del delitto di furto di energia elettrica è contenuta l’aggravante che dà luogo alla procedibilità d’ufficio, sicché quella effettuata in udienza dal Pubblico ministero è una mera precisazione della imputazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso va rimesso alle Sezioni Unite.
2. Rispetto alle questioni di diritto rilevanti ai fini della decisione del ricorso, sussiste un duplice contrasto che si è formato, nella giurisprudenza di questa Corte, a fronte della proposizione di analoghi ricorsi immediati per cassazione da parte di Pubblici Ministeri contro decisioni rese ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. per assenza di querela.
Tali ricorsi, al pari di quello in esame, si sono fondati, essenzialmente, sulla doglianza per la quale, a seguito del mutamento del regime di procedibilità del delitto di furto – in ragione della sostituzione operata dall’art. 2, comma 1, lett. i), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 del comma terzo dell’art. 624, cod. pen., — ben poteva essere legittimamente contestata in dibattimento la circostanza aggravante contemplata dall’art. 625, comma primo, n. 7, del medesimo codice che rende lo stesso procedibile d’ufficio, in virtù delle eccezioni contenute nel medesimo comma terzo dell’art. 624 cod.pen.
3. La prima questione sulla quale si rileva l’esistenza del contrasto è quella relativa alla possibilità di ritenere implicitamente contestata in fatto l’aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen., nelle ipotesi di sottrazione di cose che, per loro natura, sono destinate oggettivamente ad un pubblico servizio (come, ad esempio, l’energia elettrica, il gas, l’acqua), indipendentemente dalla forma, pubblica o privata, dei soggetti che gestiscono lo stesso.
3.1. Secondo un primo orientamento, infatti, non è necessario che detta circostanza aggravante sia esplicitamente contestata nel capo di imputazione ovvero che vi sia in detto capo il riferimento alla relativa disposizione normativa poiché un bene quale è, ad esempio, l’energia elettrica, è suscettibile di un unico, ben definito, significato, atteso che l’oggetto della sottrazione è indefettibilmente destinato a pubblico servizio e non richiede, ai fini di una compiuta risposta difensiva, alcuna previa e dettagliata esplicazione, sicché la sua contestazione, eseguita mediante la mera enunciazione della condotta incriminata, deve considerarsi ritualmente avvenuta, consentendo all’imputato di essere edotto della contestazione formulata anche sotto lo specifico profilo circostanziale, così rappresentato e di poter congruamente esercitare il proprio diritto di difesa (Sez. 4, n. 48529 del 07/11/2023, P.M.T. in proc. Marcì, n.m.).
In termini analoghi si era già espressa, nella giurisprudenza recente, un’altra decisione per la quale l’aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen. è in sé integrata dalla sottrazione di energia al servizio elettrico, in ragione della natura pubblica del servizio (Sez. 5, n. 33824 del 05/06/2023, Graziano, n.m.).
3.2. In senso opposto si sono pronunciate, sempre nell’ambito della giurisprudenza di questa Corte, altre decisioni. In generale, già prima del mutamento del regime di procedibilità del delitto di furto in virtù del richiamato art. 2, lett. i) del d.lgs. n. 150 del 2022, si è affermato che non può considerarsi legittimamente contestata in fatto e ritenuta in sentenza la circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen., configurata dall’essere i beni oggetto di sottrazione destinati a pubblico servizio, qualora nell’imputazione tale natura non sia esposta in modo esplicito o non siano richiamate le pertinenti disposizioni normative (Sez. 5, n. 26511 del 13/04/2021, Sciortino, Rv. 281556).
A questa posizione si sono ricondotte, rispetto alla problematica che si è presentata ripetutamente a seguito della riforma realizzata dal d.lgs. n. 150 del 2022, a fronte della modifica del regime di procedibilità del delitto di furto, una serie di decisioni, le quali hanno posto in rilievo che la questione vede sul rispetto del principio di correlazione tra fatto ascritto e fatto ritenuto in sentenza, in relazione alla regola enunciata dall’art. 521 cod.proc.pen., quando non sia stato operato un espresso riferimento alla predetta fattispecie, non contenendo l’atto di esercizio dell’azione penale la contestazione all’aggravante prevista dall’art. 625, comma primo, n. 7, cod.pen. (Sez. 4, n. 46859 del 26/10/2023, n.m.; Sez. 4, n. 44157 del 03/10/2023, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n. 44158, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n. 44159, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n. 44160, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n. 44161, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n. 44162, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n. 44163, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n. 44164, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n. 44166, n.m.).
3.3. Il rilevato contrasto sembra fondarsi su due questioni di più ampia portata sistematica, come si evince dalle motivazioni sottese ai ripercorsi indirizzi interpretativi.
