REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
Dott. ENRICO VITTORIO STANISLAO SCARLINI – Presidente –
Dott. RENATA SESSA – Consigliere –
Dott. FRANCESCO CANANZI – Relatore –
Dott. ANNA MARIA GLORIA MUSCARELLA – Consigliere –
Dott. GIOVANNI FRANCOLINI – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 21/11/2023 della CORTE D’APPELLO DI BARI;
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FRANCESCO CANANZI;
lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa FRANCESCA CERONI, che ha chiesto annullarsi con rinvio la sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Bari, con la sentenza emessa il 21 novembre 2023, riformava quella del Tribunale di Trani, riqualificando la condotta di tentata estorsione – contestata al capo b) dell’imputazione, in uno a quella di sequestro di persona – nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ex 393 cod. pen. e confermava la responsabilità di (OMISSIS) (OMISSIS) rideterminando la pena.
L’imputazione, rilevante ai fini della migliore comprensione del ricorso, era stata come segue formulata, in relazione ai delitti previsti dagli artt. 81, comma secondo, 56 – 629 e 605 cod. pen. “per avere, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, dapprima convinto con un pretesto la sorella (OMISSIS) (OMISSIS) ed il cognato (OMISSIS) (OMISSIS) a recarsi presso l’abitazione posta al piano terra di (OMISSIS) per poi rinchiuderli a chiave per almeno 20 minuti privandoli della liberta personale ed, altresì, compiuto atti idonei diretti inequivocamente, mediante reiterate minacce, a costringere gli stessi (in cambio della restituzione della libertà personale) a consegnargli la somma di denaro di € 10,00, asseritamente finalizzata all’acquisto di sigarette, non riuscendo nel proprio intento per le resistenze delle vittime che si rifiutavano di erogare la somma e chiedevano telefonicamente l’intervento dei Carabinieri. In (OMISSIS) il 15 novembre 2021. Recidiva reiterata».
2. II ricorso per cassazione proposto nell’interesse di (OMISSIS) (OMISSIS) consta di quattro motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. II primo motivo deduce vizio di motivazione. La Corte di appello ha solo parzialmente accolto il motivo di appello con il quale si richiedeva la riqualificazione della condotta di tentata estorsione in quella di tentato esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in quanto veniva invece ritenuto il delitto nella forma consumata.
Osserva il ricorrente come l’evento – consistente nella consegna del denaro richiesto – non risulta verificatosi, dal che il vizio della sentenza impugnata.
4. II secondo motivo lamenta vizio di motivazione in ordine alla omessa riqualificazione del delitto di sequestro di persona in quello di violenza privata.
Sul punto sarebbe del tutto mancante la motivazione, in quanto vi sarebbe stato un rinvio alla sentenza di primo grado, non sufficiente a fronte di una specifica doglianza sul punto.
In particolare, il ricorrente lamenta che la Corte non abbia valutato che non una limitazione della libertà di movimento, ma solo di autodeterminazione era stata posta in essere dall’imputato nei confronti dei congiunti, nonché che la volontà dello stesso non fosse quella di limitare l’altrui libertà di movimento, bensì di costringere a un «fare» (consistente nella azione di consegnare 10 euro), come previsto dall’art. 610 cod. pen. e come emergente dalla dichiarazione della persona offesa (OMISSIS) (OMISSIS).
5. II terzo motivo lamenta vizio di motivazione in ordine all’ applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata.
La Corte di appello avrebbe ritenuto generica la doglianza sul punto, senza confrontarsi con i motivi che lamentavano la sufficienza del trattamento farmacologico presso le strutture territoriali per le infermità mentali e per le tossicodipendenze, limitandosi, la Corte medesima, a richiamare la sentenza di primo grado e la perizia, senza affrontare il tema della omessa determinazione del termine per la verifica della permanenza della pericolosità.
6. Il quarto motivo lamenta vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, sia quanto all’omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sia anche quanto al difetto di motivazione in ordine alla pena base, come determinata per il piu grave reato di sequestro di persona.
7. Il ricorso é stato trattato senza l’intervento delle parti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso é parzialmente fondato.
2. Quanto al primo motivo, lo stesso é fondato.
A fronte della doglianza di appello, con la quale veniva sollecitata la riqualificazione della condotta di tentata estorsione in tentato esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la Corte di appello riteneva nella sostanza solo parzialmente fondato il motivo, rilevando come effettivamente fosse «ragionevolmente ipotizzabile la configurabilità del diverso reato di cui all’art. 393 cod. pen. (nella sua forma consumata, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa)». Tanto si legge al fol. 4 della sentenza, cosicché nessun dubbio sussiste sulla circostanza che il Collegio di appello abbia ritenuto l’ipotesi di ‘ragion fattasi’ consumata, pur senza chiarirne le ragioni.
