Frodi e bonus edilizi: il credito d’imposta è un prodotto sequestrabile del reato (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 24 febbraio 2023, n. 8429).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MESSINI D’AGOSTINO Piero – Presidente –

Dott. COSCIONI Giuseppe – Rel. Consigliere –

Dott. BORSELLINO Maria Daniela – Consigliere –

Dott. CERSOSIMO Emanuele – Consigliere –

Dott. MONACO Marco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(1)SCALA GIOVANNI nato a NAPOLI il 11/02/1992

avverso l’ordinanza del 19/03/2022 del TRIB. LIBERTA’ di RIMINI

udita la relazione svolta dal Consigliere dott. GIUSEPPE COSCIONI;

lette le conclusioni del PG, dott. VINCENZO SENATORE, che ha chiesto rigettarsi il ricorso;

lette le conclusioni del ricorrente, Avv. GIOVANNI FERRARI, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Rimini, con ordinanza del 19 marzo-13 aprile 2022, rigettava la richiesta di riesame proposta nell’interesse di Giovanni Scala avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rimini.

1.1 Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione il difensore di Giovanni Scala; premette che al ricorrente era contestato il ruolo di capo e promotore di un’associazione a delinquere finalizzata a frodi fiscali, attraverso la strumentalizzazione delle diposizioni agevolative normativamente previste durante la fase emergenziale anti Covid 19, tramite un meccanismo di creazione di crediti di imposta inesistenti per bonus edilizi, previsti dal D.L. 34/2000, ovvero inferiori a quelli reali, registrazione degli stessi sul cassetto fiscale e successiva commercializzazione quale amministratore di fatto della 4 Countracts s.r.l. e All contract s.r.l.s (capo 1, art. 416 cod.pen.);

– in particolare, secondo l’accusa, l’indagato fungeva da primo cessionario del credito di imposta dichiarato dalla Fullhouse s.r.l. per inesistenti o ridotti lavori di ristrutturazione edilizia, per poi cedere a sua volta crediti ad acquirenti di buona fede (capo 27);

– operando quale amministratore di fatto e primo cessionario per crediti di imposta maturati dalla Fullhouse s.r.l. e E.LMA Trade per inesistenti lavori di riqualificazione edilizia, ottenendo un indebito credito di imposta cedibile a terzi (capo 32);

– nel fungere da primo cessionario, quale amministratore della All Countracts, del credito di imposta maturato fittiziamente da Antonio Fabozzi, Domus s.r.I., Nicola Bonfante e Pasquale Girolamo per interventi edilizi non veritieri relativi ai cd. bonus facciate (capo 33); così commettendo il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche;

– il giudice per le indagini preliminari aveva disposto il sequestro:

a) impeditivo e finalizzato alla confisca diretta del profitto, dei crediti di imposta fittiziamente maturati e coinvolgenti l’indagato;

b) finalizzato alla confisca per equivalente al valore dei profitti realizzati dal reati a lui ascritti;

c) impeditivo delle società All Countract e 4 Countract amministrate dall’indagato.

Ciò premesso, il difensore lamenta che il Tribunale di Rimini non avesse fatto buon governo dei principi inerenti la questione del profitto confiscabile: infatti, non poteva condividersi l’osservazione contenuta nell’ordinanza impugnata per la quale “il credito generato, poiché ha quel valore economico di scambio, è da considerarsi profitto“, posto che il corrispettivo di una prestazione regolarmente eseguita dall’obbligato ed accettata dalla controparte non può costituire una componente del profitto confiscabile, perché trova legittimo titolo nella fisiologica dinamica contrattuale e, pertanto, non può ritenersi sine causa: nel momento in cui il Tribunale ritiene che la res abusiva prodotta quale conseguenza immediata e diretta, laddove suscettibile di essere messa in circolazione, produce a sua volta una ricchezza illecita aggiuntiva al suo valore intrinseco, ammettendosene la doppia e separata sottoposizione a provvedimento ablatorio, non teneva in considerazione la distinzione tra reati contratto e reati in contratto: solo in presenza dei primi il contratto è radicalmente nullo, con la conseguenza che l’intero profitto è confiscabile, mentre nei reati in contratto l’utilitas direttamente collegata al reato è quella consistente nel vantaggio economico, diverso ed ultroneo rispetto all’utilità comunque conseguita dal danneggiato, per effetto della correlata esecuzione contrattuale; ne discende che il soggetto ha diritto di ritenere il corrispettivo derivante dalla commercializzazione, in quanto corrispettivo che trova nella dinamica contrattuale la sua origine e non nel reato direttamente, non ponendosi quindi né sine causa, né sine re.

