REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente –
Dott. GRILLO Renato – Rel. Consigliere –
Dott. ROSI Elisabetta – Consigliere –
Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere –
Dott. DI STASI Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GANZER GIAMPAOLO N. IL 06/07/1949;
OBINU MAURO N. IL 09110/1956;
FISCHIONE CARLO N. IL 23/06/1963;
PALMISANO LAUREANO N. IL 05/08/1956;
LEONE COSTANZO N. il 20/02/1958;
LOVATO GILBERTO N. IL 03/04/1951;
ARPA RODOLFO N. IL 09/0211966;
BENIGNI GIANFRANCO N. IL 28/06/1960;
LAZZERI ZANONI ALBERTO N. IL 24/07/1966;
SCALISI MICHELE N. IL 11/01/1959;
LUCATO EZIO N. IL 18/07/1964;
BOU CHAAYA JEAN AJAJ N. IL 28/02/1954;
ZANDA BRUNO N. IL 20.021950;
avverso la sentenza n. 3287/2011 Corte Appello di Milano, del 13/12/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in pubblica udienza del 15/01/2016, la relazione fatta dal Consigliere Dott. Renato Grillo;
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Roberto Aniello che ha concluso per:
Zanda, annullamento senza rinvio per prescrizione;
BOU CHAAYA JEAN AJAJ: inammissibilità;
LUCATO e (incomprensibile): il fatto non costituisce reato per la scriminante putativa;
rigetto nel resto e per gli altri;
udito per la parte civile (omissis);
uditi i difensori (seguono i nominativi segnati a mano e che si rimanda alla sentenza allegata).
RITENUTO IN FATTO
1.1. Con sentenza del 13 dicembre 2013 la Corte di Appello di Milano riformava parzialmente quella emessa dal Tribunale di quella città in composizione collegiale del 12 luglio 2010 con la quale
Giampaolo GANZER era stato condannato alla pena di anni 14 di reclusione ed (65.000,00 di multa per i reati di cui ai capi Fl e Gl;
Mauro OBINU, alla pena dl anni sette e mesi dieci dl reclusione ed€ 35.000,00 di multa per i reati di cui ai capi E2 ed Fl;
Carlo FISCHIONE, alla pena di anni sette e mesi sei di reclusione ed€ 32.000,00 di multa per i reati di cui ai capi E2 ed Fl;
Laureano PALMISANO, alla pena di anni sei di reclusione ed € 24.000,00 di multa per i reati di cui ai capi E2 ed Fl;
Costanzo LEONE alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione ed€ 25.000,00 dì multa per i reati di cui ai capi El; E2 ed Fl;
Gilberto LOVATO, alla pena di anni tredici e mesi sei di reclusione ed E: 59.000,00 di multa per i reati di cui ai capi B1, E2 e Gl;
Rodolfo ARPA alla pena di anni dieci di reclusione ed € 44.000,00 di multa per i reati di cui ai capi B1, El, E2 e Gl;
Gianfranco BENIGNI alla pena di anni dieci di reclusione ed 44.000,00 di multa per i reati di cui ai capi 81, El, E2 e Gl;
Alberto LAZZERI ZANONI alla pena di anni sei e mesi due di reclusione ed t: 25.000,00 di multa per il reato di cui al capo Gl;
Vincenzo RINALDI alla pena di anni cinque e mesi due di reclusione ed € 22.000,00 di multa per il reato di cui al capo E2;
Michele SCALISI alla pena di anni cinque di reclusione ed € 22.000,00 di multa per i reati di cui ai capi El ed E2;
Ezio LUCATO alla pena di anni cinque di reclusione ed € 20.000,00 di multa per il reato di cui al capo E2;
Jean Ajaj BOU CHAAYA, alla pena di anni diciotto di reclusione ed€ 80.000,00 di multa per il reato di cui al capo Gl;
Bruno ZANDA alla pena di anno uno e mesi sei di reclusione ed€ 2.000,00 di multa per il reato di cui al capo E7, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche con criterio di equivalenza rispetto alle aggravanti agli imputati OBINU, FISCHIONE, ARPA e BENIGNI e con criterio di prevalenza rispetto alle aggravanti e/o recidiva nei confronti degli imputati PALMISANO; LEONE; LAZZERI ZANONI; RINALDI; SCALISI; LUCATO e ZANDA.
Con la medesima sentenza il Tribunale aveva assolto tutti gli imputati dal reato di associazione per delinquere loro rispettivamente ascritto al capo A) perché il fatto non sussiste e dichiarato non doversi procedere per estinzione dei reati per intervenuta prescrizione relativamente alle imputazioni di cui ai capi Cl (violazione delle legge sulle armi); C2 G2 E3 (peculato aggravato); B2 C3, D2, E4, F2 G3 (falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale aggravata e continuata); B1 e D1 (violazioni in materia di legge sugli stupefacenti)
1.2. Come accennato, la Corte territoriale, in parziale riforma di detta sentenza, assolveva gli imputati Vincenzo RINALDI ed Ezio LUCATO dalle imputazioni loro rispettivamente ascritte ai capi E2, con riferimento alle cessioni di stupefacente di cui ai nn. 1), 2) e 3) ed E3 perché il fatto non costituisce reato.
Inoltre, esclusa la contestata circostanza aggravante della ingente quantità di cui all’art. 80 comma 2° fett. B) del D.P.R. 309/90 contestata agli imputati e concesse a ciascuno di essi (ad eccezione dell’imputato BOU CHAAYA) le circostanze attenuanti generiche con criterio di prevalenza rispetto alle aggravanti residue, riduceva la pena originaria inflitta all’imputato GANZER, nella misura di anni quattro e mesi undici di reclusione ed € 31.000,00 di multa;
quella inflitta a Mauro OBINU, nella misura di anni quattro di reclusione ed € 22.000,00 di multa;
quella inflitta a Carlo FISCHIONE, nella misura di anni quattro e mesi sei di reclusione ed € 22.000,00 di multa;
quella inflitta a Laureano PALMISANO, nella misura di anni quattro e mesi sei di reclusione ed € 22.000,00 di multa;
quella inflitta a Costanzo LEONE, nella misura di anni cinque di reclusione ed€ 23.000,00 di multa;
quella inflitta a Rodolfo ARPA, nella misura di anni cinque e mesi nove di reclusione ed € 35.000,00 di multa;
quella inflitta a Gianfranco BENIGNI, nella misura di anni cinque e mesi nove di reclusione ed € 35.000,00 di multa;
quella inflitta ad Alberto LAZZERI ZANONI, nella misura di anni quattro e mesi dieci di reclusione ed € 30.000,00 di multa;
quella inflitta a Michele SCALISI, nella misura di anni quattro e mesi due di reclusione ed€ 21.000,00 di multa e quella inflitta a Jean Ajaj BOU CHAAYA, nella misura di anni undici e mesi quattro di reclusione, sostituendo la pena accessoria della interdizione perpetua dai pp.uu. in quella temporanea per gli imputati GANZER, OBINU, FISCHIONE, PALMISANO, LEONE, LOVATO, ARPA, BENIGNI e LAZZERI e revocando nei confronti di costoro la pena accessoria della interdizione legale durante l’espiazione della pena.
Confermava, invece, la sentenza impugnata limitatamente all’imputato Bruno ZANDA.
1.3. Il percorso argomentativo è stato sviluppato dalla Corte di Appello secondo te seguenti direttrici. Dopo aver richiamato le motivazioni rese dal Tribunale per ciascuno dei reati contestati ai singoli imputati per i quali era intervenuta la statuizione di colpevolezza, il giudice distrettuale ha esaminato, anzitutto, in relazione al gravame interposto dal Pubblico Ministero, la fattispecie associativa di cui all’art. 74 D.P.R. 309/90 contestata al capo A), ribadendo l’insussistenza del fatto, in ciò condividendo le argomentazioni svolte dal Tribunale e rigettando, per quanto qui possa rilevare, l’appello interposto dal Procuratore Generale della Repubblica.
Proseguendo nell’esame di merito della complessa vicenda giudiziaria, la Corte distrettuale ha preso in esame le singole operazioni oggetto delle imputazioni (operazioni denominate, rispettivamente, “CEDRO” [capi da B1 a B6], “UPS” [capi da Cl a C3]; “SHIPPING” e “LIDO” [capi da D1 a D2]; “HOPE” [capi da El a EB]; “COBRA” [capi da Fl a F2] e “CEDRO UNO” [capi da Gl a G3]), condividendo, anche in questo caso, le ricostruzioni fattuali così come effettuate dal Tribunale e conseguentemente, la qualificazione giuridica delle condotte contestate.
La Corte territoriale ha ripercorso analiticamente, richiamando ampi passi della motivazione della sentenza di primo grado, i tratti salienti della complessa vicenda processuale e, tenuto conto dei dati probatori acquisiti (prove dichiarative promananti da alcuni collaboratori di giustizia ritenuti altamente attendibili e da numerosi altri testimoni; prove documentali; sequestri; intercettazioni), si è soffermata in modo analitico sulle questioni nascenti dalle varie operazioni di importazione di rilevantissime partite di hashish e cocaina (anche in pasta) provenienti da vari Stati esteri (Colombia, Libano e Cipro), condotte da agenti (militari dell’Arma dei carabinieri) infiltrati in collaborazione con la O.E.A. statunitense, analizzando anche l’attività di coordinamento da parte della D.C.S.A.
Specifica trattazione è stata riservata alla delicata materia del traffico internazionale degli stupefacenti, nonché al tema delle attività sotto-copertura poste in essere sin dal mese di luglio 1991, da parte di militari appartenenti alla Sezione ROS di Bergamo ed al Comando operativo del reparto speciale avente sede in Roma.
1.4. Con riferimento, poi, ad alcune questioni processuali sollevate nel corso del giudizio di primo grado, la Corte territoriale, in via preliminare, ha disatteso l’eccezione di legittimità costituzionale sollevata dalle difese degli imputati FISCHIONE, PALMISANO e LEONE in riferimento agli artt. 585 comma 1 cod. proc. pen. e 154 comma 4 Disp. Att. Cod. proc. pen. per asserito contrasto con gli 3, 24 e 111 Cost., ritenendone la manifesta infondatezza; ancora, l’eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Milano in favore, rispettivamente, del Tribunale di Roma (come sostenuto dalle difese degli imputati GANZER, PALMISANO, LEONE, RINALDI, SCALISI, FISCHIONE, ARPA, BENIGNI, LAZZERI ZANONI e LOVATO) e di Venezia (come sostenuto dalla difesa dell’imputato BOU CHAAYA).
Inoltre la Corte di merito ha rigettato le censure difensive di inutilizzabilità di numerosi documenti acquisiti in sede dibattimentale in quanto ritenuti – differentemente da quanto sostenuto dalle difese di alcuni imputati – corpo di reato, nonché delle dichiarazioni rese da ROTONDO Biagio e MORELLI Franco, acquisite al dibattimento ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen. e per le quali – secondo la prospettazione delle difese di quasi tutti gli imputati – si sarebbe dovuto applicare, invece, il disposto di cui all’art. 513 cod,. proc. pen., ed, ancora delle dichiarazioni rese dai coimputati PALMISANO, LEONE e RINALDI, anche queste acquisite al processo nonostante la asserita violazione dell’art. 63 cod. proc. pen. all’atto in cui tali soggetti erano stati sentiti nel corso delle indagini preliminari quali persone informate sui fatti.
Ha accolto, seppur parzialmente, la richiesta di parziale rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, rigettando soltanto le richieste di prove dichiarative formulate dalle difese per ritenuta superfluità e/o irrilevanza di esse.
1.5. Quindi, dopo aver passato in rassegna in modo più specifico le singole imputazioni secondo lo schema della denominazione delle singole operazioni (la cui ricostruzione fattuale come effettuata dal Tribunale veniva ribadita anche dal giudice di appello), la Corte territoriale si è soffermata sulla qualificazione giuridica delle condotte ed in particolare, sull’elemento oggettivo e soggettivo, ribadendo che nel caso in esame sarebbero state violate le prescrizioni di cui agli 97 e 98 del D.P.R. 309/90 in tema di attività sotto-copertura e ritardato sequestro dello stupefacente, nonché arresto e cattura dei responsabili; veniva, altresì’, escluso che potesse trovare applicazione la scriminante dell’errore ex art. 5 Cod. pen., nonché t’esimente speciale prevista per gli agenti operanti sotto-copertura ed, infine, anche la cd. “scriminante putativa” (tranne che per gli imputati RINALDI e LUCATO, assolti per difetto dell’elemento soggettivo del reato), previa comparazione con la posizione del coimputato (separatamente giudicato) dott. Mario CONTE (già sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo che aveva coordinato le varie operazioni condotte dai CC. di Bergamo e del R.O.S. di Roma), il quale era stato prosciolto dalle accuse mosse da parte degli odierni coimputati perché il fatto non costituisce reato in applicazione della esimente putativa.
Infine, nel rivedere il trattamento sanzionatorio – come già accennato – la Corte territoriale ha escluso con specifica motivazione la circostanza aggravante della ingente quantità come contestata nelle singole imputazioni e ha riconosciuto, anche nei confronti di quegli imputati che non ne avevano beneficiato nel giudizio di primo grado (con la sola eccezione dell’imputato BOU CHAAYA), le circostanze attenuanti generiche con criterio di prevalenza rispetto alle residue aggravanti nell’ottica di un generale e doveroso ridimensionamento del trattamento sanzionatorio statuito dal Tribunale in quanto ritenuto eccessivamente severo.
1.6. Avverso la detta sentenza hanno proposto ricorso gli imputati Giampaolo GANZER; Mauro OBINU; Carlo FISCHIONE; Laureano PALMISANO; Costanzo LEONE; Gilberto LOVATO; Rodolfo ARPA; Gianfranco BENIGNI; Alberto LAZZERI ZANONI; Michele SCALISI; Ezio LUCATO; Jean Ajaj BOU CHAAYA e Bruno ZANDA a mezzo dei rispettivi difensori.
RICORSO BOU CHAYYA
1.7. La difesa del ricorrente Jean Ajaj BOU CHAAYA deduce cinque motivi a sostegno. Con il primo, la difesa si duole dell’erronea applicazione della legge penale per avere la Corte di merito ritenuto l’imputato un soggetto facente parte dell’associazione criminale contestata al capo A), laddove il BOU CHAAYA, dopo essere stato tratto in arresto in occasione di una consegna controllata di un rilevante quantitativo di cocaina (circa 4 Kg.), aveva da subito manifestato la propria intenzione di collaborare con le forze di Polizia per stroncare i canali di traffico di stupefacenti tra il Libano e l’Italia.
Secondo la prospettazione difensiva, il BOU CHAAYA non solo non poteva essere considerato un soggetto associato, ma nemmeno un pubblico ufficiale al pari di quelli impegnati nella lotta al traffico degli stupefacenti che operavano tramite agenti sotto copertura; né poteva essere considerato un agente provocatore, ma un semplice personaggio intenzionato a collaborare con le Forze di Polizia e dunque, del tutto estraneo ad organizzazioni criminali.