Sotto un primo aspetto, le richiamate sentenze hanno inteso in maniera differente le implicazioni, rispetto alla problematica esaminata dalle stesse, del principio affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 24906 del 18/04/2019, Sorge, Rv. 275436 – 01, per la quale, in tema di reato di falso in atto pubblico, non può ritenersi legittimamente contestata, sì che non può essere ritenuta in sentenza dal giudice, la fattispecie aggravata di cui all’art. 476, comma secondo, cod. pen., qualora nel capo d’imputazione non sia esposta la natura fidefacente dell’atto o direttamente, anche mediante l’impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l’indicazione della relativa norma. In applicazione di detto principio, in particolare, le Sezioni unite hanno escluso che la mera indicazione dell’atto, in relazione al quale la condotta di falso è contestata, sia a tal fine sufficiente, in quanto l’attribuzione ad esso della qualità di documento fidefacente costituisce il risultato di una valutazione.
E, invero, rispetto alla concreta declinazione del richiamato principio di diritto espresso dalla richiamata sentenza “Sorge”, le decisioni in contrasto si fondano proprio sulla possibilità di ritenere che la finalizzazione del bene sottratto quando si tratti, ad esempio, di energia elettrica, allo svolgimento di un pubblico servizio, sia immanente e ricorra dunque costantemente, al di là delle modalità concrete di esecuzione della sottrazione, della natura, pubblica o privata, dell’ente erogatore o del fruitore del bene, dell’eventuale danno provocato all’apparecchio destinato alla fornitura e dell’effettivo nocumento arrecato alla somministrazione di energia ad altri utenti (Sez. 4, n. 48529 del 07/11/2023, P.M.T. in proc. Marcì, n.m.) ovvero – diversamente – che la circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen. abbia natura valutativa.
A quest’ultima conclusione Sez. 5, n. 26511 del 13/04/2021, Sciortino, Rv. 281556-01, è pervenuta osservando, innanzi tutto, che la considerazione circa l’essere le cose oggetto di furto destinate a pubblico servizio implica necessariamente l’esercizio di un’opzione valutativa che si radica su elementi di fatto ed impone, inoltre, una verifica di ordine giuridico sulla natura della res e sulla sua specifica destinazione.
La medesima decisione ha inoltre osservato che sono compresenti, all’interno della disposizione normativa di cui all’art. 625 cod. pen., due diverse ipotesi di aggravanti, quelle previste dal n. 7 e dal n. 7 -bis, legate da un rapporto di specialità ed entrambe in astratto ipotizzabili a fronte della sottrazione di beni di norma destinati a un pubblico servizio. Sotto un ulteriore profilo, il contrasto si è radicato in forza di una differente interpretazione della portata della pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo resa in data 11 dicembre 2007 nel caso Drassich c. Italia, la quale, interrogandosi sull’estensione dei diritti riconosciuti agli imputati dal par. 3, lett. a) e b), dell’art. 6 della Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ha affermato che, se i giudici di merito hanno la possibilità di riqualificare i fatti per i quali sono stati regolarmente aditi, devono assicurarsi che gli imputati abbiano avuto l’opportunità di esercitare i loro diritti di difesa sul punto in maniera concreta ed effettiva, nel senso che essi devono essere informati in tempo utile non solo del motivo dell’accusa, ossia dei fatti materiali che vengono loro attribuiti, ma anche, e in maniera dettagliata, della qualificazione giuridica attribuita a tali fatti (Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza dell’Il dicembre 2007, Drassich c. Italia, §§ 34 ss., in fattispecie nella quale l’imputato era stato condannato per un reato, la corruzione in atti giudiziari, che non era menzionato nel suo rinvio a giudizio e che non gli era stato comunicato in nessuna fase del procedimento e la riqualificazione aveva avuto luogo solo al momento della deliberazione della Corte di cassazione e non era stata evocata da alcuna delle controparti o dei giudici in una fase anteriore del procedimento).
Infatti, secondo le decisioni che hanno ritenuto possibile una contestazione in fatto della circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen., la richiamata pronuncia Drassich deve essere intesa in una prospettiva non formalistica, nel senso che ciò che rileva per essa è che sia possibile dal capo di imputazione comprendere il fatto oggetto della prospettazione accusatoria e difendersi in modo adeguato (Sez. 4, n. 48529 del 07/11/2023, P.M.T. in proc. Marcì, n.m.).
