Bonus 110%. La misura cautelare reale del sequestro preventivo può essere modificata in base all’emergere di ulteriori illeciti senza generare un’illegittima duplicazione della stessa (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 5 luglio 2023, n. 29046).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE PENALE

Composta da:

Dott. GEPPINO RAGO -Presidente-

Dott. LUCIANO IMPERIALI -Relatore-

Dott. PIERLUIGI CIANFROCCA

Dott. DONATO D’AURIA

Dott. FABIO DI PISA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;

avverso l’ordinanza del 19/05/2022 del TRIB. LIBERTA’ di RIMINI

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. LUCIANO IMPERIALI;

lette le conclusioni del PG, Dott.ssa ASSUNTA COCOMELLO;

Ricorso trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23 co.8 D.L. n. 137/2020.

RITENUTO IN FATTO

1. All’esito di indagini interessanti una pluralità di soggetti, tra i qu (omissis) (omissis) indagato per i reati di cui all’art. 416 cod. pen., art. 10 quater d. lgs. 74/2000 ed altro, venivano emessi provvedimenti di applicazione di misure cautelari personali e reali, con riferimento ad una struttura organizzata volta alla creazione di crediti di imposta sulla base di dichiarazioni di costi fittizi asseritamente sostenuti, utilizzando la piattaforma web messa a disposizione dell’Agenzia delle Entrate per poter presentare le dichiarazioni dei costi sostenuti per locazioni (cd. bonus locazioni) o per ristrutturazione (cd. bonus facciate e sisma bonus).

Generati i crediti di imposta corrispondenti al valore dei costi così inseriti, tali crediti venivano immediatamente utilizzati in diversi modi: con la cessione per intero, oppure in compensazione fiscale, oppure frazionandoli e cedendoli a terzi in importi inferiori.

Il primo provvedimento cautelare emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rimini accoglieva le richieste del pubblico ministero in relazione a tutti i reati contestati, ad eccezione di quelli di cui agli artt. 648bis, 648 ter e 648 ter.1 cod. pen., in relazione ai quali non disconosceva la sussistenza del “fumus“, ma evidenziava la necessità di evitare il pericolo di duplicazione del vincolo.

Nel prosieguo delle indagini, integrati i conteggi relativi al “margine di profitto” determinato dalle condotte di reimpiego, il Giudice per le indagini preliminari, accogliendo nuova richiesta del pubblico ministero fondata su altri e sopravvenuti elementi di prova e di calcolo economico, in data 21/3/2022 emetteva decreto di sequestro preventivo anche per il reato di cui all’art. 648 ter cod.  pen. contestato al (omissis) al capo 39, ai sensi dell’art. 321 comma 2 cod. proc. pen. in relazione all’art. 648 quater cod. pen, avente ad oggetto l’ulteriore profitto derivante dai reati di reimpiego dei crediti fittizi generati dalle procedure “sisma bonus, bonus locazioni e bonus facciate”, fino alla concorrenza della somma di euro 1.506.000,00.

2. Il Tribunale del riesame di Rimini, con ordinanza in data 19/5/2022, ha solo parzialmente accolto l’istanza di riesame proposta nell’interesse del (omissis) avverso il provvedimento di sequestro, riducendo il quantum relativo al sequestro del profitto di reato di cui all’art. 648 ter cod. pen., contestato al capo n. 39, alla somma di euro 1.354.220,78.

3. Avverso il provvedimento del tribunale del riesame di Rimini ha proposto ricorso per cassazione il (omissis) (omissis) a mezzo del suo difensore, deducendo:

3.1. Violazione di legge in relazione all’art. 125 cod. proc. pen. per omessa o apparente motivazione in ordine alle deduzioni difensive, ed in particolare per avere l’ordinanza impugnata ritenuto il giudicato cautelare superato da nuove emergenze investigative asseritamente poste a fondamento della nuova richiesta di sequestro preventivo, atteso che già in data 13/1/2022 il giudice per le indagini preliminari aveva respinto la richiesta di sequestro preventivo del profitto del reato di cui all’art. 648 ter pen. non già sul presupposto che, al tempo, non fosse possibile individuare il margine di profitto del reato di cui all’art. 648 ter cod. pen., bensì sul rilievo che “… la confisca per equivalente di un medesimo importo, prima come profitto di un reato presupposto, poi come provento del reato di reimpiego, rappresenterebbe una duplicazione sanzionatoria”.