1.7-1 Con il secondo motivo la difesa lamenta, invece, per un verso, l’erronea applicazione della legge penale in relazione alla ritenuta qualità di narcotrafficante in contrapposizione alla veste di collaboratore dell’A.G. attribuitagli dalla Corte territoriale e, per altro verso, la violazione di legge per difetto di motivazione sul punto riguardante l’effettiva attività svolta dal BOU CHAAYA nella vicenda per cui è processo.
1.7-2 Con il terzo motivo viene, ancora una volta, denunciata l’erronea applicazione della legge penale per avere la Corte di merito valutato la posizione del BOU CHAAYA come associato laddove si trattava, a tutto voler concedere, di una attività concorsuale. Rileva la difesa il difetto di motivazione in punto di valutazione da parte del giudice distrettuale della attendibilità dei chiamanti in correità (in particolare il riferimento è al collaborante Biagio ROTONDO e allo ZANDA) e la violazione delle regole in tema di valutazione della prova fissate dall’art. 192 cod. proc. pen. Viene ribadito, nell’ambito del detto motivo, il ruolo, negato invece dalla Corte di merito, di collaboratore svolto dal BOU CHAAYA con le forze di Polizia, evidenziandosi che questi, ritenuto dai narcotrafficanti stranieri un loro referente per la individuazione dei canali di traffico tra il Libano e l’Italia, dopo la sua inziale volontà collaborativa, aveva proseguito nella collaborazione mentre, secondo la Corte di Appello, egli contemporaneamente avrebbe svolto attività collaborativa e attività illecita come trafficante di cocaina ed hashish sul mercato italiano conseguendo anche rilevanti profitti per conto proprio.
1.7-3 Con il quarto motivo la difesa si duole della mancata assoluzione del BOU CHAAYA dalle imputazioni ascrittegli, evidenziandosi l’erronea applicazione della legge penale da parte del giudice distrettuale per avere ritenuto sussistenti sia l’elemento oggettivo che l’elemento soggettivo in relazione agli episodi delittuosi per i quali è poi intervenuta la condanna, pur in assenza dei necessari riscontri estrinseci.
1.7-4 Con l’ultimo motivo la difesa censura, invece, il trattamento sanzionatorio applicato dalla Corte di merito in violazione delle regole dettate dall’art. 133 cod. pen. soprattutto in relazione a quella attività di collaborazione con l’Autorità Giudiziaria ignorata, invece, dal giudice di appello.
La difesa conclude lamentando il diniego della parziale rinnovazione dell’istruzione dibattimentale onde procedere alla riaudizione dei testi indicati dalle difese ed insiste, altresì, sulla eccezione di incompetenza territoriale in favore della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia, oltre che per l’annullamento della sentenza impugnata, sia in punto di conferma del giudizio di responsabilità che in punto di trattamento sanzionatorio.
RICORSO ZANDA
1.8. La difesa del ricorrente Bruno ZANDA deduce quattro specifici motivi. Con il primo, articolato, motivo, viene lamentata la inosservanza della legge penale in punto di mancato riconoscimento della invocata attenuante speciale di cui all’art. 73 comma 7° del D.P.R. 309/90.
Viene, in particolare, contestata la decisione della Corte di merito secondo la quale la collaborazione prestata dallo ZANDA all’Autorità Giudiziaria non poteva ritenersi altamente significativa e fonte di apprezzabili risultati nella sottrazione di risorse ai trafficanti di droga, evidenziandosi una interpretazione in termini riduttivi del significato dell’espressione “sottrazione di risorse”, da intendersi – secondo la difesa – non solo come sottrazione di risorse materiali (la droga) alle organizzazioni criminali, ma anche di sottrazione di risorse umane.
Lamenta, peraltro, la difesa che allo ZANDA sarebbe stato impedito in vari modi di prestare la propria collaborazione all’Autorità Giudiziaria sia per effetto dell’opera dissuasiva prestata da militari dell’Arma dei Carabinieri (in particolare si cita il nominativo del M.llo LAZZERI ZANONI Alberto del reparto R.O.S. dei Carabinieri di Bergamo come colui che avrebbe cercato di convincere lo ZANDA a non collaborare con la giustizia), sia per effetto di condizionamenti conseguenti al fermo di tale PIANU Donisetta legata da profondi vincoli affettivi allo ZANDA e destinataria di specifiche minacce rivolte alla propria persona.
La difesa dello ZANDA riporta le dichiarazioni rese dal M.llo cc. LOVATO all’udienza del 12 maggio 2009 e dal C.re RINALDI all’udienza del 2 luglio 2009; i contenuti del verbale redatto il 27 gennaio 1993 dal Gen. CC. MINOPOLI nel corso di una riunione operativa con il Sost. Proc. della Repubblica (e coimputato) Dott. Mario CONTE; le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Biagio ROTONDO rese nel corso dell’interrogatorio dell’11 febbraio 2005 dinnanzi al G.U.P. Dott. PELLEGRINO; le dichiarazioni rese dallo ZANDA nell’ambito di due distinti procedimenti a suo carico conclusi con una sentenza di condanna alla pena di sedici anni di reclusione da parte della Corte di Appello di Brescia.
Nell’ambito del primo motivo la difesa lamenta, inoltre, l’erronea applicazione della legge penale in punto di determinazione della pena in violazione dell’art. 133 cod. pen., per avere la Corte di merito trattato in modo ingiustificatamente più mite le posizioni di alcuni imputati (il riferimento è ai militari dell’Arma Alberto LAZZERI ZANONI; Rodolfo ARPA e Gianfranco BENIGNI) rispetto alla propria. Si duole, inoltre, la difesa della mancata declaratoria di prescrizione del reato, tenuto conto del decorso di oltre venti anni dalla data di commissione dei fatti (22 settembre 1993) rispetto alla data della sentenza della Corte di Appello.
1.8-1 Con un secondo motivo la difesa si duole della mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nella parte relativa alla richiesta di assunzione di prove dichiarative con i testi Silvana FORCELLA; Donisetta PIANU; Angelo PARON; Alceo BARALTUCCI e in quella relativa alla mancata acquisizione di corrispondenza intercorsa tra lo ZANDA ed il M.llo LAZZERI ZANONI durante il periodo in cui lo ZANDA era detenuto nel carcere di Bergamo a dimostrazione delle pressioni subite dallo stesso affinchè non collaborasse.
1.8-2 Con il terzo motivo si lamenta l’inosservanza della legge processuale penale per asserita violazione del diritto di difesa in relazione al mancato accoglimento della richiesta di parziale rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.
1.8-3 Con il quarto motivo la difesa si duole della carenza e contraddittorietà della motivazione in riferimento al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 73 comma 7° del D.P.R. 309/90; ancora, della manifesta illogicità della motivazione in punto di mancata riduzione della pena entro limiti più contenuti e della carenza di motivazione in ordine al mancato accoglimento della richiesta di parziale rinn0pvazione dell’istruzione dibattimentale.
RICORSO LUCATO
1.9. La difesa del ricorrente Ezio LUCATO, con unico motivo, lamenta la manifesta illogicità della motivazione in punto di mancato proscioglimento perché il fatto non costituisce reato in relazione alla ritenuta sussistenza ex art. 59 comma 4 del cod. pen. della scriminante putativa costituita dagli artt. 97 e 98 cod. pen, affermata per le imputazioni sub E2 ed E3, ma non per la connessa imputazione di cui al capo E4, per la quale, invece, è stata erroneamente mantenuta la declaratoria di estinzione per prescrizione già pronunciata con la sentenza di 1° grado.
RICORSI FISCHIONE. COSTANZO. LEONE
1.10. La difesa dei ricorrenti Carlo FISCHIONE, Leone COSTANZO e Laureano PALMISANO deduce quattordici motivi che possono cosi sintetizzarsi.
In via preliminare la difesa solleva pari di quanto già formulato con l’atto di appello – eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 585 cod. proc. pen. e 154 comma 4 bis Disp. Att. Cod. proc. pen. per contrasto con gli artt. 3, 24, 111 e 117 Cast., in riferimento al mancato riconoscimento anche per i difensori di un maggior termine per la proposizione dell’appello in relazione al termine prorogato concesso al giudice per il deposito della sentenza.
Con il primo motivo la difesa lamenta l’erronea applicazione della legge processuale penale e il difetto di motivazione perché apparente e contraddittoria in punto di individuazione del giudice territorialmente competente indicato nel Tribunale di Milano e non di Roma, come richiesto dalla difesa.
Secondo quest’ultima, la competenza territoriale andava individuata in relazione al reato associativo di cui all’art. 74 D.P.R. 309/90 dovendosi tenere conto dei ruoli svolti all’interno della detta associazione da alcuni dei protagonisti della vicenda (gli Ufficiali dei Carabinieri operanti presso il Reparto Operativo Speciale di Roma) indicati come promotori e costitutori del sodalizio criminale.
Sottolinea la difesa come il luogo in cui si sarebbe manifestata per la prima volta l’associazione coincide con l’importazione di sostanza stupefacente avvenuta in Roma {Aeroporto di Fiumicino) il 25 agosto 1991, a nulla rilevando, invece, il compimento di atti prodromici alla detta operazione (ritardato sequestro disposto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo) richiamati dalla Corte territoriale ed avvenuti in Bergamo nel luglio 1991.
Inoltre la difesa sottolinea come, laddove non fosse possibile individuare con esattezza il luogo in cui si sarebbe formato il pactum sceleris o si sarebbe, per la prima volta, manifestata l’operatività dell’associazione, in ogni caso doveva sempre ritenersi competente territorialmente il Tribunale di Roma in applicazione del criterio suppletivo previsto dall’art. 9 del Cod. proc. pen. costituito dalla gravità decrescente dei reati, in quanto l’importazione dello stupefacente nella sua fattispecie più grave sarebbe comunque avvenuta in Roma.
1-10-1 Con il secondo motivo la difesa lamenta l’inosservanza della legge processuale penale (art. 63 commi 1° e 2° cod. proc. pen.), 503 commi 3° e 4° stesso codice; 514, 238 comma 4° stesso codice, nonchè il difetto di motivazione perché illogica e contraddittoria, oltre che apparente, in relazione alla ritenuta utilizzabilità delle dichiarazioni rese dagli imputati Costanzo LEONE e Laureano PALMISANO al Pubblico Ministero presso il Tribunale di Brescia dott. Fabio SALAMONE nel corso delle indagini preliminari, senza le prescritte garanzie difensive nonostante gli stessi fossero già raggiunti da plurimi e consistenti indizi di reità: la difesa dei ricorrenti, nel sostenere la esattezza dei rilievi difensivi, ripercorre i vari momenti delle indagini compresi tra il 3 novembre 1997 e il 17 aprile 1999 a riprova della esistenza già a quella data di indizi di reità a carico dei predetti Ufficiali di P.G. e rimarca, ancora una volta, l’inutilizzabilità assoluta delle dette dichiarazioni sia per quanto riguarda le posizioni degli stessi dichiaranti, sia per quanto riguarda i terzi chiamati in causa da costoro, contestando, quindi, l’erroneità della decisione della Corte territoriale di ritenere utilizzabili, seppure in maniera marginale, le dette dichiarazioni anche per la contestazioni, sulla base di una altrettanto errata applicazione dell’art. 238 comma 4 cod. proc. pen.
1.10-2 Con un terzo motivo la difesa lamenta la inosservanza dell’art. 141 bis cod. proc. pen. in riferimento agli interrogatori resi dal collaborante Biagio ROTONDO al P.M. perché privi di integrale documentazione con i mezzi di riproduzione fonografica, ribadendo l’inutilizzabilità di tali dichiarazioni difformemente da quanto invece ritenuto dalla Corte distrettuale.
1.10-3 Con il quarto motivo la difesa rileva difetto assoluto di motivazione in merito alla valutazione delle dichiarazioni del menzionato collaborante e, in particolare, lamenta il generico riferimento “per re!ationem” operato dalla Corte di merito rispetto alle motivazioni rese sul medesimo argomento dal Tribunale, contestando, inoltre, i criteri seguiti dal Tribunale nella valutazione di tale attendibilità.
1.10-4 Con il quinto motivo la difesa lamenta l’inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 97 e 98 del D.P.R. 309/90 come successivamente modificati dalle leggi nn. 146/06 e 136/2010; contesta, in particolare, la difesa la mancata applicazione delle scriminanti previste dalle due norme sopra richiamate, dopo averne illustrato le caratteristiche, evidenziando l’erronea decisione negativa del giudice di appello.
1.10-5 Collegato a tale motivo il sesto con il quale la difesa lamenta, comunque, la mancata applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 59 comma 4° Cod. pen. in tema di esimente putativa, ritenuta insussistente da parte del Giudice territoriale, e manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione resa sul punto.
1.10-6 Con il settimo motivo la difesa lamenta inosservanza delta legge penale (artt. 73 D.P.R. 309/90 e 49 comma 2° cod. pen.) ed, in particolare, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento materiale del reato di illecita importazione di sostanza stupefacente: secondo la prospettazione difensiva la Corte di merito ha erroneamente affrontato e risolto i complessi problemi nascenti dalla realizzazione di condotte in violazione degli artt. 97 e 98 del D.P.R. 309/90 con riferimento alla figura dell’agente provocatore ed alla rilevanza penale della sua condotta, osservando che, in linea astratta, sarebbe ipotizzabile li dolo per il tentativo, del quale comunque l’agente provocatore non può essere chiamato a rispondere in quanto la sua azione è finalizzata al perseguimento dell’autore del reato e non alla sua consumazione. Contesta la difesa l’affermazione della Corte territoriale secondo la quale la condotta di importazione della droga assorbirebbe la successiva condotta di cessione ed acquisterebbe autonoma e decisiva rilevanza nei confronti degli imputati, ribadendo che, in ogni caso, la condotta di importazione seguita dall’immediato sequestro dello stupefacente, impedisce di ritenere l’offensività della condotta con stretto riferimento al pregiudizio per la salute pubblica.
1.10-7 Con l’ottavo motivo la difesa lamenta la violazione dell’art. 73 D.P.R. 309/90 in relazione all’art. 43 cod. pen. e, in particolare, rileva l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato e la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione resa sul punto dalla Corte distrettuale la quale, per un verso, ha riconosciuto che la finalità perseguita dagli imputati era quella di immettere la droga nel mercato, ma di individuare i soggetti che nel mercato nazionale erano dediti al traffico onde procedere al loro arresto e, per altro verso, ha ritenuto ravvisabile nella condotta degli imputati il dolo generico della introduzione nel territorio italiano di droga e della detenzione in quanto avvenute per finalità diverse da quello dell’uso personale (unico che consente di scriminare la condotta).