1.2 II difensore, premesso che è possibile fare ricorso alla confisca per equivalente solo quando non è possibile l’aggressione diretta del profitto derivante da reato, osserva che al momento della realizzazione del reato fine l’utilità andava intesa come credito di imposta ed in quel momento la successiva cessione (e non liquidazione/monetizzazione del credito) rappresentava un vantaggio per l’indagato solo futuro e per giunta eventuale; se poi si fosse voluto prendere in considerazione la ricchezza derivante dalla circolazione commerciale di quel credito attraverso la sua alienazione ad acquirenti di buona fede, il fatto tipico generativo di ricchezza da sequestrare, in via diretta o per equivalente, sarebbe consistito o nella azione truffaldina perpetrata nei confronti di acquirenti di buona fede, o nel reimpiego di utilità economiche per fini speculativi/imprenditoriali da parte dell’autore del reato presupposto (art. 648 ter 1 cod.pen.), e nessuna delle due fattispecie costituiva titolo cautelare, né contestata all’indagato.

1.3 II difensore rileva che il provvedimento ablatorio era caratterizzato da una duplicazione della misura nel momento in cui, da un lato, considerava bene suscettibile di valutazione economica il credito di imposta maturato per effetto della falsa dichiarazione, facendo incidere su di esso gli effetti del sequestro finalizzato alla confisca diretta e, dall’altro, scindeva la fase genetica del credito dal profitto derivante dalla sua circolazione, considerando quest’ultimo un incremento patrimoniale ancorato in termini di utilità immediata e diretta allo stesso reato base, ed applicandovi il sequestro finalizzato alla confisca di valore; su tale aspetto, la motivazione dell’impugnato provvedimento appariva carente in quanto agganciava l’avvenuta monetizzazione dei crediti contestati come fittizi alle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio dai coindagati prive di riscontri specifici anche in ordine alla esatta quantificazione, e contraddittoria perché non teneva conto di quanto emerso a seguito delle indagini delegate, proprio con riferimento alla posizione delle società 4 Transport s.r.l. e All contract s.r.I., in quanto era stato chiarito che, con riferimento ai codici tributo riferibili alle predette società, si trattava di operazioni riguardanti crediti ancora nella disponibilità dei soggetti indicati e non utilizzati in compensazione tramite mod. f24 oppure ulteriormente ceduti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

1.1 Come osservato dal Procuratore generale nella sua requisitoria scritta, l’ordinanza impugnata ha correttamente evidenziato che all’illecita operazione contestata all’indagato si ricolleghi, sotto un diverso profilo, sia il sequestro del credito di imposta generato illecitamente, quale profitto direttamente derivato dalla condotta di cui all’art. 316 ter cod.pen. e sottoposto a vincolo reale in via diretta e impeditiva, sia il sequestro preventivo per equivalente del successivo profitto che dalla cessione di tale credito è stato realizzato nel patrimonio dell’indagato e nelle società coinvolte.

Premesso che in tema di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’art. 325 cod.proc.pen. consente il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge (nella cui nozione di “violazione di legge” rientrano, in particolare, gli “errores in iudicando” o “in procedendo“, ma anche i vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale apparente e, pertanto, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal Giudice, vedi Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893) e che non può, invece, essere dedotta l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di cui all’art. 606 cod.proc.pen., lett. e) (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino S., Rv. 224611), il Tribunale ha spiegato perché non vi sia stata alcuna “duplicazione” del profitto rispetto al già avvenuto credito di imposta a pag. 6 dell’ordinanza impugnata; si deve poi osservare che la commercializzazione del credito ottenuto illecitamente può sicuramente essere oggetto di sequestro.

A tale proposito, già dal 1996 le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato su un piano generale che “in tema di confisca, il prodotto del reato rappresenta il risultato, cioè il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita; il profitto, a sua volta, è costituito dal lucro, e cioè dal vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato; il prezzo, infine, rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato e costituisce, quindi, un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l’interessato a commettere il reato” (Cass., Sez. U, n. 9149 del 03/07/1996, Chabni Samir, Rv 205707).

Volendo, quindi, schematizzare: il prodotto è il risultato dell’azione criminosa, ovvero la cosa materiale creata, trasformata o acquisita mediante l’attività delittuosa, che con quest’ultima abbia un legame diretto e immediato; si tratta del frutto diretto ed immediato dell’attività criminosa, ossia del risultato ottenuto direttamente con l’attività illecita.