Le pronunce che hanno aderito all’opposto indirizzo interpretativo, di contro, affermano che la necessità di una specifica contestazione dell’aggravante in esame è in linea con i principi espressi dalla richiamata pronuncia Drassich c. Italia, nel solco della quale, soggiungono, più volte nella giurisprudenza di legittimità à stato ribadito che il potere di attribuire alla condotta una nuova e differente qualificazione giuridica presuppone la preventiva promozione, ad opera del giudice, del contraddittorio fra le parti sulla quaestio juris relativa, e ciò finanche nell’ipotesi in cui la diversa qualificazione risulti più favorevole per l’imputato poiché la difesa può esercitare differenti opzioni strategiche in ragione della diversa qualificazione del fatto di reato (Sez. 4, n. 44157 del 03/10/2023, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n. 44158, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n. 44159, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n. 44160, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n. 44161, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n. 44162, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n. 44163, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n. 44164, n.nn.; Sez. 4, 03/10/2023, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n. 44166, n.m.).
4. La seconda questione sulla quale si è rilevata l’esistenza di un contrasto nella giurisprudenza della Corte – e che assume rilievo qualora le Sezioni Unite ritenessero di aderire all’indirizzo più rigoroso sulla prima questione – attiene al 6 i se, in tema di reati divenuti perseguibili a querela a seguito della modifica introdotta dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, nel caso di intervenuto decorso del termine previsto all’art. 85 del predetto decreto senza che sia stata proposta querela, è consentito al pubblico ministero modificare l’imputazione in udienza mediante la contestazione di una circostanza aggravante per effetto della quale il reato divenga procedibile di ufficio, essendo lo stesso investito del potere-dovere di esercitare l’azione penale per un reato correttamente circostanziato ovvero se tale contestazione suppletiva sia preclusa dall’obbligo del giudice di rilevare immediatamente la causa di non procedibilità ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
4.1. In particolare, in accordo con un primo indirizzo interpretativo, inaugurato da Sez. F, n. 43255 del 22/08/2023, P.M.T. in proc. Di Lanno, Rv. 285216 – 01, nell’ambito dei reati divenuti perseguibili a querela a fronte delle novità introdotte dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, nel caso di intervenuto decorso del termine previsto all’art. 85 del predetto decreto senza che sia stata proposta la querela, è consentito al pubblico ministero modificare l’imputazione in udienza mediante la contestazione di una circostanza aggravante per effetto della quale il reato divenga procedibile di ufficio, essendo lo stesso investito, anche in difetto di sopravvenienze dibattimentali rilevanti a tal fine, del potere- dovere di esercitare l’azione penale per un reato correttamente circostanziato.
A fondamento dell’orientamento sintetizzato nella richiamata massima, nel solco del quale si sono espressamente poste alcune pronunce successive, è stato osservato, in particolare, che l’art. 517 cod. proc. pen., regolante la possibilità di effettuare nel giudizio dibattimentale la contestazione all’imputato di una circostanza aggravante, non sottopone ad alcun tipo di limite il potere-dovere del pubblico ministero di operare tale modifica dell’imputazione, se non quella che vi sia un’istruttoria dibattimentale in atto, trattandosi di un potere-dovere correlato all’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale che deve essere considerato immanente e non limitabile e – dunque – esercitabile in tutte le fasi del procedimento.
E’ stato dunque richiamato il principio espresso da Sez. U, n. 4 del 28/10/1998, dep. 1999, Barbagallo, Rv. 212757 – 01, secondo cui la modifica dell’imputazione di cui all’art. 516 cod. proc. pen. e la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante di cui all’art. 517 cod. proc. pen. possono essere effettuate anche subito dopo l’avvenuta apertura del dibattimento e prima dell’espletamento dell’istruzione dibattimentale, e dunque, sulla sola base di atti già acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari (Sez. 4, n. 47769 del 22/11/2023, n.m.; Sez. 4, n. 48061 del 22/11/2023, n.nn.; Sez. 4, n. 48062 del 22/11/2023, n.m.; Sez. 4, n. 48063 del 22/11/2023, n.nn.; Sez. 4, n. 48064 del 22/11/2023, n.m.; Sez. 4, n. 48067 del 22/11/2023, n.m.; Sez. 4, n. 48068 del 22/11/2023, n.m.; Sez. 4, n. 48069 del 22/11/2023, n.m.; Sez. 4, n. 48070 del 22/11/2023, n.m.; Sez. 4, n. 48537 del 22/11/2023, n.m.).