1.10-8 Con il nono motivo la difesa lamenta il difetto di motivazione in ordine alla mancata assunzione della testimonianza di Jhon GENOVESE (quanto alla operazione denominata “Cobra”) e la mancata riassunzione della testimonianza di Rodolfo PEIKOV, funzionario della O.E.A. in Italia (in riferimento alla operazione denominata “HOPE” ai rapporto tra la fonte denominata “Josè” ed il M.flo LEONE ed ai pericoli corsi dalla predetta fonte). Ancora, la mancata effettuazione della perizia fonica in ordine alle audiocassette contenenti le dichiarazioni del collaborante Biagio ROTONDO.
1.10-9 Con il decimo motivo la difesa lamenta apparenza di motivazione nonché manifesta illogicità e contraddittorietà in riferimento alla ricostruzione dell’operazione denominata “UPS” e al riconoscimento delle responsabilità del ricorrente Costanzo LEONE e del ruolo da costui ricoperto in tale operazione.
1.10-10 Vizi analoghi la difesa lamenta con l’undicesimo motivo, in particolare riferendosi alla illogicità manifesta ed alla contraddittorietà della motivazione riguardante la ricostruzione dell’operazione denominata “HOPE” e i ruoli svolti dai ricorrenti.
1.10-11 Il dodicesimo motivo concerne la carenza di motivazione e la manifesta illogicità in relazione ai ritenuti collegamenti tra l’operazione “HOPE” e l’operazione “COBRA” e l’inosservanza dell’art. 192 cod. proc. pen, con riferimento alla valutazione delle dichiarazioni del P.M. presso il Tribunale di Milano Dott. Armando SPATARO in relazione all’operazione “Cobra”.
1.10-12 Con il tredicesimo motivo la difesa lamenta l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 73 commi 1° e 5° del D,.P.R. 309/90, 133 e 62 bis cod. pen. in riferimento agli artt. 27 Cost. e 3 CEDU in punto di erronea qualificazione giuridica dei fatti e della condotta e alla quantificazione della pena inflitta.
1.10-13 Con il quattordicesimo – ed ultimo – motivo, la difesa lamenta l’inosservanza dell’art. 129 cod. proc. pen. ed erronea applicazione degli artt. 314 e 323 cod. pen. in riferimento alla declaratoria di prescrizione dei reati nonostante l’esistenza di elementi che avrebbero dovuto indurre la Corte al proscioglimento immediato nel merito per insussistenza del fatto.
RICORSO SCALISI
1.11. La difesa del ricorrente Michele SCALISI formula diciassette motivi di ricorso che possono sintetizzarsi nel modo seguente. Con il primo viene riproposta in modo articolato l’eccezione di incompetenza territoriale già sollevata nel corso del giudizio di 1° grado (e prima ancora, dinnanzi al G.U.P.) e successivamente reiterata nel giudizio di appello.
Riassuntivamente la difesa, dopo una preliminare notazione in merito alla estensibilità alla posizione processuale dello SCALISI delle eccezioni procedurali sollevate dagli altri difensori degli imputati e dei motivi di impugnazione formulati da parte dei rispettivi difensori, rileva – sempre in via preliminare – la mancata notifica al difensore ed all’imputato, in violazione dell’art. 548 comma 2 cod. proc. pen., dell’avviso di deposito della sentenza i cui termini per il deposito erano stati prorogati ai sensi dell’art. 154 comma 4 bis Disp. Att. Cod. proc. pen. con conseguente slittamento dei termini per proporre impugnazione soltanto a decorrere dalla notifica del richiamato avviso in applicazione del disposto di cui all’art. 585 comma 2 lett. c) del codice di rito.
Ciò precisato, la difesa lamenta che, del tutto erroneamente ed in violazione delle norme processuali che disciplinano la competenza per territorio, la Corte di Appello ha ribadito la competenza territoriale del Tribunale di Milano ai sensi dell’art. 11 cod. proc. pen. (in relazione al coinvolgimento processuale del Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo, Dott. Mario CONTE coimputato nel medesimo processo e separatamente giudicato), laddove la competenza avrebbe dovuto essere individuata nella Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, essendo questo il luogo in cui si sarebbe manifestata per la prima volta l’operatività della associazione delinquenziale di cui al capo A) della rubrica per effetto della consegna all’Aeroporto di Roma-Fiumicino di una partita di cocaina ed hashish proveniente da Cipro, consegna avvenuta in data 25 agosto 1991.
E quand’anche si fosse acceduto alla tesi della assoluta incertezza del luogo in cui la detta associazione avrebbe manifestato all’esterno la propria operatività (se cioè Bergamo, luogo in cui si sarebbero realizzate alcune condotte prodromiche comunque contestate in riferimento alla imputazione del reato di falso ideologico meno grave rispetto al delitto associativo, ovvero Roma, luogo della consegna dall’estero dello stupefacente, non preceduta da alcun ordinativo, come invece accaduto in riferimento alla operazione denominata “HOPE”), la competenza territoriale avrebbe dovuto essere comunque individuata nella Procura della Repubblica di Roma in applicazione del criterio delta gravità decrescente dei reati, risultando comunque più grave proprio il reato di cui al capo di imputazione Bl, tra i reati-fine rientranti nel programma delittuoso della associazione per delinquere.
1.11-1 Con il secondo motivo viene denunciata l’inosservanza delle norme processuali stabilite in tema di nullità ed inutilizzabilità in riferimento alle ordinanze pronunciate dal Tribunale rispettivamente in data 30 marzo 2006 e 21 giugno 2006 (la cui validità è stata poi ribadita dalla Corte di Appello) riguardanti la formazione del fascicolo per il dibattimento ex art. 431 cod. proc. pen. e l’acquisizione delle prove richieste dalle parti: secondo la prospettazione difensiva, entrambe le ordinanze sarebbero viziate (e conseguentemente la conferma di esse da parte della Corte territoriale) a causa di una indebita estensione della nozione di corpo di reato e di cose pertinenti al reato utilizzata dal Tribunale per acquisire prove non solo documentali, in palese violazione delle regole processuali dettate dall’art.- 235 cod. proc. pen.
1.11-2 Con il terzo motivo la difesa lamenta il vizio di inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità e/o inutilizzabilità in riferimento alla acquisizione dei verbali e delle trascrizioni disposte in ordine alle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Biagio ROTONDO nel corso delle indagini preliminari nonché dell’interrogatorio da costui reso nel corso dell’udienza preliminare.
Rileva la difesa che la norma adoperata dal Tribunale (e richiamata dalla Corte territoriale) per l’acquisizione dei detti verbali non è quella di cui all’art. 512 cod. proc. pen. (che riguarda le dichiarazioni testimoniali) ma quella di cui all’art. 513 cod. proc. pen. {che concerne le dichiarazioni di coimputati), con conseguente irrilevanza della circostanza, valorizzata invece dalla Corte di merito, circa la imprevedibilità del suicidio del ROTONDO (circostanza, quest’ultima, comunque ritenuta prevedibile da parte della difesa in relazione ad accadimenti precedenti relativi allo stesso ROTONDO).
In particolare, la difesa censura la decisione della Corte di Appello nella parte in cui ha confermato la validità dell’ordinanza pronunciata dal Tribunale di Milano in data 6 novembre 2008 con la quale era stata rigettata l’eccezione difensiva, sottolineando che i verbali contenenti le dichiarazioni del collaboratore ROTONDO, almeno in parte, non documenta(va)no l’avvenuta registrazione degli stessi ai sensi dell’art. 141 bis cod. proc. pen. indicata come obbligatoria in relazione allo stato di detenzione inframurario del collaboratore di giustizia.
Nessuna rilevanza, poi, avrebbe potuto essere accordata, come invece erroneamente ritenuto dalla Corte distrettuale, alla successiva conferma da parte del ROTONDO del contenuto dei verbali contenenti gli interrogatori da lui resi senza l’osservanza delle disposizioni di cui all’art. 141 bis cod. proc. pen. trattandosi di irregolarità non sanabile.
1.11-3 Con il quarto motivo la difesa lamenta l’erronea applicazione della legge processuale penale con riferimento alle ordinanze del 4.2.2009 e 10.2.2009 con le quali è stata disposta l’acquisizione dei verbali contenenti le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari dai M.lli dei CC. – R.O.S. di Bergamo – Laureano PALMISANO e Costanzo LEONE, rispettivamente in data 14 aprile 1999 e 19 aprile 1999, trattandosi di dichiarazioni rese in violazione del disposto di cui all’art. 63 comma 4 cod. proc. pen. in quanto, al momento di rendere tali dichiarazioni, a carico di essi erano già presenti indizi di reità che ostavano alla loro audizione come persone informate sui fatti. Sotto tale profilo la decisione della Corte territoriale, secondo la quale tali dichiarazioni erano state rese dai detti Ufficiali di P.G. nella fase iniziale delle indagini e i detti verbali sarebbero in ogni caso utilizzabili per le contestazioni ai sensi dell’art. 238 comma 4 cod. proc. pen., è errata anche perché si tratta di dichiarazioni rese nell’ambito del presente procedimento e non provenienti da altri procedimenti.
1.11-4 Con il quinto motivo viene censurata, per erronea applicazione della legge processuale e per carenza di motivazione, la decisione della Corte territoriale nella parte in cui non ha preso in considerazione le eccezioni difensive sollevate in riferimento alle ordinanze pronunciate dal Tribunale di Milano rispettivamente il 30 marzo 2006 e 21 giugno 2006 (relativamente alla acquisizione del verbale e della trascrizione delle dichiarazioni rese dal Prof. GAMBARO Veniero in ordine ad una perizia tossicologica dallo stesso effettuata su un quantitativo di kg. 34 di cocaina sequestrato all’esito di una operazione di consegna controllata del 22 settembre 1993.
1.11-5 Con il sesto motivo viene dedotto il vizio di inosservanza delle disposizioni processuali stabilite a pena di nullità e/o inutilizzabilità, nonché il vizio di carenza della motivazione in riferimento alla acquisizione disposta con le ordinanze del 30 marzo 2006 e 21 giugno 2006 del verbale e delle trascrizioni della testimonianza resa dallo SCALISI nell’ambito del procedimento celebratosi dinnanzi al Tribunale di Bergamo nei confronti di tali MAPELLI e BELOTTI e del verbale della testimonianza resa dallo stesso SCALISI nell’ambito di altro procedimento celebratosi dinnanzi al Tribunale di Bergamo nei confronti di tale PATARRINO, acquisito con ordinanza del 14 marzo 2007.
Anche in questo caso le dichiarazioni dello SCALISI dovevano considerarsi inutilizzabili perché rese in violazione dell’art. 63 comma 4 cod. proc. pen. in quanto, nel momento in cui costui era stato sentito in dibattimento, erano già presenti indizi di reità a suo carico per i fatti oggetto del presente procedimento.
1.11-6 Il settimo motivo concerne l’inosservanza in termini generali delle disposizioni stabilite dagli artt. 191 e 526 cod. proc. pen. in relazione all’utilizzazione contra fegem sia delle dichiarazioni del collaborante ROTONDO, sia delle dichiarazioni degli imputati PALMISANO, LEONE e SCALISI.
1.11-7 Con l’ottavo motivo la difesa lamenta la violazione 1 per quanto qui rileva, dell’art. 603 cod. proc. pen. in ordine alla mancata rinnovazione parziale della istruzione dibattimentale in riferimento alla richiesta di perizia fonica dei nastri contenenti le registrazioni degli interrogatori resi dal collaborante Biagio ROTONDO nel corso delle indagini preliminari: attività – secondo la prospettazione difensiva – assolutamente necessaria al fine di verificare se le dette registrazioni dovevano ritenersi integrali o meno e se conseguentemente era stato rispettato il disposto di cui all’art. 141 bis cod. proc. pen.
1.11-8 Con il nono motivo la difesa denuncia inosservanza della legge penale in riferimento agli artt. 97 e 98 del D.P.R. 309/90 e difetto di motivazione per omessa valutazione delle censure sollevate con l’atto di appello: lamenta, in particolare, la difesa che la Corte territoriale ha ritenuto illegittime le varie operazioni sulla base di una analisi dei loro tratti comuni che le caratterizzavano e che smentiscono le censure difensive, incorrendo, peraltro, in vistose contraddittorietà nella misura in cui il giudice di appello ha affermato la regolarità e sistematicità delle operazioni salvo a smentirle successivamente in altra parte della decisione.
La difesa richiama i contenuti della sentenza pronunciata nel parallelo processo a carico del Dott. Mario Conte assolto, con riferimento alla cd. “Operazione Cedro” (operazione compendiata nei capi di imputazione sub E) mossa nei confronti dello SCALISI), per la mancanza dell’elemento psicologico del reato in riferimento alla ritenuta illiceità della operazione suddetta in quanto ritenuta scriminata ai sensi degli artt. 97 e 98 D.P.R. 309/90.
Quanto alla mancata risposta da parte della Corte territoriale alle censure difensive sollevate con l’atto di impugnazione in ordine alla assenza di riscontri alle dichiarazioni del ROTONDO riguardanti le operazioni denominate “UPS” ed “HOPE” in ordine alla attività di istigazione dei militari dei CC. (si tratta dell’episodio di una cessione controllata di 2,5 Kg. di cocaina – operazione “UPS”), la difesa censura la decisione della Corte di merito, riportando il testo in parte qua della impugnazione e la laconica ed insufficiente motivazione della Corte distrettuale.
Altrettanto, in riferimento alla ritenuta attività istigatrice descritta dal collaborante con riferimento alla operazione “HOPE”. Rileva, in proposito, la difesa una valutazione estremamente restrittiva da parte della Corte di merito in ordine al significato delle scriminanti introdotte dalla normativa sugli stupefacenti con gli artt. 97 e 98 disciplinanti le operazioni cd. “sotto-copertura”, concludendo con l’affermare che attività apparentemente al di fuori dello schema previsto dai ricordati artt. 97 e 98, quali la condotta di cessione da parte dell’agente sotto-copertura a narcotrafficanti indicati dalla fonte come intenzionati allo smercio dello stupefacente, possono comunque ritenersi lecite se svolte sotto le direttive dei narcotrafficanti indicati dalla fonte.
Secondo la prospettazione difensiva, la Corte territoriale, nell’analizzare le condotte dei singoli imputati – e per quanto qui di interesse – quelle dello SCALISI, ha accomunato tutte le posizioni senza alcuna distinzione tra i vari segmenti delle condotte (in particolare quella di importazione e quella di cessione ritenuta dal giudice territoriale assorbita nella prima) sulla base della affermata partecipazione dei vari imputati alle singole operazioni nel loro complesso, ricorrendo a massime di esperienza tra le quali la circostanza che il R.O.S. fosse un organismo speciale di nuova istituzione creato ad hoc per la gestione delle vicende relative al narcotraffico ed ai nuovi sistemi di contrasto creati dal legislatore e dunque, messo nelle condizioni di non sbagliare nella gestione delle singole operazioni.
Contesta, quindi la difesa, le argomentazioni svolte dalla Corte territoriale in punto di conferma della responsabilità dello SCALISI per la condotta di importazione di cui al capo E), ritenute in essa assorbite le condotte di cessione di cui ai capi successivi, in quanto contraddittorie e manifestamente illogiche.
