Il danno patrimoniale non può calcolarsi per l’intera vita rispetto alle entrate patrimoniali cessate (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 23 maggio 2023, n. 14241).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere Rel. –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. ROSSELLO Carmelo Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28664/2020 proposto da:

(OMISSIS) S.p.a. in persona dei legali rappresentanti, pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), che la rappresenta e difende;

-ricorrente-

contro

(OMISSIS) (OMISSIS), domiciliato, ex lege, in (OMISSIS)

-controricorrente, ricorrente incidentale-

nonché contro

(OMISSIS) (OMISSIS)

-intimata-

avverso la sentenza n. 2793/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 28/07/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31/01/2023 dal consigliere, dott.ssa Lina RUBINO;

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) (OMISSIS) conveniva in giudizio (OMISSIS) (OMISSIS) e la compagnia assicuratrice per la r.c.a dell’autoveicolo di proprietà della stessa, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni riportati nel sinistro stradale del (OMISSIS) assumeva di trovarsi il giorno dell’incidente alla guida del proprio motoveicolo (OMISSIS) e di essere stato investito dall’autovettura della convenuta, che usciva da un luogo privato senza concedere la dovuta precedenza, riportando la frattura del malleolo nonché postumi permanenti aventi una cospicua incidenza sulla sua capacità lavorativa specifica.

2. Il giudizio di primo grado si concludeva, nella contumacia dei convenuti, con il rigetto della domanda.

Assunte prove orali e acquisiti i verbali della prova svolta davanti al giudice di pace di Napoli nel separato giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno al motoveicolo, espletata CTU medico legale sulla persona del danneggiato, il giudice di primo grado non riteneva compatibili le lesioni riportate dall’attore, e in particolare le lesioni riportate solo sulla parte destra del corpo (individuate solo in corrispondenza del malleolo, nell’immediatezza dei fatti, mentre solo a 25 giorni di distanza venivano documentate anche lesioni alla spalla e al ginocchio destro) con la dinamica dell’incidente dallo stesso riferita e confermata dai testi dai lui citati, dalla quale emergeva che l’urto, e i danni conseguenti, si fossero verificati sulla parte sinistra del motociclo.

3. Proponeva appello il (OMISSIS) contestando che la dinamica del sinistro corrispondesse a quella accertata dal giudice di prime cure; si costituiva in giudizio la compagnia assicuratrice dell’autoveicolo, (OMISSIS) mentre la proprietaria del veicolo rimaneva contumace.

4. La Corte d’appello di Napoli accoglieva l’appello del danneggiato; accertava e dichiarava l’esclusiva responsabilità della (OMISSIS) (OMISSIS) in relazione all’incidente stradale, condannando gli appellati in solido alla refusione dei danni, che quantificava nella somma complessiva di euro 192.000,00 oltre interessi legali e rivalutazione.

4.1. La Corte d’appello, diversamente dal primo giudice, riteneva attendibile la ricostruzione dei fatti fornita dal danneggiato, suffragata coerentemente da alcune deposizioni testimoniali; ricostruiva la dinamica del sinistro nel senso che la vettura sopraggiungeva improvvisamente, immettendosi nella strada percorsa dal motoveicolo condotto dal (OMISSIS) da una stradina laterale, e colpiva nella parte posteriore il ciclomotore, talchè il (OMISSIS) si trovava, all’esito dell’impatto, con la gamba destra intrappolata sotto la moto: da qui la collocazione dei traumi esclusivamente sulla parte destra del corpo.

Svalutava la rilevanza della testimonianza dell’unica teste, (OMISSIS) (OMISSIS) che riferiva che i dolori fossero stati lamentati dalla vittima alla gamba sinistra anziché alla destra e accertava che vi erano lesioni non solo al malleolo ma estese a tutta la parte destra del corpo, in particolare a carico del menisco e della spalla destra, compatibili con l’infortunio, conformemente alla ricostruzione del medico legale, escludendo l’esistenza di ragioni per dubitare dell’attendibilità dei testi quanto alla dinamica dell’incidente.