Il profitto comporta invece un accrescimento del patrimonio dell’autore del reato ottenuto attraverso la acquisizione la creazione o la trasformazione di cose suscettibili di valutazione economica, corrispondente all’intero valore delle cose ottenute attraverso la condotta criminosa (vantaggio economico di diretta derivazione del reato, vedi Sez. U, Sentenza n. 31617 del 26/06/2015, Lucci Rv. 264436 – 01: “Il profitto del reato si identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito”).

Prezzo, infine, è il compenso dato o promesso per indurre istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato, quale fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l’interessato a commettere il reato.

Da quanto si è detto, è del tutto evidente che si può procedere al sequestro o alla confisca sia del prodotto che del profitto del reato, dovendo identificarsi, nel caso in esame, il prodotto nel credito illecitamente creato ed il profitto nella cessione dello stesso.

2. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 25/1/2023.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.

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MAXI FRODE CON I BONUS EDILIZI(1)

Finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Rimini, coordinati dalla Procura della Repubblica di Rimini, con il supporto di 44 Reparti territorialmente competenti, nonché della componente aerea del Corpo, del supporto tecnico dello S.C.I.C.O e del Nucleo Speciale Frodi Tecnologiche, per un totale di oltre 200 militari, hanno dato avvio, alle prime luci dell’alba, ad una vasta operazione di polizia in Emilia Romagna che ha visto coinvolte altre Regioni dell’Italia.

In queste ore le Fiamme Gialle stanno eseguendo un provvedimento del G.I.P. presso il Tribunale di Rimini con cui sono state disposte 35 misure cautelari personali di cui 8 in carcere e 4 ai domiciliari nonché 23 interdittive di cui 20 all’esercizio di impresa nei con-fronti di altrettanti imprenditori e 3 all’esercizio della professione nei confronti di altrettanti commercialisti, in quanto ritenuti componenti di un articolato sodalizio criminale con base operativa a Rimini ma ramificato in tutto il territorio nazionale, responsabile di aver creato e commercializzato per 440 milioni di euro falsi crediti di imposta, introdotti tra le misure di sostegno emanate dal Governo con il decreto rilancio (D.L. 34/2020), durante la fase più acuta dell’emergenza sanitaria da Covid-19 per aiutare le imprese e i commercianti in difficoltà.

In atto 80 perquisizioni ed il sequestro dei falsi crediti, di beni e assetti societari per il reato di indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato. Tra loro, in 9 avevano presentato domanda di reddito di cittadinanza e 3 avevano precedenti di polizia per associazione a delinquere di stampo mafioso.

L’associazione a delinquere, che secondo l’ipotesi investigativa è composta da 56 soggetti che si sono avvalsi di 22 prestanomi, ha un nucleo centrale di 12 persone, oggi sottoposti a misure cautelari custodiali, tra imprenditori e commercialisti.

Tra i commercialisti viene attribuito un ruolo di rilievo a Stefano Francioni di Rimini, finito agli arresti con capi di imputazione come associazione a delinquere, frode ai danni dello Stato, autoriciclaggio. Professionista che, secondo l’ordinanza del Gip, sarebbe “partecipe dell’associazione, agevolato nella propria condotta illecita dall’attività professionale di commercialista (…), è il principale referente nella zona di Rimini della commercializzazione dei crediti d’imposta fittizi ricevuti dal sodalizio criminale, mediante l’acquisizione personale o tramite società al edesimo riconducibile, FG Logistica srl, Francioni Stefano Holding saa, Studio Tributario Francioni srl, Franciono Corporate Finance Cinsulting Company srl, Trusted srl, Francioni Group srl, e la successiva cessione a terzi soggetti, tra cui istituti bancari, postali e soggetti orivati, (tra i quali i propri clienti dell’attività professinale), e dala conseguente monetizzazione di tal crediti d’imposta fittizi; è in contatto con i promotori dell’associazione Schiavino Sabatino e Guttadoro Giuseppe”.

Fra i prestanome anche l’altro riminese Diego Carli artigiano con offcina a Cerasolo, che sempre secondo gli investigatori era “amministratore compiacente della società R.I.M. sas di Carli Diego & Co., utilizzata per generare crediti d’imposta inesistenti; incassando sui conti aziendali la relativa monetizzazione; è in contatto con il promotore dell’associazione Bonfrate Nicola”. Coinvolti a vario titolo Imane Mounssif, Michele Piemontese e Giuseppe Felice Guttadoro, imprenditore delle notti pontine ai tempi dello Chez Nina di San Felice Circeo.