A ben vedere, il delitto di cui all’art. 393 cod. pen. é delitto di evento, in cui l’evento coincide con un risultato raggiunto, e cioè l’agente «si fa arbitrariamente ragione da se medesimo usando violenza o minaccia alle persone». In sostanza il ‘si fa’ esprime la compiutezza dell’azione di violenza e minaccia che ha condotto al raggiungimento del risultato riguardo al bene della vita, che altrimenti si sarebbe raggiunto a mezzo dell’azione giudiziaria.
II che nel caso in esame riguarda l’acquisizione dei 10 euro di pensione – di ciò si trattava secondo la Corte di appello – che l’imputato rivendicava e che, nel caso in esame, non furono consegnati.
In tal senso, va quindi condiviso l’orientamento prevalente di questa Corte di legittimità, espresso da Sez. 6, n. 29260 del 17/05/2018, Paoloni, Rv. 273444 – 01 che ha richiamato in motivazione le numerose decisioni che hanno ammesso la – configurabilità del tentativo del reato di esercizio delle proprie ragioni, sia se commesso con violenza sulle case, sia se commesso con violenza alle persone (si possono citare: Sez. 6, n. 47152 del 29/09/2016, Ruberto, non mass.; Sez. 5, n. 4456 del 19/12/2007, dep. 2008, Foralosso, Rv. 238347; Sez. 6, n. 391981 del 30/04/2003, Tucciariello, Rv. 226262; Sez. 2, n. 7911 del 27/02/1997, Marino, Rv. 208465; Sez. 1, n. 10100 del 23/01/1974, Bonezzi, Rv. 128868, Sez. 3, n. 7277 del 03/05/1973, Funaro, Rv. 125260).
Sez. 6 Paoloni ha richiamato tale orientamento per il quale «il concetto di farsi ragione da se presuppone il raggiungimento dello scopo, di talché, quando si pongono in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a raggiungere tale scopo (che tuttavia non si consegue), deve trovare pacificamente spazio la ipotesi delittuosa ex art. 56-393 cod. pen.» (cosl Sez. 5, Foralosso, cit., ma anche Sez. 1, Bonezzi, cit.).
II diverso orientamento rileva come il delitto di ‘ragion fattasi’ si consuma gia nel momento in cui la violenza o la minaccia sono esplicate, senza che rilevi il conseguimento in concreto del fine perseguito; questo «perché la consumazione del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni non richiede la soddisfazione del preteso diritto che si é inteso tutelare, dato che la legge punisce il modo antigiuridico con il quale tale diritto é fatto valere, astraendo dalla sua esistenza e dall’effettivo soddisfacimento del diritto stesso» (cosl Sez. 2, n. 25999 del 02/04/2007, Filippo, Rv. 237146, poi richiamata da Sez. 6, n. 6062 del 15/01/2008, Villano, non mass.).
Va, perciò, condivisa la prima opinione, maggioritaria, anche alla luce della convincente considerazione di Sez. 6 Paoloni, per la quale sussiste «[ …] il tentativo del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, quando la violenza o la minaccia posta in essere non sia seguita dalla realizzazione del risultato. Questa soluzione risulta suggerita dal testo della disposizione normativa.
In effetti, la previsione di cui all’artt. 393 cod. pen. descrive la condotta dell’agente come quella di chi «si fa arbitrariamente ragione da se medesimo usando violenza o minaccia alle persone» (analoga e la statuizione dell’art. 392 cod. pen.). Ora, l’impiego dell’indicativo presente in relazione al “farsi ragione”, é, invece, del gerundio con riguardo all’uso della violenza o della minaccia, induce a ritenere che sia necessaria, per l’integrazione della fattispecie, la realizzazione del risultato perseguito».
Pertanto, la sentenza va annullata con rinvio sul punto e la Corte di appello – che ha offerto una motivazione meramente assertiva sul punto, pur a fronte della specifica richiesta di riqualificazione nell’ipotesi prevista dagli artt. 56-393 cod. pen. – dovrà fare buon governo del principio che segue, verificandone l’applicabilità al caso concrete: é configurabile il reato di tentato esercizio arbitrario delle proprie ragioni allorché la violenza o la minaccia non sia seguita dalla realizzazione del risultato, trattandosi di un reato di evento la cui consumazione avviene solo con il raggiungimento del risultato riguardo al bene della vita, che altrimenti sarebbe stato ottenuto a mezzo dell’azione giudiziaria.
3. II secondo motivo é infondato, oltre che aspecifico.
A ben vedere corretta e scevra da vizi di logicità é la motivazione sul punto della richiesta riqualificazione del delitto di sequestro di persona in violenza privata.