Rileva, in particolare la contraddittorietà tra le valutazioni operate dalla Corte distrettuale in riferimento alla operazione “CEDRO”, le cui condotte svolte dallo SCALISI sono state ritenute prive di rilevanza penale, e quelle operate per le successive operazioni “UPS” ed “HOPE” per le quali – nonostante la analogia degli argomenti rispetto a quelli sviluppati per l’operazione “CEDRO” – è stata invece confermata la responsabilità dello SCALISI.
1.11-9 Con il decimo motivo la difesa lamenta la violazione di legge per inosservanza delle norme processuali in tema di valutazione delle prove con riguardo alla condotta di importazione dello stupefacente contestata nei capi El ed E2: lamenta, in particolare, la difesa che la Corte di Appello, nell’esaminare le condotte contestate, ha trattato in modo unitario la qualificazione giuridica dei fatti senza alcuna distinzione delle singole posizioni dei vari imputati, attribuendo a costoro lo stesso processo di rappresentazione e volizione del fatto, nonostante – per ciò che attiene allo SCALISI – risultasse che questi aveva partecipato soltanto alla fase finale delle due operazioni. Ancora, lamenta la difesa che le analogie riscontrate dalla Corte distrettuale tra le operazioni “CEDRO” (da una parte ) e “UPS” – “HOPE” (dall’altra) sono state indebitarne estese allo SCALISI nonostante questi fosse stato assolto dalla imputazione riguardante la operazione denominata “CEDRO”.
1.11-10 Con l’undicesimo motivo la difesa censura il vizio di motivazione per manifesta illogicità e contraddittorietà in punto di conferma della responsabilità dello SCALISI per le condotte di cessione, seppur assorbite nella prodromica condotta di importazione, sottolineando come, dopo le ulteriori modifiche apportate agli artt. 97 e 98 del D.P.R. 309/90 attraverso la legge 146/06, anche l’attività di consegna dello stupefacente da parte dell’agente sotto copertura deve ritenersi – a determinate condizioni (nel caso in esame sussistenti) – lecita e rilevando come da parte del giudice di appello non è stata fatta applicazione, in modo del tutto ingiustificato, delle scriminanti rispettivamente previste dagli artt. 51 e 54 cod. pen. Viene, in particolare, criticato il salto logico motivazionale nella parte in cui viene addebitata allo SCALISI una condotta di partecipazione alla intera attività di cessione dello stupefacente laddove la effettiva partecipazione dell’imputato è rimasta circoscritta alla parte finale della operazione di consegna.
1.11-11 Con il dodicesimo motivo la difesa lamenta l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (art. 59 comma 4 cod. pen.) per avere la Corte di merito escluso la sussistenza della cd. “scriminante putativa” sia con riferimento all’art. 51 cod. pen. sia subordinatamente, con riferimento all’art. 54 stesso codice, sia in ulteriore subordine, con riferimento alla scriminante speciale prevista dagli artt. 97 e 98 del D.P.R. 309/90: rileva, al riguardo, la difesa che non solo la decisione della Corte di merito deve ritenersi erronea in quanto inosservante di precise disposizioni di legge, ma anche del tutto illogica in quanto la stessa scriminate è stata riconosciuta nei confronti di altri militari (LUCATO e RINALDI) che in realtà appartenevano al medesimo reparto dello SCALISI ed avevano partecipato con questi a molte operazioni con riferimento alle attività di consegna.
Secondo la tesi difensiva, la decisione della Corte distrettuale è anche erronea per avere ritenuto che la scriminante comune, sia pure nella forma putativa prevista dall’art. 51 cod. pen., fosse alternativa rispetto alla scriminate speciale prevista dagli artt. 97 e 98 del D.P.R. 309/90, tralasciando di considerare che la nuova formulazione di cui all’art. 9 della L. 146/06 fa sì che la scriminante speciale costituisca una forma speciale di scriminante di derivazione codicistica. E, con riferimento a due delle operazioni contestate nei capi di imputazione (le operazioni denominate “CEDRO” ed “HOPE”), queste si collocavano in un contesto di traffico in corso nel quale si sarebbe inserito – per quanto qui rileva – l’imputato (ma anche altri pari grado facenti parte del medesimo Reparto speciale), ancorchè la Corte di merito avesse ritenuto inapplicabile la scriminante speciale ritenendo necessario il riferimento ad uno specifico traffico in corso a detta della Corte di merito mancante.
1.11-12 Con il tredicesimo motivo la difesa lamenta l’inosservanza della legge processuale penale per violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. in relazione ad un episodio di consegna in data 22 settembre 1993 in località Albano Sant’Alessandro, di una partita di droga (34 Kg. di cocaina) a tali Salvatore PATARRINO, Rocco TRIMBOLI, Pietro Paolo PORTOLESI, Giuseppe RUSSO e due soggetti non identificati (si tratta dell’episodio contestato al capo E2), nel senso che da parte del giudice di appello sarebbero stati modificati i soggetti intermediari della cessione (indicati in sentenza nei due occupanti della Fiat Tipo) rispetto a quelli enunciati nel capo di imputazione (Biagio ROTONDO), con conseguente violazione dei diritti della difesa.
1.11-13 Con il quattordicesimo motivo la difesa lamenta vizio di motivazione per assoluta carenza e manifesta illogicità in punto di ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del reato in capo allo SCALISI in riferimento alle condotte di cessione contestate al capo El), conspecifico riguardo alle operazioni denominate “UPS” e “HOPE” relativamente alle quali le dichiarazioni dello SCALISI sarebbero risultate inveritiere a riprova di una sostanziale adesione da parte di costui al modus procedendi illecito del R.O.S.
1.11-14 Con il quindicesimo motivo la difesa lamenta l’inosservanza della legge penale (art. 73 D.P.R. 309/90) nella parte relativa alla qualificazione giuridica delle condotte di importazione, acquisto e detenzione di stupefacente per la quale è oggi richiesto – per effetto della pronuncia della Corte Costituzionale n. 32/14 – il dolo specifico della finalità di spaccio (prima escluso per effetto dell’art. 73 comma 1 bis come introdotto dalla L. 49/06), laddove da parte della Corte territoriale è stato ritenuto sufficiente il mero dolo generico della coscienza e volontà di detenere la droga per un uso non esclusivamente personale, escludendo quindi qualsiasi rilevanza alla circostanza che nessuno degli imputati perseguisse una finalità di spaccio, ma solo quella di consentire una importazione di droga per poi procedere all’individuazione ed all’arresto dei trafficanti destinatari della consegna mediata dall’agente sotto-copertura e dalla fonte.
1.11-15 Con il sedicesimo motivo la difesa lamenta il vizio di motivazione per illogicità manifesta in riferimento al mancato proscioglimento dello SCALISI ex art. 129 cod. proc. pen. dalle imputazioni di cui ai capi E3 ed E4 per le quali avrebbe dovuto applicarsi la scriminante putativa e non la declaratoria di prescrizione, sussistendo plurimi elementi che rendevano evidente la insussistenza dell’elemento psicologico del reato in capo allo SCALISI.
1.11-16 Con il diciassettesimo – ed ultimo – motivo, la difesa lamenta violazione di legge per carenza e/o manifesta illogicità della motivazione in punto di quantificazione della quota di aumento di pena per la continuazione tra il reato di cui al capo E2 e quello di cui al capo El (indicato come più grave) anche in relazione al più benevolo trattamento riservato ad altri coimputati chiamati a rispondere di più condotte illecite (il riferimento è agli imputati GANZER, LOVATO1 ARPA e BENIGNI).
RICORSI LOVATO. ARPA. BENIGNI. LAZZERI ZANONI
1.12. La difesa dei ricorrenti Gilberto LOVATO, Rodolfo ARPA, Gianfranco BENIGNI e Alberto LAZZERI ZANONI propone sette specifici ed articolati motivi di ricorso i cui tratti essenziali, peraltro, coincidono nelle considerazioni generali con parte dei motivi già esposti in riferimento alla posizione del ricorrente SCALISI.
In particolare, il primo motivo è dedicato alla questione – comune alla quasi totalità dei ricorrenti – della competenza territoriale, indicata dalle difese nella Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma (quale sede della Procura Distrettuale) e sviluppa argomentazioni sostanzialmente coincidenti con quelle già enunciate in riferimento alla analoga questione prospettata dalla difesa dello SCALISI, del FISCHIONE, del LEONE e del PALMISANO.
1.12-1 Il secondo motivo – afferente alle questioni concernenti il mancato accoglimento delle eccezioni di inutilizzabilità e/o nullità con riguardo alle acquisizioni probatorie disposte dal Tribunale e avallate dalla Corte territoriale – non si discosta nei suoi tratti essenziali da quello, del tutto analogo, proposto dalle difese dei predetti imputati.
Nel censurare le ordinanze pronunciate dal Tribunale in merito alla acquisizione probatoria in data 30.3.2006, 21.6.2006, 14.3.207, 19.5.2009 e 16.9.2009, viene rimarcata l’assoluta inapplicabilità dell’art. 238 comma 4 cod. proc. pen. richiamato dal Tribunale, prima e dalla Corte distrettuale dopo, per acquisire i documenti – rectius fascicoli processuali – facenti parte di altri procedimenti, in quanto ritenuti corpo di reato o cose pertinenti al reato nell’ottica di una accezione estesa del significato di tali espressioni: sostiene la difesa che la disciplina normativa di cui all’art. 238 cod. proc. pone dei rigorosi limiti nei commi 1, 2, 2bis, 3 e 4 alle acquisizioni di prove di altro procedimento che né il Tribunale, né la Corte territoriale ha rispettato con conseguente radicale inutilizzabilità di quelle prove e conseguente nullità della sentenza ai sensi dell’art. 526 cod. proc. pen. per inosservanza dell’art. 191 cod. proc. pen.
Viene poi censurata per difetto di motivazione quella parte della sentenza nella quale si è ritenuto di utilizzare le trascrizioni di intercettazioni telefoniche provenienti da altri procedimenti.
Con riguardo, ancora, alle acquisizioni dei verbali contenenti le dichiarazioni rese da Laureano PALMISANO, Costanzo LEONE e Vincenzo RINALDI viene riproposto il tema della assoluta inutilizzabilità, in quanto dichiarazioni rese in violazione del disposto di cui all’art. 63 comma 4 cod. proc. pen., seguendo l’iter argomentativo già sviluppato dalle difese degli imputati SCALISI, FISCHIONE, PALMISANO e LEONE.
Analoghe considerazioni vengono svolte dalla difesa dei ricorrenti in riferimento alle ordinanze del Trlbunale (anche queste avallate dalla Corte territoriale) concernenti i verbali degli imputati in procedimento connesso Biagio ROTONDO e Franco MORELLI, rilevandosi ancora una volta, in analogia a quanto già osservato dalle difese degli altri ricorrenti dianzi menzionati, l’inapplicabilità dell’art. 512 cod. proc. pen., e dovendo, invece, trovare applicazione il disposto di cui all’art. 513 stesso codice (il riferimento è alle ordinanze del 6 novembre 2008 e del 3 dicembre 2009).
Infine, nell’ambito del secondo motivo viene censurato per manifesta illogicità della motivazione e sua carenza e contraddittorietà, il criterio di valutazione dell’attendibilità intrinseca dei coimputati e imputati di reato connesso ROTONDO, MORELLI, COGO e FILIPPI, sottolineandosene i sentimenti di rivalsa ed astio a vario titolo nutriti da costoro verso i militari che li avevano tratti in arresto e che li avevano anche fatti condannare per gravi reati.
1.12-2 Con il terzo motivo viene dedotta l’inosservanza degli artt. 507 cod. proc. pen. e 603 stesso codice in riferimento al mancato accoglimento di richieste istruttorie attinenti a prove ritenute decisive.
1.12-3 Con il quarto motivo viene, al pari di quanto già osservato dalle difese dei ricorrenti SCALISI, PALMISANO, FISCHIONE e LEONE, dedotta – in riferimento alle attività svolte dagli agenti sotto-copertura – l’inosservanza della legge penale e, più specificamente, degli artt. 97 e 98 del D.P.R. 309/90, evidenziandosi che tale attività è stata legittimamente eseguita e non, come invece ritenuto dalla Corte distrettuale, svolta in modo tale da indurre i trafficanti e la fonte alla commissione di reati in materia di stupefacenti da essi non voluti né, ancor meno, ideati: dall’analisi delle varie operazioni emerge in modo inequivocabile – contrariamente a quanto affermato dalla Corte distrettuale – che gli agenti sotto-copertura hanno agito interponendosi in una attività in corso spontaneamente ideata ed organizzata dai narcotrafficanti, con il solo lodevole intento di stroncare il canale di traffico proveniente da Stati esteri, peraltro assai poco collaborativi a livello delle Polizie interne con l’autorità italiana e procedere alla individuazione di canali di approvvigionamento italiani per poi trarre in arresto i singoli trafficanti in Italia (il riferimento è in particolare, alle operazioni denominate “CEDRO 1”, “CEDRO”, “HOPE” ed “UPS” – v. pag. 32 del ricorso).
Vengono, in questo senso, censurate le motivazioni rese dalla Corte di merito per confermare la illiceità delle varie operazioni sulla base di alcune gravi lacune metodologiche di tipo investigativo che in realtà dovevano qualificarsi come errori di metodo certamente non indice di dolo, ma a tutto voler concedere, di colpa non punibile in relazione alla natura (dolosa) del reato di cui all’art. 73 L. Stup.
1.12-4 I motivi quinto, sesto e settimo, dedicati, in modo più analitico, alle singole operazioni, contengono riferimenti specifici ad alcuni aspetti trascurati dalla Corte di merito ma assolutamente rilevanti nell’economia della complessa vicenda.
In particolare vengono affrontati – con dovizia di argomentazioni – i temi relativi alla insussistenza dell’elemento materiate del reato (che fa Corte di merito ha inteso circoscrivere alla condotta di importazione per la quale ha ritenuto essere sufficiente il dolo generico), versandosi in materia di reato impossibile in quanto l’importazione non era finalizzata alla messa sul mercato della droga proveniente dall’estero (anche perché era continuamente sotto osservazione il percorso successivo alla importazione in Italia controllata da altri Ufficiali dell’Erma negli appositi spazi doganali ove la droga transitava), ma serviva solo per risalire ai canali di traffico.
Viene sviluppato il tema non solo delta scriminante ex artt. 97 e 98 D.P.R. 309/90 anche in correlazione con le modifiche normative apportate dalla Legge 146/06 che ha esteso l’ambito di operatività degli agenti sotto copertura a condotte in astratto non consentite come l’attività di cessione; ma anche quello delta scriminate putativa ex art. 59 comma 4 cod. pen. sia in riferimento alla scriminante speciale sia in riferimento alla scriminante comune di cui all’art. 51 cod. pen.