Ne deriva, ad avviso del ricorrente, l’assenza di qualsiasi coincidenza tra il contenuto del motivo di gravame dedotto dalla difesa e la motivazione del provvedimento impugnato che, senza confrontarsi con le deduzioni difensive, aveva ritenuto che la nuova richiesta del pubblico ministero ed il nuovo decreto del giudice per le indagini preliminari si fondassero su elementi probatori nuovi e non esaminati nel primo provvedimento, assumendo erroneamente che la difesa avrebbe sostenuto che il primo provvedimento del giudice per le indagini preliminari aveva rigettato la richiesta di sequestro sul presupposto che non era possibile quantificare il profitto differenziale, laddove la difesa aveva, invece, evidenziato che il primo provvedimento del giudice per le indagini preliminari si fiondava sul rilievo che vi sarebbe stata duplicazione del vincolo cautelare richiesto, in quanto erano già stati sottoposti a sequestro i proventi dei reati presupposti.

3.2. Con il secondo motivo di ricorso, collegato al precedente, è stata dedotta la violazione di legge – ex art. 325, 1^ comma cod. proc. pen. – per avere nella sostanza affermato il Tribunale del riesame che, nel difetto di un provvedimento di appello cautelare a seguito di gravame del pubblico ministero, questi potrebbe reiterare a suo piacimento la medesima richiesta di applicazione di misura cautelare reale, prescindendo anche dall’esistenza di nuovi elementi capaci di mutare il quadro probatorio che aveva condotto al precedente rigetto

3.3. Con il terzo motivo la difesa ha dedotto la violazione degli 321 cod. proc. pen. e 322 ter cod. pen. in relazione all’art. 648 ter cod. pen., per avere il Tribunale del riesame ritenuto insussistente la duplicazione di profitti tra il reato presupposto di cui all’art. 316 ter cod. pen. ed il reato di reimpiego di cui all’art. 648 ter cod. pen., pur risultando dal precedente provvedimento, invece, l’esatta coincidenza tra l’importo per il quale era stato disposto il sequestro preventivo ed il credito d’imposta artificiosamente creato con i reati di cui ai capi 2, 5, 10 ed 11.

Erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto che la sola diversità esistente tra gli autori dei reati presupposti e quello del reato di reimpiego dei crediti d’imposta ceduti escluderebbe la duplicazione del profitto del reato.

3.4. La difesa del (omissis) (omissis) con il quarto motivo di ricorso, ha inoltre dedotto la violazione dell’art. 125 cod. proc. pen., per avere il tribunale erroneamente ed apoditticamente ritenuto, senza rispondere alle doglianze difensive, che il 40% costituisse il margine di profitto conseguito dal ricorrente nel reimpiego di denaro.

Richiamando il tenore di una conversazione intercettata – n. 190, a pag. 11 del decreto di sequestro, pag. 19 del ricorso in esame – il ricorrente assume che il valore del 40 % rappresenterebbe non già il profitto conseguito dal (omissis) nel cedere crediti a terzi in buona fede, bensì l’importo dallo stesso pagato alla (omissis) per acquistare i crediti inesistenti che a sua volta rivendeva.

3.5. Con il quinto ed ultimo motivo di ricorso, infine, si deduce l’omessa motivazione con riferimento all’esclusione dalla somma sequestrabile della quota parte derivante dalla relativa imposizione fiscale applicabile alle operazioni di cessione a titolo oneroso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va rigettato, per l’infondatezza dei motivi addotti a sostegno.

2. Premesso che il decreto in data 13/1/2022 con il quale il giudice per le indagini preliminari aveva respinto la richiesta di sequestro preventivo del profitto del reato di cui all’art. 648 ter pen. si fondava esplicitamente sul rilievo che ” .. la confisca per equivalente di un medesimo importo, prima come profitto di un reato presupposto, poi come provento del reato di reimpiego, rappresenterebbe una duplicazione sanzionatoria”, va rilevato che i primi due di motivi di ricorso appaiono discostarsi dall’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità in ordine alle preclusioni conseguenti a precedenti pronunce del Tribunale del riesame.