4.2. Quantificava la durata dell’invalidità temporanea parziale e totale e la misura dell’invalidità permanente, consistente in una significativa limitazione funzionale della caviglia destra, in 10 punti percentuali. Ad essa associava, in rapporto di dipendenza causale, una riduzione pari al 50% della capacità lavorativa specifica del (OMISSIS) che all’epoca dei fatti svolgeva attività di autotrasportatore, ritenendo la possibilità di intraprendere la stessa attività in futuro consistentemente pregiudicata dalla perdita di mobilità alla caviglia.

Così stimati la percentuale di invalidità permanente e il danno da incapacità lavorativa specifica, procedeva alla liquidazione del danno avvalendosi delle tabelle del Tribunale di Milano sia per il danno non patrimoniale, al quale veniva applicata una personalizzazione in aumento del 15% per la perdita della possibilità di svolgere attività sportiva, sia per il danno patrimoniale. Per quanto concerne il danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa specifica, liquidava il danno prendendo a base di calcolo l’ultima retribuzione mensile percepita dalla vittima prima dell’incidente, aumentata equitativamente a 1.000 € al mese per i prevedibili incrementi futuri, quindi un reddito annuo di 12.000 €, capitalizzato tenuto conto dell’età del (OMISSIS) al momento del sinistro e decurtato del 10% per lo scarto tra vita fisica e vita lavorativa: liquidava quindi a titolo di risarcimento del danno patrimoniale l’importo di euro 151.390,62 oltre interessi e rivalutazione.

5. (OMISSIS) s.p.a. propone due motivi di ricorso per cassazione nei confronti di (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) per la cassazione della sentenza n. 2793 del 2020 emessa dalla Corte d’appello di Napoli il 28 luglio 2020.

Resiste il (OMISSIS) con controricorso contenente anche un motivo di ricorso incidentale; la (OMISSIS) ha depositato controricorso avverso il ricorso incidentale del (OMISSIS) e successiva memoria illustrativa.

Il Procuratore generale non ha depositato conclusioni scritte.

La causa è stata avviata alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso principale della compagnia di assicurazioni

1. Col primo motivo di ricorso la compagnia di assicurazioni denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 p.c., 2697 c.c. e dell’articolo 137 del codice delle assicurazioni private, contestando la quantificazione del danno da lesione della capacità lavorativa specifica contenuta nel provvedimento impugnato.

Ritiene la ricorrente che la Corte d’appello non abbia adeguatamente motivato come da una invalidità permanente contenuta nella misura del 10% possa scaturire una incapacità lavorativa specifica così elevata, non proporzionale rispetto alla misura della invalidità, evidenziando che il danneggiato non avrebbe fornito una prova idonea a dimostrare che la lesione conseguente all’evento dannoso abbia prodotto e sia destinata a produrre nel futuro una contrazione effettiva e permanente del suo reddito.

2. Il primo motivo è infondato.

Non sussiste la denunciata violazione delle norme regolatrici della distribuzione dell’onere probatorio là dove la corte d’appello ha riconosciuto al danneggiato il diritto al risarcimento per la riduzione della capacità lavorativa specifica ed ha quantificato la misura della perdita subita.

Questa Corte ha già in precedenza affermato che non esiste una automatica correlazione diretta tra percentuale di invalidità e percentuale di perdita della capacità lavorativa specifica, in quanto il grado di invalidità personale determinato dai postumi permanenti di una lesione all’integrità psico-fisica non si riflette automaticamente sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica e, quindi, di guadagno, spettando al giudice del merito valutarne in concreto l’incidenza (Cass. n. 19537 del 2007).

Dalla motivazione della sentenza emerge con chiarezza che, sulla base degli elementi fattuali sottoposti alla sua valutazione, ovvero la collocazione e tipologia dei danni alla persona (consistenti nella perdita di mobilità della caviglia destra, dalla quale la stessa fa discendere una invalidità permanente del 10%), il tipo di lavoro svolto dal danneggiato al momento dell’incidente (autotrasportatore), la documentata perdita del rapporto di lavoro a causa dell’incidente, la corte d’appello in primo luogo ha ritenuto provata l’esistenza del danno patrimoniale, consistente in una riduzione della capacità lavorativa specifica, comprovata dalla perdita del rapporto lavorativo e proiettata nel futuro, traducendosi la situazione fisica del danneggiato stabilizzatasi dopo l’incidente nella consistente difficoltà di poter reperire in futuro un lavoro equivalente.