Viene fatto specifico riferimento soprattutto sotto il profilo della contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione – alla opposta soluzione adottata dal Tribunale di Bergamo (poi confermata dalla Corte distrettuale) nei confronti del coimputato separatamente giudicato Dott. Mario CONTE, prosciolto da ogni accusa con riferimento a tutte le singole operazioni, per carenza dell’elemento soggettivo del reato in applicazione delta scriminante putativa, sottolineandosi, al riguardo, l’assoluta anomalia di una decisione nella quale, a fronte di un comportamento ritenuto legittimo da parte del magistrato che impartiva le varie regole da seguire nella impostazione ed organizzazione delle singole attività sotto-copertura, veniva invece ritenuto illegittimo il comportamento dei vari Ufficiali di P.G. che non avevano fatto altro che (e)seguire le regole impartite dal magistrato ed attenersi agli ordini.
In questo senso viene fatto riferimento esplicito sia alla carenza dell’elemento oggettivo dei singoli reati di cessione, sottolineandosi che non solo la condotta di importazione andasse qualificata come reato impossibile, ma che in ogni caso si trattava di condotta prova di offensività giuridica, al pari della condotta successiva di cessione (che la Corte territoriale ha comunque ritenuta assorbita nella condotta prodromica di importazione); sia alla carenza dell’elemento soggettivo del reato ed alla erronea applicazione della legge penale in tema di mancata applicazione della esimente putativa. Viene, in questo senso, ribadito il concetto che gli eventuali errori – anche gravi – di metodo commessi dagli agenti sotto-copertura non possono assurgere ad elementi di reità, occorrendo pur sempre per le condotte contestate il dolo, per di più nella forma eventuale e comunque, specifico e non generico, come invece erroneamente ritenuto dalla Corte distrettuale.
Errata anche la definizione attribuita dalla Corte di merito alla condotta di importazione come “reato di pericolo”, in quanto la condotta posta in essere dai singoli militari non ha posto in pericolo alcunché, risultando sempre sotto il diretto controllo di altri Ufficiali superiori.
RICORSO OBINU
1.13. La difesa del ricorrente OBINU Mauro prospetta cinque Con il primo, riferito alle operazioni rispettivamente denominate “HOPE”, “COBRA” e “LIDO”, la difesa lamenta vizio di motivazione per carenza assoluta e contraddittorietà, in relazione al fatto che nessuna delle varie testimonianze addotte dalla difesa ovvero dal Pubblico Ministero utilizzabili in favore del ricorrente è stata presa in considerazione dalla Corte territoriale che ha, invece, fondato il convincimento per la conferma della penale responsabilità su una serie di elementi e/o considerazioni apodittiche consistenti, in particolare, nell’asserire che l’OBINU, quale comandante del Reparto, non poteva non sapere cosa facessero i militari a lui sottoposti in grado ed ancora che avrebbe dovuto essere l’imputato a verificare in prima persona le varie informative inviate di volta in volta alla DCSA; che egli aveva gli strumenti per effettuare simili verifiche; che dall’atto di appello non emergeva quali fossero le altre operazioni “importanti” che impegnavano l’OBINU nella sua attività e che il Comandante del reparto doveva garantire la direzione, il coordinamento ed il controllo delle singole operazioni.
La difesa del ricorrente, nel passare in rassegna le singole operazioni (“HOPE”, “COBRA” e “LIDO”), evidenzia i contenuti delle testimonianze rese da numerosi Ufficiali e Militari dell’Arma (il riferimento è ai testi Gen. MORI, al Col. PARENTE, al Cap. DE CAPRIO, al Cap. DE DONNO, al Cap. ANGELOSANTO, al magg. PATICCHIO, a TALARICO, POLIDORI, CREMONINI, CITERA, PERONI ma anche alle dichiarazioni dei coimputati LOVATO, FISCHIONE, PALMISANO e LEONE), dalle quali emerge la prova che l’OBINU non aveva a quell’epoca (anche per come era organizzato il reparto di Crlmlnalità Organizzata comandato dall’OBINU che a quell’epoca rivestiva il grado di maggiore) compiti di direzione e controllo delle operazioni antidroga come, di contro, ritenuto dalla Corte distrettuale e che egli, al più, effettuava solo un controllo formale sulle varie attività poste in essere dai suoi sottoposti e sovente che erano altri – e non l’OBINU – a sovraintendere a tali operazioni.
Secondo le testimonianze di cui sopra, non prese in considerazione dalla Corte di merito (e tanto meno dal Tribunale), l’OBINU veniva informato delle varie operazioni “de relato”.
Viene anche sottolineata la circostanza – tralasciata dalla Corte territoriale – secondo la quale l’OBINU nella sua prima permanenza al reparto di nuova istituzione (il R.0.S. era sorto, come riferito dal teste Gen. MORI, nel 1991) e per circa un biennio (dal 1992 al 1993) faceva parte del Reparto di criminalità organizzata: in tale veste i suoi compiti erano quasi esclusivamente assorbiti da attività dirette a contrastare la criminalità organizzata di tipo mafioso (o ad esso equivalente come la ‘ndrangheta) e solo in minima parte il settore del narcotraffico.
Secondo le distinzioni gerarchiche, erano altri Ufficiali a sovraintendere di fatto a quel settore ovvero erano altri Ufficiali di grado equivalente all’OBINU o appena inferiore, ad occuparsi di quel settore al quale esso OBINU sovraintendeva, ma in via del tutto generale senza curarsi della direzione materiale delle operazioni: con la conseguenza che le attività di importazione e successiva consegna a terzi trafficanti italiani della droga importata dall’estero non era affatto da lui diretta o coordinata, venendone egli informato dai vari sottoposti e – sulla base del principio dell’affidamento che lo induceva a ritenere quelle operazioni del tutto regolari – avallata in relazione alle specifiche attività svolte da altri.
Nell’ambito di tale motivo la difesa evidenzia una specifica contraddittorietà in cui è incorsa la Corte di merito laddove per altra operazione (denominata “CEDRO”) il Tribunale di Milano ha assolto il coimputato, separatamente giudicato, Dott. Mario CONTE per insussistenza del fatto, senza che la Corte di Appello, con riferimento alla posizione dell’OBINU nell’ambito del presente procedimento abbia tenuto conto di ciò.
Con riferimento, poi, alla operazione “COBRA”, la difesa dell’OBINU sottolinea la circostanza, non adeguatamente valutata dalla Corte di Appello, che l’OBINU dall’l marzo 1994 non si interessò più dell’attività antidroga avendo preso il suo posto l’allora Ten. Col. GANZER (odierno coimputato e ricorrente) e che la esclusiva ed assorbente attività dell’OBINU da quel momento venne dedicata al contrasto alla criminalità mafiosa.
Tali circostanze emergono, secondo la prospettazione difensiva, anche dalle dichiarazioni rese dal P.M. di Milano Dott. Armando SPATARO che riferiva di una attività di coordinamento e direzione solo da parte del Ten. Col. (oggi Gen.) GANZER.
Ciò costituisce la riprova dell’assoluta mancanza di apporto causale da parte dell’OBINU alla operazione “COBRA”. Con riferimento, infine, alla operazione “LIDO”, la difesa denuncia il difetto di motivazione in relazione alla mancata valutazione, in violazione del disposto di cui all’art. 192 cod. proc. pen. delle numerosissime testimonianze rese dagli Ufficiali dell’ARMA (Gen. MORI, Magg. PATICCHIO, Cap. DE CAPRIO, cap. ANGELOSANTO, Col. PARENTE) che escludono che in relazione alla detta operazione l’OBINU impartisse direttive.
1.13-1 Con il secondo motivo la difesa – al pari di quanto già prospettato dalle difese degli imputati ricorrenti LEONE, PALMISANO, FISCHIONE, ARPA, LOVATO, BENIGNI, SCALISI – lamenta la contraddittorietà della motivazione in punto di mancata applicazione della scriminante putativa ex art. 59 comma 4° cod. pen., sottolineando ulteriori contraddittorietà con riferimento alla operazione “CEDRO” nell’ambito del parallelo processo a carico dell’imputato Dott. Mario CONTE (prosciolto perché il fatto non costituisce reato in applicazione della detta scriminante putativa riferita agli artt. 97 e 98 D.P.R. 309/90).
1.13-2 Il terzo motivo, connesso al precedente, è incentrato sulla carenza della motivazione in punto di mancato riconoscimento della scriminate putativa, sottolineandosi come dagli atti emergeva la prova che l’OBINU avesse agito nella piena convinzione che l’operato dei suoi sottoposti fosse legittimo in nome del principio dell’affidamento.
1.13-3 Il quarto motivo – analogo al quindicesimo motivo proposto nell’interesse del ricorrente SCALISI – concerne, invece, l’inosservanza della legge penale in punto di ritenuta sussistenza da parte della Corte territoriale dell’elemento soggettivo del reato per il delitto di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90 in termini di mero dolo generico, laddove una tale conclusione poteva essere giustificata in costanza della precedente legge 49/06 che aveva modificato l’assetto del reato di cessione di detenzione di sostanza stupefacente, poi travolta dalla pronuncia n. 32/14 della Corte Costituzione con la quale era stata data vigenza al testo precedente alla L. 49/06, net quale si faceva riferimento – secondo la giurisprudenza dominante – al dolo specifico di spaccio.
1.13-4 Con il quinto – ed ultimo – motivo, la difesa lamenta inosservanza della legge penale (artt. 81 e 133 cod. pen.) e vizio di motivazione per assoluta carenza e manifesta illogicità in punto di quantificazione della quota di aumento nella misura di mesi sei di reclusione per il reato di cui al capo E2 rispetto alla pena base per il reato (più grave) di cui al capo F1, effettuata senza l’esposizione delle ragioni di tale aumento oltretutto ritenuto eccessivo.
RICORSO GANZER
1.14. La difesa del ricorrente Giampaolo GANZER propone dieci motivi che possono essere sintetizzati nel modo che segue.
Con il primo si deduce l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità relativamente alla competenza territoriale (dalla Corte distrettuale, individuata erroneamente nella Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano e non di Roma come sollecitato dalla difesa), nonché carenza di motivazione e manifesta illogicità. Gli argomenti svolti a sostegno del detto motivo ricalcano quelli già esposti dalle difese dei ricorrenti SCALISI, FISCHIONE, PALMISANO, LEONE, LOVATO, ARPA, BENIGNI e LAZZERI ZANONI.
1.14-1 Con il secondo motivo viene dedotta l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità ex artt. 191, 234. 235, 238 e 431 cod. proc. pen. con specifico riferimento alle acquisizioni probatorie disposte dal Tribunale con le ordinanze del 30 marzo 2006 e 21 giugno 2006 (in questa sede espressamente impugnate), confermate dalla Corte territoriale e carenza di motivazione sul punto.
Anche in questo caso si tratta di argomenti analoghi a quelli già sviluppati dalle difese dei ricorrenti SCALISI (secondo motivo); FISCHIONE, PALMISANO e LEONE (quarto motivo) e LOVATO, ARPA, BENIGNI e LAZZERI ZANONI (secondo motivo), con specifico riguardo alle acquisizioni di documenti facenti parte di altri procedimenti acquisiti nel presente procedimento sulla base di una errata in interpretazione estensiva dei concetti di cose costituenti corpo di reato ovvero di cose pertinenti al reato.
1.14.2 Con il terzo motivo si deduce vizio di omessa motivazione sulla richiesta di parziale rinnovazione dell’istruzione dibattimentale. In particolare la difesa si duole della mancata assunzione, in riferimento alla genesi dell’operazione denominata “COBRA”, dei testi Alfredo POLIDORI, Francesco COLLIA e Giovanni DE LUCA (tutti sottufficiali dell’Arma) nel corso del giudizio di primo grado, a suo tempo sollecitata ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen. e reiterata ai sensi dell’art. 603 stesso codice nel corso del giudizio di appello. Ancora, doglianze similari vengono sollevate in riferimento alla mancata audizione dei testi Augusto Maria GIULIODORI (segretario presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Pescara) e COSTANTINI (anch’egli sottufficiale dell’Arma): in particolare la difesa lamenta l’assoluto difetto di motivazione e comunque, la manifesta illogicità per avere la Corte di merito ritenuto superflue tali prove.
1.14-3 Con il quarto motivo si lamenta l’erronea applicazione della legge processuale penale e la manifesta illogicità della motivazione in punto di valutazione degli elementi di responsabilità relativamente alle imputazioni di cui ai capi Fl ed F2 riguardanti l’operazione “COBRA” ed i ritenuti collegamenti con la procedente operazione “HOPE”.
Un particolare accenno viene effettuato in riferimento alla testimonianza del Pubblico Ministero di Milano Dott. Armando SPATARO (teste ritenuto dalla Corte del tutto indifferente e del tutto affidabile in merito al ruolo ricoperto dall’imputato GANZER).
Viene poi censurata la motivazione della Corte distrettuale per avere omesso di accertare il contributo causale apportato dall’imputato all’intera operazione che si assume illecita, consistita nella illegale importazione di droga, risultando carente l’elemento – non valutato da parte del giudice di appello – sia oggettivo che soggettivo.
1.14-4 Con il quinto motivo la difesa lamenta inosservanza delle norme penali processuali e sostanziali in riferimento alle condotte relative alla operazione “LIDO” in ordine alle quali il giudice di appello ha dichiarato la prescrizione dei reati: si tratta – per quanto riguarda la posizione del ricorrente GANZER – dei delitti concernenti le armi per i quali, secondo la prospettazione difensiva, esistevano elementi incontrovertibili che dimostravano in modo evidente l’insussistenza dei reati, anche in relazione al proscioglimento dal connesso reato di importazione di stupefacenti sicché la formula di proscioglimento da adottare sarebbe dovuta essere quella di cui all’art. 129 cod. proc, pen.
1.14-5 Sostanzialmente analogo il sesto motivo riferito alle condotte relative alla operazione “SHIPPING” per le quali la Corte territoriale ha ritenuto confermata la penale responsabilità, pervenendo però ad una declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione.
1.14-6 Con il settimo motivo, ancor più articolato dei precedenti, la difesa lamenta l’inosservanza delle leggi penali e processuali penali in punto di conferma della penale responsabilità in ordine alla condotta di importazione afferente alla operazione “CEDRO 1” (capo Gl), nonché per i rimanenti reati afferenti alla medesima operazione per i quali è intervenuta declaratoria di estinzione per prescrizione: la Corte di merito, secondo la tesi difensiva, è incorsa in palesi contraddizioni ed in vistose omissioni con riferimento alla mancata valutazione delle prove a discarico indicate minuziosamente nell’atto di appello.
Si evidenzia nel detto motivo l’assoluta legittimità da parte dell’imputato delle attività da lui poste in essere sottolineandosi come sovente egli sia stato tratto in errore dal comportamento dei suoi subordinati.