La reiterazione di una richiesta di applicazione di misura cautelare, che contenga allegazioni e deduzioni diverse dalla precedente rigettata, infatti, non incontra la preclusione del cosiddetto giudicato cautelare (Sez. 6, n. 23025 del 20/03/2014, Rv. 262042), in quanto la preclusione derivante da una precedente pronuncia del Tribunale del riesame concerne solo le questioni esplicitamente o implicitamente trattate e non anche quelle deducibili e non dedotte; pertanto, detta preclusione opera allo stato degli atti, ed è preordinata ad evitare ulteriori interventi giudiziari in assenza di una modifica della situazione di riferimento, con la conseguenza che essa può essere superata laddove intervengano elementi nuovi che alterino il quadro precedentemente definito (Sez. 2, n. 49188 del 09/09/2015, 14/12/2015, Rv. 265555; Sez. 5, n. 1241 del 02/10/2014, Rv. 261724; Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Rv. 245092).

Incontestata, pertanto, la sussistenza del “fumus” del reato di cui all’art. 648 ter cod. pen., il provvedimento impugnato indica, quali elementi nuovi rispetto al precedente provvedimento del GIP, le intercettazioni nel frattempo acquisite, gli interrogatori degli indagati e nuove indagini compendiate da due note della Guardia di Finanza che meglio individuerebbero il margine dell’ulteriore (così espressamente definito dal Tribunale del riesame) profitto, derivante non già dai reati presupposti, bensì dalle condotte di reimpiego dei crediti fittizi generati dalle procedure “sisma bonus, bonus locazioni e bonus facciate”, così da evitare la duplicazione del vincolo.

Il Tribunale del riesame, infatti, ha ben distinto il profitto del reato presupposto già sottoposto a vincolo nei riguardi di “altri” soggetti (atteso che la stessa formulazione dell’art. 648 ter cod. pen. prevede l’assenza di concorso tra l’autore del reimpiego e l’autore del reato presupposto) ed il profitto generato “a cascata” dal reimpiego stesso, tanto da detrarre dal calcolo effettuato dal GIP la somma di euro 379.488,03 perché ritenuta profitto del delitto fiscale utilizzato per compensare con l’Agenzia delle Entrate propri debiti preesistenti e, pertanto, già oggetto di sequestro preventivo a titolo di profitto del delitto fiscale e quindi già sottoposta ad esecuzione.

Nessuna violazione di legge, nemmeno per mera apparenza di motivazione, può ravvisarsi, pertanto, nel provvedimento che distingue il valore nominale dei crediti fittizi dal profitto del delitto di reimpiego di cui all’art. 648 ter cod. pen., calcolato prudenzialmente al 40% del precedente, proprio per evitare duplicazioni del sequestro.

3. Il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, peraltro, è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 – dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692), sicché deve ritenersi inammissibile la censura rivolta dalla difesa alla valutazione, ritenuta congrua dal Tribunale del riesame, secondo cui il il 40% dei crediti fittizi costituirebbe il margine di profitto conseguito dal ricorrente nel reimpiego di denaro, trattandosi di censura fondata su una diversa interpretazione, come tale sottratta al sindacato di legittimità, del tenore di una conversazione intercettata – 190, a pag. 11 del decreto di sequestro, pag. 19 del ricorso in esame – che, ad avviso del ricorrente, si riferirebbe all’importo pagato dal (omissis)  alla (omissis) (omissis) per acquistare i crediti inesistenti che a sua volta rivendeva.

4. Infondato, infine, è anche l’ultimo motivo di ricorso, non risultando in alcun modo documentato che, acquisito il profitto del reato, il ricorrente abbia poi versato all’erario le somme relative all’imposizione fiscale applicabile alle operazioni di cessione a titolo oneroso, delle quali si vorrebbe la decurtazione dalle somme sottoposte a sequestro.

5. Al rigetto del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 16 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria della Seconda Sezione Penale il 5 luglio 2023.

SENTENZA