In relazione alle predette circostanze del caso concreto, la Corte d’appello ha stimato, con motivazione sufficiente e non priva di logica, che la perdita di mobilità della caviglia, destinata ad essere continuamente impegnata nello svolgimento dell’attività lavorativa svolta prima dell’incidente, fosse destinata a rendere significativamente più difficoltosa la possibilità di reperire e svolgere lo stesso tipo di lavoro o un lavoro equivalente, in misura non corrispondente al grado di invalidità permanente ma nel ben più alto grado del 50%.

La valutazione della misura della perdita della capacità lavorativa specifica costituisce giudizio in fatto, non censurabile in grado di legittimità se adeguatamente motivato, né costituisce violazione di legge essersi discostati, in eccesso o anche in difetto, nel quantificare il danno da perdita della capacità lavorativa specifica, dalla percentuale di invalidità permanente, in quanto la valutazione della perdita o riduzione della capacità lavorativa specifica deve partire dalla considerazione dei postumi permanenti ma non si esaurisce con essa né si appiattisce su di essa, dovendo tale considerazione essere integrata dalla valutazione delle caratteristiche del lavoro precedentemente svolto (o delle aspettative lavorative realisticamente apprezzabili, sulla base della formazione del danneggiato e delle esperienze maturate), e della possibile idoneità della invalidità permanente conseguente al sinistro di pregiudicare in concreto la situazione lavorativa preesistente e le prospettive future.

3. Con il secondo motivo di ricorso la (OMISSIS) denuncia l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti nonché la violazione e falsa applicazione degli articoli 99, 112, 115 e 116 c.p.c. nonché 2697, 2727, 2729 e 2907 c.c. La ricorrente illustra, in memoria, di aver dedotto la violazione di specifiche norme di legge sulla valutazione delle presunzioni in relazione all’intero compendio probatorio; presunzioni che, nel caso di specie, non sarebbero state idonee a fondare la riforma della sentenza di primo grado, in quanto non erano idonee a supportare l’adempimento dell’onere probatorio gravante sul (OMISSIS)

4. La ricorrente sostiene che la Corte napoletana avrebbe accertato la sussistenza di una così elevata riduzione della capacità di guadagno utilizzando impropriamente il ragionamento presuntivo, in quanto, dipartendosi dall’unico fatto noto, la lesione sul corpo del (OMISSIS) avrebbe costruito non una precisa catena causale ma una mera ipotesi dell’effettivo svolgimento dei fatti, alla quale avrebbe dato credito.

Evidenzia la discordanza tra la ricostruzione dei fatti fornita dallo stesso attore fin dal primo grado di giudizio (in cui il (OMISSIS) sosteneva che il suo motoveicolo veniva urtato nella parte posteriore destra dall’autovettura e che in conseguenza dell’urto il motoveicolo cadeva sul lato sinistro), e le emergenze probatorie, con essa contrastanti e tuttavia ritenute idonee a supportare quella ricostruzione e ad attribuire la responsabilità dell’incidente alla conducente della vettura.

5. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto volto ad ottenere da questa Corte una diversa valutazione dei fatti di causa, per inferirne la incoerenza della motivazione.

In particolare, la ricorrente riprende in considerazione l’atto di citazione di primo grado e sottolinea che all’interno di esso il (OMISSIS) sosteneva che il suo motoveicolo veniva urtato nella parte posteriore destra dall’autovettura e che in conseguenza dell’urto il motoveicolo cadeva sul lato sinistro, mentre le dichiarazioni dei testimoni e poi la ricostruzione del sinistro contenute nella sentenza non farebbero mai riferimento ad una caduta del motociclo sul lato sinistro, quindi l’accoglimento della domanda si fonderebbe su una ricostruzione della dinamica contrastante con quella proposta dall’attore.