1.14-7 Con l’ottavo motivo la difesa lamenta la mancata applicazione da parte della Corte territoriale della scriminante putativa in riferimento alla causa di giustificazione di cui agli artt. 97 e 98 del D.P.R. 309/90, applicata, invece, nei confronti del Dott. Mario CONTE nell’ambito del parallelo processo a suo carico: ma si lamenta, anche, l’erronea applicazione della legge penale nella parte della sentenza nella quale non è stato tenuto conto del riferimento contenuto nell’art. 97 del D.P.R. 309/90 all’art. 51 del cod. pen. rispetto al quale la scriminante di cui al ricordato art. 97 costituisce una causa di giustificazione speciale.
Altrettanto erronea viene considerata la decisione della Corte distrettuale laddove ha ritenuto che l’errata interpretazione dei contenuti di cui ai ricordati artt. 97 e 98 dal parte dell’imputato si risolvevano in un ingiustificabile errore di diritto ex art. 5 cod. pen. come tale non scriminabile.
1.14-8 Il nono motivo presenta sostanziali analogie con il quarto motivo del ricorso OBINU e con il quindicesimo motivo del ricorso SCALISI e riguarda, specificatamente, l’erronea applicazione della legge penale in punto di sussistenza dell’elemento psicologico del reato di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90 in riferimento alla condotta di importazione per la quale la Corte territoriale ha ritenuto sufficiente il dolo generico laddove – anche per effetto della sentenza n. 32/14 della Corte Costituzionale che ha ripristinato il testo del previgente art. 73 D.P.R. 309/90 – deve ritenersi necessario il dolo specifico di spaccio.
1.14-9 Con il decimo – ed ultimo – motivo la difesa si duole del mancato avviso di deposito della sentenza emessa oltre il termine iniziale dei novanta giorni e dunque la violazione dell’art. 548 comma 2 cod. proc. pen. sottolineandosi che la proroga concessa dal Presidente del Tribunale ai sensi dell’art. 154 comma 4 bis Disp. Att. Cod. proc. pen. non può in ogni caso sostituire l’avviso di deposito trattandosi di un provvedimento interno destinato al magistrato redattore della sentenza.
1.15. In data 6 maggio 2015 la difesa del ricorrente GANZER ha depositato motivi nuovi con i quali, nel richiamare tutti gli argomenti sviluppati con il ricorso principali, ripercorre le varie operazioni “HOPE” (con riferimento alla partecipazione al cambio del denaro in Svizzera); “COBRA” (in riferimento alla asserita consapevolezza da parte dell’imputato a tale operazione pur non avendovi preso parte); “LIDO” (in riferimento alla quale è stata dichiarata l’improcedibilità per prescrizione, impugnata dal GANZER il quale non aveva partecipato a tale operazione, mentre per la parte relativa alle armi il Tribunale aveva affermato la colpevolezza dell’imputato poi venuta meno per effetto della prescrizione pronunciata dalla Corte territoriale); “SHIPPING” (in viene fatto cenno alle rogatorie estere in Libano, ribadendosi l’assenza di adesione da parte del ricorrente al metodo delittuoso poi ritenuto dai giudici di merito); “CEDRO l” in cui si ribadisce l’intenzione dell’imputato di ottenere il proscioglimento pieno con formula ampiamente liberatoria anche per quelle imputazioni per le quali nella fase di merito era stata dichiarata l’improcedibilità per prescrizione; si rievocano le varie fasi di quella operazione ed i colloqui intercorsi con le autorità giudiziarie inquirenti; si evidenziano le varie operazioni di raffinazione della cocaina in pasta importata dall’estero.
In detta memoria vengono ulteriormente sviluppati gli argomenti difensivi a sostegno della competenza territoriale del Tribunale di Roma, alla luce della intervenuta assoluzione dal reato associativo e ribadite anche le argomentazioni con le quali si censura la mancata applicazione della scriminante putativa (applicata invece per altri soggetti); ancora, vengono riprese le censure in ordine alla mancata considerazione da parte del Tribunale, e di riflesso della Corte distrettuale, nelle informative inviate alla Autorità Giudiziaria ed alla D.C.S.A. (Direzione Centrale Servizi Antidroga) degli aspetti economici della vicenda processuale, insistendo per un generale travisamento delle prove in cui sarebbe incorso il giudice distrettuale.
Viene ripreso il tema riguardante il profilo dell’elemento soggettivo del reato identificato dalla Corte territoriale nel dolo generico ritenuto però insufficiente, da parte delta difesa, ad integrare la fattispecie (occorrendo, invece, il dolo specifico di spaccio), anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 32/14 con la quale è stato ripristinato il testo anteriormente vigente rispetto alle modifiche apportate al D.P.R. 309/90 dalla L. 46/09, poi dichiarata parzialmente incostituzionale. Vengono in ultimo richiamati, per estrema sintesi, gli altri motivi dedotti con il ricorso originario.
2. Disposto un rinvio tecnico dell’udienza del 29 maggio 2015, veniva depositato da parte della difesa dei ricorrenti LOVATO, ARPA, LAZZERI ZENONI e BENIGNI un motivo nuovo in vista della successiva udienza fissata per il 18 settembre 2015 con il quale si allega il volume scritto dall’imputato Dott. Mario Conte (poi assolto nel parallelo processo celebratosi dinnanzi alla Corte di Appello di Milano) dal titolo “”E se tu fossi l’imputato? Storia di un magistrato in attesa di giustizia”.
2.1. Anche l’udienza del 18 settembre 2015 veniva rinviata e differita al 14 gennaio 2016 con prosecuzione al 15 gennaio.
3. Con memoria riepilogativa denominata “Note di udienza” depositata il 29 dicembre 2015, la difesa del ricorrente GANZER reitera per sintesi le argomentazioni sviluppate con riferimento alle operazioni denominate “COBRA”, “LIDO”, “SHIPPING” e “CEDRO l”, concludendo nel senso che, al di là delle violazioni di legge in punto di omessa motivazione, ovvero di travisamento della prova, la Corte territoriale è incorsa in un vizio motivazionale ancora più grave riferibile alla asserita conoscenza (e dunque alla partecipazione) da parte del ricorrente GANZER, dell’impiego di denaro riguardante l’operazione “HOPE”, trattandosi di affermazione di un antefatto erroneamente ritenuto sussistente dalla Corte di merito, che vizia irrimediabilmente tutte le affermazioni successive in punto di responsabilità per le singole operazioni successive. Con la detta memoria la difesa reitera quindi la richiesta di annullamento per estraneità dell’imputato a tutti i fatti contestati e comunque per l’assenza dell’elemento soggettivo del reato.
4. In sede di requisitoria il Procuratore Generale concludeva formulando le richieste di cui al verbale di udienza come riportate nell’epigrafe e depositava note di udienza concernenti alcuni dei punti essenziali oggetto dei ricorsi proposti nell’interesse dei vari imputati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In riferimento ai ricorso proposti nell’interesse di Giampaolo GANZER, Mauro OBINU, Carlo FISCHIONE, Laureano PALMISANO, Costanzo LEONE, Alberto LOVATO e Michele SCALISI, anticipando quelle che saranno le conclusioni cui ha ritenuto di pervenire il Collegio, va dichiarato non doversi procedere nei loro confronti in ordine ai reati residui meglio specificati ai capi B1, El, E2, Fl e Gl, previa riqualificazione delle condotte relative quali violazioni dell’art. 73 comma 5° dell’art. 73 D.P.R. 409/90 come modificato per effetto della L. 10/14 e della successiva legge 79/14, perché estinti i reati per prescrizione. Identica pronuncia va emessa relativamente al ricorso proposto nell’interesse di ZANDA Bruno con riferimento alla imputazione di cui al capo E7. Il ricorso dell’imputato Giampaolo GANZER va rigettato nel resto.
2. Va poi accolto il ricorso proposto nell’interesse di LUCATO Ezio in riferimento al reato sub E4, con conseguente annullamento della sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato. Ed infine, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto nell’interesse di Jean Ajai BOU CHAAYA.
3. Valgono in proposito le seguenti argomentazioni rispetto alle quali ritiene il Collegio di far cenno in punto di fatto e per estrema sintesi, alle varie operazioni condotte dai militari del R.O.5. che vanno sotto il nome di “CEDRO”; “HOPE”; “COBRA”; “LIDO”; “SHIPPING” e “CEDRO l”: ciò appare, quanto meno, utile per comprendere alla luce degli argomenti prospettati dalle varie difese (segnatamente quelle dei ricorrenti GANZER ed OBINU) le ragioni indicate a sostegno dei singoli ricorsi.
4. Nel richiamare quanto meticolosamente esposto al riguardo dalla Corte territoriale si rileva quanto segue.
5. L’operazione denominata “CEDRO” afferisce ai capi B1 e B2 della imputazione contestata agli imputati LOVATO, SCALISI, ARPA, BENIGNI, RINALDI, BOU CHAAYA e LAZZERI ZANONI e costituisce la prima sperimentata dalla Sezione R.O.S. dei CC. di Bergamo i quali si sarebbero avvalsi della collaborazione della O.E.A. (organizzazione statunitense specializzata nel contrasto alla droga), della Polizia libanese e di quella di Cipro: ha avuto per oggetto l’importazione da Cipro di 100 Kg. di hashish e di 4 Kg. di eroina in data 25 agosto 1991, consegnati – quanto a Kg. SO di hashish a tali SPORTELLI Fedele e LUBRANO Vincenzo e – quanto alla eroina – in data 11 ottobre 1991 al trafficante libanese Jean Ajaj BOU CHAYYA e a Tommaso ALOISIO: secondo l’impostazione accusatoria recepita dalla Corte distrettuale, fa droga in questione sarebbe stata importata dal Libano direttamente dai militari del R.O.S. attraverso una fonte procurata dalla D.E.A. ed identificata in tale BERTAMIAN Nicham (indicato come “Michel”, referente dei trafficanti nelle informative inviate dai militari operanti alla D.C.S.A. ed all’Autorità Giudiziaria).
La fonte – secondo quanto emergerebbe dagli atti – si sarebbe dichiarata disponibile, previo compenso, ad inserire nel contesto criminale di riferimento personale del R.O.S. che avrebbe agito sotto copertura, onde pervenire all’arresto dei fornitori e degli acquirenti in modo da smantellare la rete dei trafficanti internazionali.
L’agente sotto copertura avrebbe dovuto provvedere al trasporto, alla importazione, alla custodia ed alla consegna controllata. Emerge dalla nota dei militari del ROS inviata alla DCSA che la fonte si sarebbe approvvigionata direttamente della droga. L’episodio è diffusamente trattato in sentenza impugnata dalla pag. 105 alla pag. 144.
5.1. L’operazione denominata “HOPE” afferisce – per quanto qui rileva – ai capi E2, E3 ed E4 della imputazione (contestati agli imputati OBINU, LEONE, FISCHIONE, LOVATO, ARPA, BENIGNI, SCALISI, PALMISANO, RINALDI, LAZZERI ZANONI e LUCATO (in concorso con il Mario CONTE separatamente giudicato e poi prosciolto in appello) e risulta collegata – secondo l’impostazione recepita dalla Corte distrettuale – all’operazione “UPS”(indicata come una sorta di prova generate della praticabilità del metodo adottato dai militari dell’Arma).
L’operazione in questione sarebbe consistita nella introduzione nel territorio interno di 50 Kg. di cocaina ritirati al Porto di Marina di Carrara in data 31 agosto 1993, sviluppatasi poi in tre distinte consegne (oltre alla consegna di 1 Kg. quale campione, non più recuperato, a tale ALBANESE).
La fonte sarebbe stata identificata in tale Josè che avrebbe prestato la propria collaborazione con i CC., sia provvedendo al reperimento della cocaina che alta sua spedizione, sia, ancora, partecipando alle trattative ed incassando il prezzo pagato dagli acquirenti dello stupefacente. Secondo quanto affermato dal Tribunale (ed avallato dalla Corte distrettuale) la fonte non meglio identificata denominata Josè altri non sarebbe che tate Weston George Martin BERROCAL, emissario dell’organizzazione del trafficanti colombiani. Di tale operazione parla diffusamente la Corte di Milano dalla pag. 145 alla pag. 190.
5.2. L’operazione denominata “COBRA” afferisce ai capi Fl ed F2 (contestati per quanto qui rileva, agli imputati GANZER, OBINU, FISCHIONE, PALMISANO e LEONE) e riguarda l’importazione di una partita di Kg. 213 di cocaina proveniente dalla Colombia in data 21 febbraio 1994. Anche in questo caso si tratta di cocaina spedita in Italia a bordo di una nave, nascosta in sacchi di caffè, e ritirata al Porto di Marina di Carrara dai militari del R.O.S. sulla base di una decreto di ritardato sequestro emesso dal M. di Milano Dott. Armando SPATARO: tale droga era poi stata trasportata a Roma ed era rimasta per molti mesi presso la sede del R.O.S. in attesa di poter effettuare le consegne controllate, che però non avevano avuto luogo stante il provvedimento di distruzione emesso nelle more dal magistrato inquirente.
Anche questa operazione si pone in continuità – secondo quanto è dato leggere nella sentenza impugnata – con l’operazione “HOPE” in quanto la spedizione della droga sarebbe stata finanziata con i proventi di quest’ultima operazione HOPE (il riferimento è al cambio in valuta USA effettuato in Svizzera dall’imputato PALMISANO Laureano, fatto pervenire ai fornitori nel dicembre 1993). Di tale operazione la Corte territoriale parla diffusamente dalla pag. 191 alla pag. 214.
5.3. Le operazioni denominate “LIDO” e “SHIPPING” (i cui reati sono stati dichiarati estinti per intervenuta prescrizione) afferiscono rispettivamente alte imputazioni di cui ai capi Cl, C2 e C3 contestate, per quanto qui rileva, agli imputati GANZER, OBINU, FISCHIONE, PALMISANO, LOVATO, ARPA, BENIGNI, RINALDI, e BOU CHAAYA (operazione “LIDO”), aventi per oggetto l’importazione dal Libano di 1.000 Kg. di hashish e di armi costituite da mitra kalashnikov, lanciamissili, missili e munizioni trasportati a bordo della M/n Bisanzio, proveniente da Beirut e giunta al porto di Ravenna il 9 dicembre 1993, occultate in un container indirizzato ad un soggetto portante il nome di copertura “FERRARI PAOLO”. Tali cose venivano acquisite da LOVATO, RINALDI e altri militari del ROS – CC. di Bologna sulla base di un decreto di ritardato sequestro emesso dal P.M. di Bergamo e trasportate a Bologna dove stazionavano in un deposito del Center Gross. Le relativa consegne venivano frazionate in tempi e luoghi diversi e destinate a soggetti diversi tra il febbraio ed il maggio 1994. Tate operazione si sarebbe sviluppata grazie all’intervento del trafficante collaboratore di giustizia Jean Ajaj BOU CHAYYA che aveva curato dal Libano il procacciamento e la spedizione con l’ausilio di soggetti asseritamente appartenenti alla Polizia libanese (in realtà si trattava di complici del BOU CHAYYA), mentre gli acquirenti erano stati ricercati dai militari del ROS con l’ausilio di Biagio ROTONDO (un collaboratore di giustizia successivamente suicidatosi).