In primo luogo, la Corte di appello ricostruisce la condotta dell’imputato senza alcun rinvio per relationem, esplicitamente chiarendo come l’imputato chiuse in casa la sorella e il cognato per un tempo significativo, così limitandone la liberta di movimento.
Quanto a tale ultimo profilo, a differenza di ciò che sostiene la difesa, la frustrazione del diritto di libertà attiene al movimento e non all’autodeterminazione con la costrizione a un facere, che si sostanzierebbe nella dazione dei 10 euro.
Tale profilo é del tutto irrilevante, in quanto quello della dazione é l’evento ulteriore proprio del delitto di estorsione e, poi, di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, mentre l’evento del delitto di sequestro di persona é solo la limitazione della libertà personale per un tempo apprezzabile: a ben vedere tale ultimo delitto non richiede il dolo specifico – a meno che non si versi nel sequestro a scopo di estorsione ex art. 630 cod. pen. (cfr. Sez. 1, n. 14802 del 07/03/2012, Sulger e altro, Rv. 252264 – 01) – cosicché la individuazione della finalità (di fatto evocata dal ricorrente con la reintroduzione del tema della costrizione ad un fare) afferisce alla finalità, nel caso in esame, del tutto irrilevante a fronte della sufficienza del dolo generico.
Infatti, l’elemento soggettivo del delitto di sequestro di persona si sostanzia nel sufficiente dolo generico, consistente nella consapevolezza di infliggere alla vittima la illegittima restrizione della sua libertà fisica, intesa come liberta di locomozione (Sez. 5, n. 19548 del 17/04/2013. M., Rv. 256747 – 01; conf: N. 8766 del 1985, N. 1454 del 1989).
Ciò che occorre ‘volere’, ai sensi dell’art. 605 cod. pen., é solo il privare della libertà personale di muoversi: coscienza e volontà di infliggere alla vittima una illegittima restrizione della sua libertà di muoversi nello spazio, e non viene richiesto alcun dolo specifico, essendo irrilevante il motivo o il fine ultimo dell’agente (cfr. Sez. 5, n. 4717 del 26/02/1986, Scilipoti, Rv. 172924 – 01; conf.: Sez. 5, n. 10625 del 22/10/1982, Monasseri, Rv. 156046 – 01).
Per altro, la condotta di sequestro di persona concorre con quella di esercizio arbitrario delle proprie ragioni non sussistendo alcun rapporto di specialità, in quanto la privazione della libertà personale, intesa quale impedimento alla libertà di locomozione, é requisito estraneo alla fattispecie astratta di cui all’art. 393 cod. pen., con la conseguenza che le anzidette ipotesi delittuose possono concorrere tra loro (Sez. 5, n. 48359 del 08/10/2014, Mokhtar, Rv. 261973 – 01; conf.: N. 5072 del 1984, N. 6677 del 1988, N. 848 del 1993,, N. 5443 del 2000 Rv. 215254 – 01, N. 9731 del 2009 Rv. 243020 – 01).
4. Del tutto impropri, poi, i riferimenti alle sentenze evocate da parte della difesa, che non provvedono a escludere il delitto di sequestro di persona, bensì annullano con rinvio per nuovo giudizio a fronte della assoluzione dal delitto ex art. 610 cod. pen. (Sez. 5, n. 29261 del 24/02/2017, S., Rv. 270869 – 01) o riguardano casi, come osserva la Corte di appello, di impedimento all’accesso in una stanza e non di impossibilità di fuoriuscirne (cfr. Sez. 5, n. 4284 del 29/09/2015, dep. 02/02/2016, G., Rv. 266020 – 01).
Infine, il richiamo alla dichiarazione di (OMISSIS) (OMISSIS) risulta avvenuto ‘per brani’ in modo non consentito, in quanto in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per genericità, quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell’atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall’indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedono ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014 – dep. 29/05/2015, Savasta e altri, Rv. 263601).
Ne consegue l’infondatezza e la genericità del motivo.
5. II terzo motivo lamenta vizio di motivazione in ordine all’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata.
La Corte di appello rilevava la genericità del motivo di impugnazione sul punto, a fronte della motivazione di primo grado.
In effetti la sentenza del Tribunale di Trani riproduceva il contenuto della perizia, che aveva ritenuto l’imputato parzialmente incapace di intendere e volere al momento dei fatti, in quanto affetto da disturbo schizoaffettivo di tipo bipolare, da disturbo conseguente all’uso di sostanze stupefacenti del tipo cocaina e di alcool, rilevandone la pericolosità sociale attenuata, per la quale veniva indicata come non necessaria la misura di sicurezza detentiva, ma congrua quella domiciliare o della libertà vigilata, con presa in carico da parte dei servizi territoriali di salute mentale e per le tossicodipendenze per un anno.