La motivazione della corte d’appello correla in maniera non priva di logica ed esente da vizi i fatti, come esposti dall’attore, e le risultanze istruttorie che non si pongono in assoluta contraddizione con essi, in una lettura complessiva non priva di logica: accerta il verificarsi dell’urto tra l’autoveicolo e la moto, accerta che esso impresse una rotazione alla moto e ciò dà coerenza alle non perfette concordanze tra il punto d’urto e il punto di quiete successivo, tra la collocazione dei danni sulla moto e sulla persona del danneggiato.

Il ricorso incidentale del danneggiato.

6. Il danneggiato (OMISSIS) denuncia a sua volta, con l’unico motivo di ricorso incidentale, la violazione e falsa applicazione degli articoli 1223 e 1226, 2043 e 2056 c.c. nonché degli articoli 115 e 116 c.p.c. in riferimento al danno alla capacità lavorativa specifica e in particolare alla sua quantificazione; sostiene che erroneamente la Corte d’Appello di Napoli, dopo aver posto a base del calcolo la sua retribuzione mensile al momento dei fatti, arrotondata in aumento, gli abbia riconosciuto un danno patrimoniale pari al reddito moltiplicato per il coefficiente di capitalizzazione e per la perdita della capacità lavorativa specifica in percentuale, sottratto lo scarto tra vita fisica e vita lavorativa.

Ritiene che avrebbe piuttosto dovuto riconoscergli l’intero importo, senza operare l’abbattimento pari alla percentuale di perdita della capacità lavorativa specifica.

Richiama a proprio favore i principi espressi da Cass. n. 28071 del 2020 in cui si dice che, se il danneggiato dimostra di aver perso a causa di un sinistro un preesistente rapporto di lavoro, il danno patrimoniale da lucro cessante va liquidato tenendo conto dell’intero importo delle retribuzioni che egli avrebbe percepito e che ha perso e non in base alla sola percentuale di perdita della capacità lavorativa specifica, a meno che lo stesso responsabile non alleghi e dimostri che il danneggiato abbia reperito una nuova occupazione retribuita ovvero che avrebbe potuto farlo e non lo ha fatto per propria colpa: solo in questi casi la quantificazione del danno patrimoniale potrà essere legittimamente effettuata nella misura della differenza.

Sostiene quindi che il danno patrimoniale subito gli doveva essere liquidato in misura pari all’intera sua perdita reddituale conseguente alla perdita del reddito da rapporto di lavoro preesistente, non avendone conseguito nessun altro in sostituzione, perché quello era l’intero ed effettivo pregiudizio subito in concreto. essendo il rapporto lavorativo cessato a causa del suo infortunio, che non gli avrebbe più consentito lo svolgimento di un lavoro al quale era avviato, quello di autotrasportatore, che presuppone una completa padronanza fisica.

Sostiene inoltre che, secondo la ripartizione degli oneri probatori, gravava sulla controparte l’onere di dimostrare che il danneggiato aveva trovato un nuovo impiego.

7. Il ricorso incidentale è infondato.

E’ conforme alla legge e ad una integrale riparazione per equivalente del danno patrimoniale effettivamente subito, il criterio di quantificazione del danno patrimoniale seguito dalla corte d’appello, che ha adottato come base di calcolo il reddito effettivamente percepito dalla vittima al momento dell’incidente, su base annua, fondato sulla retribuzione mensile, arrotondata in eccesso tenendo conto di incrementi futuri, moltiplicandolo per il coefficiente di capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali corrispondente all’età della vittima al momento del sinistro e per la percentuale di riduzione della capacità lavorativa specifica nella misura che verrà accertata, e decurtando dall’importo così conseguito lo scarto tra vita fisica e vita lavorativa.