Anche in questo caso erano intervenuti militari del R.O.S. che agivano sotto-copertura, mentre il referente dei trafficanti indicato con il nome “Antoine” altri non era che il BOU CHAYYA: di tale operazione parla diffusamente la Corte dalla pag. 215 alla pag. 222.
Quanto alla operazione “SHIPPING” (figurante nei capi 01 e D2, contestati agli imputati GANZER, PALMISANO, LOVATO, ARPA, RINALDI e BOU CHAAYA – reati, anche questi, dichiarati prescritti) anche essa riguarda l’importazione dal Libano di Kg. 1740 di hashish trasportati a bordo delta M/n Adriatic Queen, giunta al Porto di Ravenna, proveniente da Beirut, il 28 settembre 1994.
La droga (oggetto di un decreto di ritardato sequestro), era poi stata ceduta a soggetti diversi. Sarebbe stato il BOU CHAYYA, di intesa con il LOVATO, a reperire la droga in Libano organizzando, poi, l’invio in Italia avvalendosi del generale libanese SLIM Salim. L’emissario viene indicato in tale GASSAN non identificato: di tale operazione la Corte parla dalla pag. 222 alla pag. 225.
5.4. L’operazione “CEDRO l”afferisce al capo Gl (contestato agli imputati GANZER, PALMISANO, LOVATO, ARPA, BENIGNI, LAZZERI ZENONI e BOU CHAAYA in concorso con Mario CONTE, separatamente giudicato e assolto in appello) e comprende undici episodi di importazione dalla Colombia di cocaina (per circa 190) e di pasta di cocaina (per circa 81 Kg.) da raffinare successivamente e risale ad un periodo compreso tra il 28 ottobre 1995 e il settembre 1997.
Secondo la ricostruzione operata dalla Corte distrettuale lo stupefacente era occultato in valigie che arrivavano all’aeroporto di Roma- Fiumicino e in un caso a quello di Milano-Malpensa e ritirate – con decreto di ritardato sequestro – dal M.llo ARPA (agente sotto copertura). La droga veniva trasportata o in appartamenti presi in affitto dai militari del R.O.S. ovvero a Rosciano dove era stata impiantato un laboratorio per la raffinazione della pasta di cocaina. Di tale operazione tratta diffusamente la sentenza da pag. 225 a pag. 255.
6. Come è agevole ricavare dal testo della sentenza impugnata, si tratta di una serie di importanti operazioni che prevedevano l’importazione in Italia di rilevantissimi quantitativi di droga sia già trasformata, sia in pasta, con la recondita finalità di indurre all’acquisto trafficanti italiani sulla base di contatti intercorsi con personaggi esteri coinvolti nel traffico internazionale di stupefacenti, per poi pervenire alla loro individuazione ed al loro arresto e così stroncare il traffico illecito di stupefacenti in Italia.
6.1. A tali operazioni, secondo quanto è dato desumere dalla sentenza impugnata, avrebbero preso parte numerosi militari del neonato reparto Operativo Speciale dei Carabinieri avente sede in Roma e diramazioni presso i vari Comandi territoriali di città Italiane (per quanto qui rileva, Bergamo e Roma).
7. Tanto precisato in punto di fatto, si ritiene di esaminare in via prioritaria le posizioni dei ricorrenti Jean Ajaj BOU CHAYYA, Bruno ZANDA e Ezio LUCATO in quanto i ricorsi da costoro proposti contengono motivi esaminabili per ragioni diverse rispetto a quelli degli altri ricorrenti.
Ricorso BOU CHAAYA
8. Il ricorso del suddetto imputato va dichiarato inammissibile sia per la sua manifesta infondatezza che per la genericità dei motivi a sostegno.
9. Il BOU CHAYYA è chiamato a rispondere del residuo reato di cui al capo G 1 per il quale lo stesso ha riportato, con la sentenza impugnata, la condanna alla pena (ridotta in appello) di anni undici e mesi quattro di reclusione ed € 000,00 di multa, oltre le pene accessorie di legge: nel capo Gl che si riferisce alla operazione denominata “CEDRO l” (capo di imputazione che comprende anche i nominativi dei ricorrenti GANZER, LOVATO, ARPA, BENIGNI e LAZZERI ZANONI sui quali v. postea), viene addebitato all’imputato di aver svolto attività di intermediazione nella organizzazione da parte degli altri imputati di numerosi episodi di importazione di cocaina raffinata e in pasta proveniente dalla Colombia per quantitativi assai rilevanti in un arco temporale compreso tra il 28 ottobre 1995 (primo episodio di importazione avvenuto all’aeroporto di Roma Fiumicino) ed il 3 settembre 1997 (ultimo episodio verificatosi sempre a Roma-Fiumicino) con una “puntata” in data 30 luglio 1996 all’aeroporto di Milano Malpensa.
9.1 Viene altresì addebitata nello stesso capo di imputazione la condotta di trasporto e detenzione di quantitativi di cocaina per importi considerevoli (si tratta, in particolare, di distinti episodi verificatisi tra il 3 novembre 1995 in Montesilvano e il 5 settembre 1997 in Tortoreto ed infine, la condotta di raffinazione della cocaina in pasta importata dalla Colombia in Rosdano tra il 10 agosto 1996 e l’11 settembre 1997.
9.2 Ciò precisato, con il primo motivo la difesa del ricorrente BOU CHAAYA lamenta l’erronea applicazione della legge penale in relazione alla ritenuta appartenenza di costui all’organizzazione criminale contestata al capo A): va aggiunto, a tale riguardo, che il BOU CHAAYA venne tratto in arresto in occasione di una consegna controllata di un rilevante quantitativo di eroina per 4 circa (si tratta dell’episodio contestato al capo B2 riferentesi alla operazione denominata “CEDRO” che vede il BOU CHAAYA destinatario di un quantitativo di eroina del peso di circa 4 kg. proveniente da Cipro verificatosi 1’11 ottobre 1991).
9.3 La censura è palesemente destituita di fondamento in quanto la Corte di Appello, nel confermare l’intervenuta assoluzione dal reato associativo originariamente contestato al capo A), ha ribadito il ruolo del BOU CHAAYA individuato in una continuativa condotta – separata ed autonoma – posta in essere dallo stesso e concretizzatasi in una serie di traffici di stupefacenti che gli avevano fruttato numerosi e consistenti benefici economici. Vero è che la Corte distrettuale ha dato atto del fatto di una collaborazione da parte del BOU CHAAYA con i Carabinieri del R.O.S. nell’intento di scoprire altri responsabili in Italia del traffico internazionale di stupefacenti.
Ma ciò non ha impedito all’imputato di operare comunque per conto proprio, verosimilmente agevolato da quella “libertà” concessagli per via del rapporto collaborativo con il Reparto Speciale dei Carabinieri, provvedendo in proprio ad attività di traffico di stupefacenti consistentemente remunerate.
9.4 Afferma, infatti, la Corte territoriale a pag. 227 che l’imputato, oltre a ricoprire il ruolo di “fonte”, aveva organizzato in proprio una serie di importazioni prendendo contatti con i trafficanti colombiani sia in modo diretto che tramite altri soggetti (mai identificati), anche questi entrati in Italia per effettuare le consegne di droga precedentemente concordate. La Corte di merito, nel riconoscere l’importanza del ruolo del BOU CHAAYA, ricostruisce meticolosamente i vari passaggi della vlcenda, iniziando da un appunto redatto in data 31 marzo 1994 dall’odierno ricorrente LOVATO (appartenente al R.O.S. di Bergamo) ed indirizzato all’allora Ten. Col. GANZER, avente per oggetto una richiesta di visto di ingresso del BOU CHAAYA in Italia per consentirgli entrare in contatto con trafficanti per l’acquisto simulato di stupefacente.
La Corte di Milano, nel ricostruire il ruolo del BOU CHAAYA evidenzia quella situazione di sostanziale “libertà di movimenti” che consentiva a questi di cercare gli acquirenti e partecipare alla gran parte delle cessioni di stupefacenti indicate nel capo di imputazione Gl (episodi che vanno dal 1 al n. 16), ma soprattutto di operare in proprio.
Elementi in tal senso la Corte li ha ricavati da una nota del D.C.S.A. tramessa via telefax il 3 gennaio 1995 e indirizzata al R.O.S. di Roma in cui si fa riferimento ad una operazione di trasporto e cessione di un quantitativo di Kg. 25 di eroina rientrante nel quadro di una più ampia attività in proprio del BOU CHAAYA, approfittando dei numerosi visti di ingresso in Italia che gli permettevano di operare ivi tranquillamente. Questo viene indicato dalla Corte di Milano come sicuro partecipe (sulla basi di elementi inoppugnabili desunti da prove dichiarative e riconoscimenti fotografici del detto imputato) alle varie operazioni organizzate dagli altri coimputati.
9.5 Non può, quindi, definirsi carente sotto il profilo della manifesta illogicità, l’affermazione della Corte distrettuale di una attività continuativa “doppia” del BOU CHAAYA che, oltre a rivestire rispetto ai militari del R.O.S. ed alla stessa Autorità giudiziaria il ruolo di “fonte”, organizzava in proprio e numerose volte (la Corte giunge a parlare di un anno intero – pag. 254) operazioni dì importazioni e cessioni fino a essere oggetto di un provvedimento di fermo a Cipro il 23 settembre 1997, unitamente al complice AYROUT, in occasione del quale entrambi erano stati colti, prima di imbarcarsi in un volo diretto a Zurigo, in possesso di passaporti falsi e di ben un miliardo di lire in contanti costituiti da diverse valute. E risulta anche che mai il BOU CHAAYA, nonostante queste attività “parallele” del tutto illecite organizzate per suo conto fosse mai stato arrestato, nemmeno dopo il fermo a Cipro.
9.6 D’altro canto, a leggere le censure contenute nel primo motivo dì ricorso, si rileva agevolmente che sì tratta di doglianze in fatto miranti ad una diversa ed alternativa ricostruzione dei fatti rispetto a quelli meticolosamente ricostruiti dal giudice distrettuale, di cui fa persino cenno la difesa del ricorrente, condividendo quanto affermato sul punto dal giudice di appello.
10. Assolutamente generico il secondo motivo, così come il terzo, in cui si censurano, ma con argomentazioni non solo vuote di contenuto ma in palese contrasto con i dati raccolti ed esaminati con cura dai giudici di merito, le dichiarazioni di altri collaboratori di giustizia tacciate di palese inattendibilità (il riferimento è al ROTONDO ed allo ZANDA): illuminanti, al fine di dimostrare la palese inconsistenza e genericità del motivo, le argomentazioni sviluppate alle pagg. 10 e 11 del terzo motivo di ricorso, con le quali, ancora una volta, si coglie il tentativo di offrire una versione diversa, per dì più implausibile sotto il profilo logico, rispetto a quella resa dai giudici di merito sulla base, oltretutto, di dati assolutamente inequivoci.
11. Considerazioni non dissimili sotto il profilo della genericità e della alternatività della ricostruzione in fatto valgono per il quarto motivo in cui si censura la decisione impugnata sotto il duplice profilo dell’erronea applicazione della legge penale e della manifesta illogicità della motivazione, con riferimento all’elemento soggettivo del reato. Peraltro la Corte di Appello, nel valutare la posizione del BOU CHAAYA ha verificato con estremo rigore logico, oltre che in coerenza con il dato normativo, l’elemento relativo al dolo del reato, ribadendo la piena consapevolezza dell’odierno ricorrente nella sua partecipazione al delitto.
12. Palesemente infondato, infine, il motivo dedicato alla pretesa manifesta illogicità e contrarietà alla norma (art. 133 cod. pen.) in punto di determinazione della pena, oltretutto sensibilmente ridotta dalla Corte In questo senso non possono che essere richiamate le puntuali considerazioni della Corte distrettuale circa la quantificazione della pena commisurata alla particolare gravità dei fatti incentrata sul quel “doppio ruolo” del BOU CHAAYA che incide in modo assolutamente negativo, come ricordato dalla Corte di merito nella determinazione della pena. Del tutto generiche anche le censure sollevate con riferimento alla quantificazione degli aumenti per ta continuazione per i quali si invoca un contenimento nei minimi senza peraltro apportare alcuna argomentazione utile.
13. Anche le richieste conclusive di rinnovazione della istruzione dibattimentale (richiesta ovviamente non esaminabile dalla Corte di legittimità, non mancando di osservare che in ogni caso le censure rivolte circa una del tutto paventata violazione delle regole processuali di cui all’art. 603 cod. proc. pen. sono del tutto inconsistenti) e di accoglimento dell’eccezione di incompetenza territoriale (anche questa censura del tutto immotivata, non senza aggiungere come sul punto la Corte territoriale abbia risposto in modo adeguato alla analoga censura sollevata in grado di appello, ribadendo la competenza territoriale del Tribunale di Milano ex art. 11 cod. proc. pen.) sono manifestamente infondate e del tutto generiche. In particolare, con riferimento alla menzionata eccezione di incompetenza in favore del Tribunale di Venezia, già la Corte di Appello, con motivazione ineccepibile sul piano logico oltre che strettamente processuale, aveva ritenuto non solo la manifesta infondatezza dell’eccezione ma soprattutto la sua assoluta genericità e la sostanziale eccentricità rispetto al thema decidendum net senso che nessun collegamento era dato cogliere in ordine alle ragioni dello spostamento della competenza dal Tribunale di Milano a quello di Venezia. Il giudizio espresso al riguardo dalla Corte distrettuale (vds. pag. 94 della sentenza impugnata) va ancor più ribadito in questa sede in cui l’eccezione viene formulata nelle conclusioni del ricorso priva di argomenti e sempre senza alcun riferimento né logico, né fattuale, circa le ragioni della competenza del Tribunale di Venezia.
14. In conclusione il ricorso del BOU CHAAYA va dichiarato inammissibile: consegue la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali nonché al versamento della somma ritenuta congrua di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, trovandosi in colpa il ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
Ricorso ZANDA
15. Come accennato in premessa, il ricorso dello ZANDA si svolge su due fronti e sostanzialmente afferisce a presunte, manifeste illogicità oltre che a carenze motivazionali soprattutto sul punto attinente al mancato riconoscimento della circostanza attenuante speciale di cui al comma settimo dell’art. 73 D.P.R. 309/90.
16. Va, anzitutto, ricordato – circostanza che acquista una specifica rilevanza in questa sede per quanto si osserverà in prosieguo – che allo ZANDA era stato contestato (e tale contestazione è rimasta invariata avendo egli riportato condanna per il delitto di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90 contestatogli al capo E7) l’illecito acquisto di 300 di cocaina per un corrispettivo di E. 20.000.000 dell’epoca commesso in epoca antecedente e prossima al 22 settembre 1993. Per tale fatto lo ZANDA aveva riportato in primo grado, previo riconoscimento della circostanza attenuante speciale di cui al comma 5° dell’art. 73 L. Stupefacenti e delle circostanze attenuante generiche prevalenti sulla recidiva, la condanna (poi confermata in appello) alla pena di anno uno e mesi sei di reclusione ed € 2.000,00 di multa.