In particolare, la sentenza Sez. 4, n. 48537 del 22/11/2023, P.M.T. in proc. Scalora, n.m., si è confrontata espressamente con il problema correlato alla rilevata possibilità del Pubblico Ministero di svolgere contestazioni suppletive sino alla conclusione del dibattimento con la regola espressa dall’art. 129 cod. proc. pen., osservando che detta regola di giudizio deve essere modulata a seconda della fase del procedimento in cui si prospetta o interviene la causa di non punibilità in quanto, se è sempre consentito il proscioglimento predibattimentale dell’imputato ai sensi dell’art. 469 cod. proc. pen. laddove non sia utile il vaglio dibattimentale in quanto l’azione penale non deve essere iniziata o proseguita, una volta che il contraddittorio è costituito nella sua massima pienezza, il ricorso alla pronuncia in rito deve rispettare detto principio mediante una preventiva interlocuzione tra le parti che manca se viene radicalmente impedito al Pubblico Ministero di effettuare la nuova contestazione ritenendo all’uopo dirimente la circostanza che sono maturati i presupposti di cui all’art. 129 cod. proc. pen.
4.2. Si sono poste in senso consapevolmente difforme rispetto al richiamato principio, espresso a partire dalla richiamata Sez. F, n. 43255 del 22/08/2023, P.M.T. in proc. Di Lanno, Rv. 285216 – 01, una serie di altre decisioni, corredate da una motivazione pressoché identica, evidenziando che la possibilità per il Pubblico Ministero, senza alcuna preclusione, di effettuare nuove contestazioni nel corso del dibattimento deve arrestarsi ove venga accertato il difetto, originario o sopravvenuto, di una condizione di procedibilità, poiché ciò preclude lo svolgimento di qualsiasi attività processuale di parte e di ogni ulteriore accertamento in punto di fatto, a fronte dell’obbligo del giudice, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., di dichiarare l’immediata improcedibilità dell’azione penale, in conformità al principio enunciato da Sez. U, n. 49783 del 24/09/2009, Martinenghi, Rv. 245163-01 e al fatto che detta norma costituisce, secondo quanto affermato da Sez. U, n. 17179 del 27/02/2002, Conti, Rv. 221403-01, la proiezione del principio di legalità stabilito sul piano del diritto sostanziale, ed è altresì espressione del canone della ragionevole durata del processo sancito dall’art. 111 Cost.
Le stesse decisioni non hanno trascurato di porre in rilievo, inoltre, che la soluzione affermata è coerente con quanto statuito dalle Sezioni Unite in data 28 settembre 2023, secondo quanto risulta dall’informazione provvisoria n. 13/2023, nel procedimento iscritto al numero ruolo generale 37844 del 2022, nel senso che, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, l’aumento di pena per la recidiva che integri una circostanza aggravante ad 8 A effetto speciale non rileva se la stessa è stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione previsto per il reato come originariamente contestato (Sez. 4, n. 44157 del 03/10/2023, n.m.; Sez. 4, n. 44158 del 03/10/2023, n.m.; Sez. 4, n. 44159 del 03/10/2023, n.m.; Sez. 4, n. 44160 del 03/10/2023, n.m.; Sez. 4, n. 44161 del 03/10/2023, n.m.; Sez. 4, n. 44162 del 03/10/2023, n.m.; Sez. 4, n. 44163 del 03/10/2023, n.m.; Sez. 4, n. 44164 del 03/10/2023, n.m.; Sez. 4, n. 44165 del 03/10/2023, n.m.; Sez. 4, n. 44166 del 03/10/2023, n.m.).
5. Alla luce delle diverse impostazioni giurisprudenziali riferite, emerge, pertanto, un contrasto giurisprudenziale che, ai sensi dell’art. 618, comma 1, cod. proc. pen., considerata anche la rilevanza della questione, implicante la risoluzione di problematiche di più ampia portata – quali le modalità di contestazione delle circostanze aggravanti rispetto all’esercizio di difesa dell’imputato e alla connotazione del fatto nella sua estrinsecazione materiale e qualificazione giuridica, nonché il bilanciamento tra l’obbligatorietà dell’azione penale e il potere/dovere del giudice di emanare pronuncia in rito ex art. 129 cod. proc. pen. – giustifica la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite per la decisione delle seguenti questioni oggetto di contrasto:
1) Se, in tema di furto, la circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen., possa ritenersi legittimamente contestata in fatto e ritenuta in sentenza nell’ipotesi in cui l’imputazione indichi quale oggetto della sottrazione una cosa destinata, in virtù della sua oggettiva funzione, a pubblico servizio, ovvero sia richiesta un’esplicita contestazione della predetta circostanza aggravante, compiuta direttamente o mediante l’impiego di formule equivalenti ovvero attraverso l’indicazione della relativa norma;
2) Se, nella seconda ipotesi, al pubblico ministero sia consentito modificare l’imputazione in udienza, mediante la contestazione della suddetta circostanza aggravante, con la conseguenza di rendere il reato procedibile d’ufficio (ai sensi della vigente formulazione dell’art. 624, comma terzo, come modificato dall’art. 2, comma 1, lett. i), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150), oppure il giudice debba rilevare immediatamente la causa di non procedibilità per mancanza di querela, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.
Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2023.