Il criterio di quantificazione adottato dalla corte d’appello è conforme a quello enunciato da Cass. n. 16913 del 2019, al cui orientamento si intende dar seguito (“ll danno patrimoniale futuro da perdita della capacità lavorativa specifica, in applicazione del principio dell’integralità del risarcimento sancito dall’artt. 1223 c.c., deve essere liquidato moltiplicando il reddito perduto per un adeguato coefficiente di capitalizzazione, utilizzando quali termini di raffronto, da un lato, la retribuzione media dell’intera vita lavorativa della categoria di pertinenza, desunta da parametri di rilievo normativi o altrimenti stimata in via equitativa, e, dall’altro, coefficienti di capitalizzazione di maggiore affidamento, in quanto aggiornati e scientificamente corretti, quali, ad esempio, quelli approvati con provvedimenti normativi per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali oppure quelli elaborati specificamente nella materia del danno aquiliano“), ed idoneo ad una integrale liquidazione del danno priva di duplicazioni risarcitorie.

Deve precisarsi che, anche se, in ragione del sinistro, la vittima perde, come nella specie, un rapporto lavorativo retribuito già in atto, il reddito effettivamente percepito dalla vittima e perduto in ragione del sinistro costituisce solo la base di calcolo.

Il suo danno patrimoniale non può considerarsi infatti pari, per l’intera vita, alle entrate patrimoniali cessate per un lavoro che non sarà più tenuto a svolgere, ma va considerata, ai fini di una corretta quantificazione per equivalente della perdita patrimoniale effettivamente subita, la perdurante, sebbene ridotta, capacità del danneggiato di procurarsi e mantenere, seppur con accresciute difficoltà, il cui peso deve essere adeguatamente considerato, un’altra attività lavorativa retribuita.

Per cui, legittimamente, la quantificazione del danno patrimoniale non può essere pari alle intere entrate percipiende che il danneggiato ha perso per la cessazione dell’impiego conseguente all’incidente, ma quella somma deve essere abbattuta in considerazione della sua mantenuta, sebbene ridotta, possibilità di reperire un nuovo impiego.

Solo se la capacità lavorativa specifica della persona fosse ridotta a zero, il danno patrimoniale subito sarebbe da parametrare all’intero reddito percepito al momento del sinistro, e provato nella sua entità, perché è esclusa ogni possibilità di recuperare una nuova posizione lavorativa.

In definitiva, ai fini di una liquidazione del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa specifica per equivalente che sia effettivamente volta a reintegrare il danneggiato nella situazione preesistente, il reddito perduto costituisce la base di calcolo ma il danno deve essere parametrato alla misura della sua perdurante possibilità di procurarsi in futuro quegli stessi introiti o altri idonei a soddisfare le sue esigenze.

Diversamente opinando, ove il danno fosse parametrato alla perdita degli emolumenti perduti senza considerare la mantenuta, benché ridotta, capacità di guadagno del soggetto, il soggetto danneggiato verrebbe a lucrare indebitamente una somma pari alle intere entrate precedenti, perdute, senza più dover svolgere alcuna attività lavorativa, venendo a conseguire un indebito vantaggio.

Pertanto, quand’anche il soggetto che abbia riportato una invalidità permanente atta a determinare una riduzione della sua capacità lavorativa specifica svolgesse un lavoro retribuito al momento del sinistro e perda questa attività in conseguenza del sinistro, non ricevendone più gli emolumenti, il danno patrimoniale percepito non è pari all’intera portata di quegli emolumenti (calcolata secondo i criteri espressi da Cass. n. 16913 del 2019, dai quali non si è discostata la corte d’appello) ma a quella somma, capitalizzata, proporzionalmente ridotta in virtù della percentuale di incapacità lavorativa specifica.

8. Sia il ricorso principale che quello incidentale sono quindi rigettati.

9. In ragione della reciproca soccombenza, le spese del presente giudizio sono compensate.

10. Sia il ricorso principale che l’incidentale sono stati proposti in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e le parti risultano soccombenti, pertanto sono gravate dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale o rispettivamente per l’incidentale, a norma del comma 1 bis dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e l’incidentale. Compensa le spese di giudizio tra le parti.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per l’incidentale, se dovuti.

Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione il 31 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.