A fronte di tale motivazione, la doglianza di appello in effetti non si confronta nel concreto con tale conclusione, limitandosi ad affermare la sufficienza di un percorso garantito dai trattamenti dei centri territoriali.
A riguardo, quindi, non vi é una specifica contestazione della motivazione del Tribunale e della perizia, e i motivi di appello sono sostanzialmente reiterati con il presente ricorso, senza che vi sia neanche una specifica contestazione della ritenuta genericità dei motivi di appello.
Pertanto, sotto tale profilo, il motivo é nuovamente generico in quanto non si confronta con la motivazione impugnata.
Quanto, poi, alla doglianza che non sia stato fissato un termine per verificare la permanenza della pericolosità, deve evidenziarsi si tratta di doglianza inedita, in quanto non proposta con l’atto di appello.
Va premesso che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «deve ritenersi sistematicamente non consentita (non soltanto per le violazioni di legge, per le quali cfr. espressamente art. 606, comma 3, c.p.p.) la proponibilità per la prima volta in sede di legittimità, con riferimento ad un capo e ad un punto della decisione già oggetto di appello, di uno dei possibili vizi della motivazione con riferimento ad elementi fattuali richiamabili, ma non richiamati, nell’atto di appello: solo in tal modo e, infatti, possibile porre rimedio al rischio concrete che il giudice di legittimità possa disporre un annullamento del provvedimento impugnato in relazione ad un punto della decisione in ipotesi inficiato dalla mancata, contraddittoria, manifestamente illogica considerazione di elementi idonei a fondare il dedotto vizio di motivazione, ma intenzionalmente sottratti alla cognizione del giudice di appello.
Ricorrendo tale situazione, invero, da un lato il giudice della legittimità sarebbe indebitamente chiamato ad operare valutazioni di natura fattuale funzionalmente devolute alla competenza del giudice d’appello, dall’altro, sarebbe facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della sentenza d’appello con riguardo al punto della decisione oggetto di appello, in riferimento ad elementi fattuali che in quella sede non avevano costituito oggetto della richiesta di verifica giurisdizionale rivolta alla Corte di appello, ma siano stati richiamati solo ex post a fondamento del ricorso per cassazione» (cos] Sez. 2, n. 32780 del 13/07/2021, De Matteis, Rv. 281813; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062, in motivazione; in senso conforme, ex plurimis, v. Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, Tocco, Rv. 280306; Sez. 3, n. 27256 del 23/07/2020, Martorana, Rv. 279903; Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, B., Rv. 271869; Sez. 2 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, Li Vigni, Rv. 269368).
Per altro la doglianza é anche infondata, in quanto nel caso in esame la libertà vigilata é stata disposta per il periodo minimo di un anno e la revoca non puo essere ordinata se non e decorso il termine minimo, che comunque non determina la cessazione dello stato di libero vigilato, il quale invece dura sino al provvedimento di revoca, previo accertamento della cessazione della pericolosità (Sez. 1, n. 51660 del 16/10/2018, Mainardi, Rv. 274379 – 01).
Consentita é poi la revoca anticipata di una misura di sicurezza, che però presuppone una verifica attuale in termini di assoluta certezza che la persona ad essa sottoposta abbia cessato di essere pericolosa, verifica che consenta di anticipare il giudizio di riesame della pericolosità che altrimenti deve essere effettuato al termine del periodo minimo ai sensi dell’art. 208 cod. pen (Sez. 1, n. 46938 del 17/11/2004, Savoca, Rv. 230192 – 01).
Ne consegue che non é necessaria l’indicazione del termine per la verifica di pericolosità nel caso concreto, tanto più che la stessa può essere sollecitata anche dalla parte ai fini della revoca anticipata. Il motivo é pertanto generico e infondato.
6. Il quarto motivo resta assorbito e impregiudicato, a seguito dell’annullamento con rinvio in ordine al delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
7. Ne consegue l’annullamento con rinvio limitatamente al delitto di cui all’art. 393 cod. pen. e nel resto il complessivo rigetto del ricorso.
D’ufficio va disposto l’oscuramento dei dati personali, attesa la necessita prevista dall’art. 52, comma 2, d.lgs. 196/2003 di predisporre tale misura a tutela dei diritti e della dignità degli interessati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al delitto di cui all’art. 393 cod. pen. con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Bari. Rigetta nel resto il ricorso.
In caso di diffusione del presente provvedimento andranno omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto impasto dalla legge.
Cosi deciso il 28/1/2025
Il Consigliere estensore Il Presidente
Francesco Cananzi Enrico Vittorio Stanislao Scarlini
Depositato in Cancelleria, oggi 14 marzo 2025.