MISURE CAUTELARI – In carcere, con le accuse di associazione per delinquere, truffa ai danni dello Stato, all’indebito percepimento di aiuti dello Stato, autoriciclaggio sono finiti il commercialista riminese Stefano Francioni, titolare dell’omonimo studio di consulenza fiscale; i coniugi Imane Mounssif, 35 anni e Girolamo Pasquale Bonfrate, 53 anni (Taverna di Montecolombo), titolari del ristorante La Playa di Cesenatico, Giuseppe Felice Guttadoro, 62 anni, gestore dell’hotel Saxon di via Cirene a Rimini, il commercialista rodigino Matteo Banin 42 anni, Sabatino Schiavino, 43 Santa Maria Capua Vetere (Caserta).

Destinatari il napoletano Giovanni Scala, 30 anni, Francesco Nappi, 35 da Salerno, Luca Fallarino, 32, da Peschiera Borromeo (Milano), Alessio Vacca, 33, (Dugnano Paderno). Altre 23 persone tra imprenditori e promotori finanziari sono state raggiunte invece da misure interdittive dell’attività professionale: tra loro il corianese Diego Carli, 43 anni, ed il 60enne riminese Michele Piemontese. Complessivamente gli indagati sono 78.

L’indagine del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria trae origine da un attento esame della documentazione relativa ad una presunta “cessione di crediti d’imposta”, effettuata da una società coinvolta in altro procedimento penale per reati fallimentari. L’analisi sull’origine dei crediti effettuata tramite l’utilizzo delle banche dati operative in uso al Corpo incrociata con le indagini sul campo e la valorizzazione delle segnalazioni per opera- zioni sospette, ha consentito di appurare che gli stessi erano inesistenti per carenza di requisiti.

Da lì è nato il nuovo filone investigativo che fin dallo scorso mese di giugno ha consentito il monitoraggio dell’organizzazione criminale fin quasi dalla sua genesi e in tutti i passaggi di sviluppo, verificando come la stessa fosse totalmente dedicata alla creazione e commercializzazione di falsi crediti di imposta, successivamente monetizzati cedendoli a ignari acquirenti estranei alla truffa, portati in compensazione con conseguente danno finale alle casse dello Stato.

Gli esiti investigativi, suffragati dagli accertamenti bancari e dai dati pervenuti dall’Agenzia delle Entrate di Rimini e dalla Sogei S.p.A., hanno consentito di riscontrare l’esistenza del sopra menzionato sodalizio criminale, che ha operato secondo il seguente iter criminis comune alle tre casistiche di crediti d’imposta fittizi generati (Bonus locazioni, Sismabonus e Bonusfacciate):

– tramite professionisti compiacenti, reperire società attive in grave difficoltà economica o ormai decotte, utili alla creazione degli indebiti crediti d’imposta;
– sostituire il rappresentante di diritto di tali società con un prestanome, da cui ottenere le credenziali per poter inserire le comunicazioni di cessioni crediti nell’area riservata del sito dell’Agenzia delle Entrate, così da avere uno schermo in caso di futuri accertamenti;
– inserire le comunicazioni dichiarando di aver pagato canoni di locazione superiori agli effettivi (persino oltre il 260.000%) o effettuato lavori edili mai iniziati, così da generare crediti di imposta non spettanti;
– cedere i crediti d’imposta a società compiacenti e dopo il secondo passaggio a società terze inconsapevoli, così da rendere più difficile la ricostruzione.
Neppure le recenti modifiche normative introdotte dal c.d. decreto antifrode n. 157/2021 hanno scoraggiato i membri dell’organizzazione criminale, che ha continuato a perpetra-re la truffa. Il profitto dei reati è stato:
– investito in attività sia commerciali che immobiliari (subentro nella gestione di ristoranti, acquisto di immobili e/o quote di partecipazioni societarie);
– veicolato, attraverso una fatturazione di comodo, verso alcune società partenopee per essere monetizzate in contanti;
– trasferito su carte di credito ricaricabili business, con plafond anche di 50.000 euro e prelevato in contanti presso vari bancomat;
– impiegato per finanziarie società a Cipro, Malta, Madeira;
– convertito in cripto valute;
– investito in metalli preziosi ed in particolare nell’acquisto di lingotti d’oro.
In fase di esecuzione dei sequestri, ritenendo plausibile che alcuni indagati potessero fare ricorso a botole e intercapedini in cui custodire contanti e preziosi, sono stati impiegati i c.d. “cash dog”, unità cinofile addestrate a fiutare l’odore dei soldi.

L’operazione di servizio testimonia il ruolo fondamentale della Guardia di Finanza nella lotta agli illeciti in materia di spesa pubblica.

Fonte: latinatu.it