17. Ciò detto e ritornando al tema che forma l’oggetto del primo motivo di ricorso, secondo la prospettazione difensiva la collaborazione prestata dallo ZANDA all’Autorità inquirente ed alle forze di Polizia sarebbe stata di livello tale da rientrare nel paradigma normativo di cui al comma 7° dell’art. 73 P.R. 309/90 anche in relazione alle modalità di tale collaborazione, costante nel corso degli anni e semmai asseritamente impedita per il raggiungimento di un livello più elevato a causa degli ostacoli frapposti da militari del R.O.5. di Bergamo.
17.1 Sembra utile, allora, prima di esaminare più dettagliatamente le motivazioni offerte sul punto dalla Corte di Appello, riepilogare le linee fondamentali riguardanti tale specifica attenuante ed i criteri elaborati da questa Corte Suprema per la sua applicazione concreta.
17.2 Tale circostanza si colloca in uno spazio più avanzato della mera collaborazione informativa, di guisa che il comportamento operoso da prendere in considerazione è quello che consente la realizzazione di uno dei risultati concreti previsti dalla citata norma e, più in particolare, di interrompere la catena delittuosa in atto o di colpire i mezzi di produzione delle attività criminali (in termini, tra le tante, Cass. Sez. 6, 7.2012 n. 37100, Biasi e altri, Rv. 253381; Cass. Sez. 3″ 18.4.2012 n. 37372, Toselli, Rv. 253571, con riguardo alla “globalità” della collaborazione tale da ricomprendere oltre che il recupero dello stupefacente anche l’individuazione delle risorse umane dedite alla attività illecita e l’interruzione della attività di spaccio; Cass. Sez. 6″, 2.3.2010 n. 20799, Sivolella ed altri, Rv. 247376; Cass. Sez. 4″ 17.3.2004 n. 20322).
17.3 Più di recente questa Corte Suprema, nel ribadire tali concetti, ha sottolineato, per un verso, la necessità che le informazioni fornite dall’imputato (o indagato) siano in grado di consentire il perseguimento di un risultato utile di indagine che, senza la collaborazione stessa, non si sarebbe potuto perseguire (così 6″ 14.1.2013 n. 9069, Squillace e altro, Rv. 256002) e, per altro verso, l’irrilevanza di eventuali ammissioni o comportamenti “non conducenti all’interruzione del circuito di distribuzione degli stupefacenti, ma limitati al rafforzamento del quadro probatorio o al raggiungimento anticipato di positivi risultati di attività di indagine già in corso in quella direzione” (così Sez. 3, 1.10.2014 n. 23942, Paternoster e altri, Rv. 263642; conforme S.U. 28.10.1998 n. 4, Barbagallo, Rv. 212759).
17.4 In effetti comportamenti concretizzatisi nella mera indicazione del nominativo di qualche complice sfuggono alla qualificazione auspicata dal ricorrente occorrendo, invece, che si tratti di un aiuto sfociante in un risultato di utilità, nel senso che la collaborazione prestata, nei limiti della posizione del colpevole, porti alla sottrazione di risorse ed eviti la commissione di altri delitti (in tal senso 4″, 3.5.2005 n. 28548, Godena e altri, Rv. 232435, secondo cui occorre che il contributo fornito dal collaborante risulti concretamente utile, cioè tale da determinare in maniera diretta un esito favorevole per le indagini eta cessazione dell’attività criminale ad esse relativa). Né può invocarsi il concetto di “proficuità” che, lungi dal rientrare nella nozione di utilità per le indagini nel senso richiesto dalla norma e dalla giurisprudenza di legittimità, costituisce argomento eccentrico rispetto agli insegnamenti di questa Corte, collocandosi agli antipodi degli estremi applicativi dell’invocata attenuante.
18. Tanto premesso, la Corte territoriale si è esattamente uniformata ai principi sopra enunciati, pur dando atto di ammissioni fatte dallo ZANDA, ha ritenuto, in modo assolutamente ineccepibile sotto il profilo logico, tali ammissioni prive di significati realmente utili ai fini delle indagini, richiamando e condividendo il giudizio a suo tempo espresso dal Tribunale circa la marginalità dell’apporto collaborativo dello ZANDA che è stato positivamente valutato attraverso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
18.1 Peraltro la Corte di merito, nell’avallare il giudizio espresso sul punto dal Tribunale, ha incentrato la propria valutazione negativa su una serie di elementi (che vengono poi riproposti in questa sede con argomenti fattuali come tali inammissibili in sede di legittimità) quali i rapporti dello ZANDA con i (e non uno solo) circuiti criminali e con pregiudicati, giudicati ostativi. Né sono stati attribuiti specifici meriti alle minacce asseritamente subite dallo ZANDA (ed in un certo senso riconosciute dalla stessa Corte territoriale), in quanto valutate come elementi sostanzialmente ininfluenti. Quel che contava – secondo la Corte di Milano – era un apporto collaborativo contrassegnato da dichiarazioni di tenore tale da agevolare le indagini o, quanto meno, da consentire l’acquisizione del prezzo del reato, in realtà mancato o comunque non attuato appieno.
18.2 Gli argomenti offerti dallo ZANDA nel suo motivo di ricorso non si discostano – se non per una esposizione più dettagliata ma riferita a circostanze di fatto che mirano ad offrire una versione alternativa rispetto a quella ricostruita dalla Corte distrettuale – da quella già proposta con l’atto di appello. In questo senso le censure sollevate, oltre a risultare infondate, sono anche ripetitive e dunque aspecifiche.
Né aggiungono qualcosa di significativo quei riferimenti ai presunti rapporti tra lo ZANDA ed il generale libanese SLIM Salim di cui la Corte territoriale si occupa a proposito della richiesta – ritenuta infondata – di parziale rinnovazione dell’istruzione dibattimentale volta ad acquisire alcune testimonianze in grado – secondo la difesa – di ribaltare la decisione negativa del Tribunale.
19. Palesemente infondato, invece, il secondo motivo afferente ad una diversa dosimetria della pena, irrogata secondo la difesa del ricorrente, in violazione delle regole di cui all’art. 133 cod. pen., anche perché la Corte nel ribadire la correttezza della decisione del Tribunale ha passato in rassegna tutti gli indici utili allo scopo.
20. Tanto precisato deve però osservarsi che in riferimento alla ritenuta ipotesi attenuata di cui al comma 5° dell’art. 73 D.P.R. 309/90 le modifiche normative intervenute nel breve volgere di alcuni mesi tra il dicembre 2013 (D. L. 14/13 seguito dalla legge di conversione n. 10/14) e il maggio 2014 (L. 79/14), oltre alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 32/14, disarticolato il sistema sanzionatorio fino a quel momento vigente per effetto della L. 49/06 (legge cd. “Fini-Giova nardi”) e tali innovazioni – per quanto interessa in questa sede – refluiscono favorevolmente sulla posizione del ricorrente.
20.1 Nel caso in esame la pena irrogata dal Tribunale (e poi confermata dalla Corte di Appello) va ritenuta illegale, non mancando di osservare che detto diverso trattamento non avrebbe potuto formare oggetto di appello in relazione all’epoca di redazione della impugnazione essendo quelle modifiche intervenute solo dopo la pronuncia della sentenza di secondo grado. Proprio per tale ragione questa Corte Suprema è legittimata ad esaminare di ufficio la questione ai sensi dell’art. 609 comma 2 cod. proc. pen.
20.2 Con la ricordata modifica normativa, intervenuta nel dicembre 2013, l’ipotesi attenuata disciplinata dal comma 5° dell’art. 73 P.R. 309/90 è stata trasformata da circostanza ad effetto speciale a fattispecie autonoma di reato (con conseguente ricaduta sulla circostanza aggravante della recidiva non più suscettibile di bilanciamento ex art. 69 cod. pen.), mentre la successiva declaratoria di incostituzionalità dell’art. 73 comma 1 bis D.P.R. 309/90 ha ripristinato il precedente assetto normativo vigente prima delle modifiche apportate dalla L. 49/06, distinguendo le cd. “droghe leggere” (per le quali ante riforma del 2006 valeva la disciplina speciale prevista dal 4° comma dell’art. 73) dalle “droghe pesanti” (disciplinate invece dal comma 1° della medesima legge).
20.3 Va, poi, aggiunto, che, per effetto dell’intervento legislativo operato con la L. 10/14 di conversione del D. Legge 146/13, è stato riformulato il comma 5° dell’art. 73, D.P.R. 309/90, qualificandosi la relativa condotta come ipotesi autonoma di reato (v. sul punto Sez. 6A 8.1.2014, Cassanelli) e fissandosi una pena edittale che va da un minimo di un anno ad un massimo di anni cinque di reclusione e da€ 3.000,00 ad€ 26.000,00 di multa senza distinzione tra droghe cd. “pesanti” e droghe cd. “leggere”.
20.4 Va, infine, segnalato che la mitigazione del trattamento sanzionatorio è stata ulteriormente implementata per effetto della L. 79/14 di conversione del D.L. 36/14 mediante la fissazione di un minimo di mesi sei di reclusione e di un massimo di anni quattro e, quanto alla pena pecuniaria, di un minimo di€ 1.032,00 e di un massimo di € 329,00, senza distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti.
20.5 E’ evidente che, con riguardo al caso di specie, la determinazione da parte della Corte territoriale della pena in limiti di motto superiori a quello minimo edittale previsto dal nuovo 5° comma dell’art. 73 D.P.R. 309/90 nella sua formulazione conseguente alle modifiche introdotte con la L. 49/06, sia, oggi, divenuta illegale in quanto esorbitante rispetto al minimo edittale fissato dal legislatore del 2014 in mesi sei di reclusione ed C 1.032,00 di multa.
20.6 Ciò precisato, si osserva che già all’indomani delle dette modifiche normative questa Suprema Corte ha affermato il principio (che questo Collegio condivide), secondo il quale l’illegalità sopravvenuta della pena è rilevabile di ufficio in sede di legittimità anche nel caso qui comunque non ricorrente – di inammissibilità originaria del ricorso per fa sua manifesta infondatezza, laddove quella illegalità derivi da una modifica normativa incidente sui minimi e massimi edittale che risulti più favorevole per l’imputato (in termini Sez. 4″ 13.3.2014 n. 27600, Buonocore).
20.7 Conseguenza di quanto sin qui detto sarebbe l’annullamento della sentenza limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano per nuova determinazione della pena.
20.8 Sennonché rileva il Collegio che nelle more, tenuto conto dell’epoca di commissione del fatto, il reato si è estinto per prescrizione, maturando essa nel termine massimo di anni sette e mesi sei.
20.9 Vero è che nel caso in esame allo ZANDA era stata contestata (e ritenuta) la recidiva di cui al comma 4° dell’art. 99 cod. pen. che, stante la trasformazione della ipotesi attenuata di cui al comma 5° dell’art. 73 citato, non entra più in gioco in termini di bilanciamento se non quale aggravante speciale rispetto ad altre attenuanti (nella specie le già concesse circostanze attenuanti generiche), incidendo quindi in modo autonomo sulla determinazione del tempo necessario a prescrivere quale circostanza aggravante ad effetto speciale.
20.10 Ma l’allungamento dei tempi conseguenti alla recidiva qualificata non basta a ritenere il reato ancora in vita, tenuto conto del decorso di ventitré anni dalla data di commissione del fatto.
21. Ne consegue, anche per ragioni di economia processuale, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.
Ricorso LUCATO
22. Il ricorso è fondato sulla base delle brevi osservazioni che seguono. Il detto imputato era stato condannato in primo grado alla pena complessiva di anni cinque di reclusione ed € 20.000,00 di multa previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante di cui agli artt. 73/6 e 80 comma 2° lett. B) del D.P.R. 309/90 per i reati di cui ai capi E2, E3 ed E4. All’esito del giudizio di appello il LUCATO è stato assolto dai primi due reati perché il fatto non costituisce reato, ricorrendo, a giudizio del giudice distrettuale, la scriminante putativa. In riferimento, invece, al reato di cui al capo E4, trattato in modo del tutto omologo rispetto al reato di cui al capo E3, come emerge pacificamente dal testo della sentenza impugnata laddove, alle pagg. 189 e 190, si fa riferimento alle due ipotesi di peculato e falso tra loro strettamente collegate, la pronuncia della Corte di merito si è concretizzata nella declaratoria di improcedibilità per prescrizione. Si tratta, ad evidenza, di un vero e proprio errore che però involge anche la motivazione sicchè non può che pervenirsi, coerentemente con il presupposto dal quale è partita la Corte distrettuale, alla stessa conclusione da essa adottata con riferimento ai precedenti capi E2 ed E3, nel senso cioè, di un proscioglimento pieno perché il fatto costituisce reato, ricorrendo, anche in questo caso la scriminate putativa già riconosciuta per gli altri due reati.
23. Ne deriva l’annullamento in parte qua della sentenza impugnata senza rinvio relativamente al reato di cui al capo E4 perché il fatto non costituisce reato.
Ricorsi LOVATO. ARPA. BENIGNI e LAZZERI ZANONI.
24. Osserva al riguardo il Collegio quanto segue.
Come premessa di fondo va ricordato che i detti imputati hanno riportato condanna all’esito del giudizio di appello in ordine ai reati di cui ai capi 81, E2 e Gl (LOVATO), 81, El, E2 e Gl (ARPA e BENIGNI) e Gl (LAZZERI ZANONI): si tratta – con riferimento ai detti capi – della partecipazione dei detti imputati alle operazioni denominate rispettivamente “CEDRO”, “HOPE” e “CEDRO l”.
25. Richiamate, in punto di fatto, le ricostruzioni delle singole vicende anche con riferimento alla concreta partecipazione degli imputati alle suddette operazioni, nei termini operati dalla Corte territoriale, va rilevato che le tre vicende hanno quale comune denominatore la partecipazione di un gruppo di militari e sottufficiali in forza al R.0.5. dei CC. di Bergamo in un’epoca di poco successiva alla istituzione del Reparto Operativo Speciale dei Carabinieri (risalente al 1991) ed alla entrata in vigore della speciale disciplina in materia di operazioni sotto-copertura. Senza necessità di ripetere le considerazioni generali svolte dalla Corte territoriale nella parte relativa al trattamento sanzionatorio (unica parte della sentenza che si discosta dalla decisione del giudice di primo grado), verranno esaminate nell’ordine i seguenti motivi di gravame, qui enunciati, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
26. Il primo motivo (che ricalca anche quello proposto dalla maggior parte degli altri ricorrenti) concerne l’asserita inosservanza delle norme processuali in relazione alla ritenuta competenza territoriale del Tribunale di Milano in luogo di quella di Roma come invece prospettato dalle difese; correlato a tale specifico vizio quello di motivazione sotto il profilo della manifesta illogicità.
26.1 Della questione, a suo tempo ampiamente trattata dal giudice di primo grado che con ordinanza del 2 febbraio 2006 aveva respinto l’eccezione, si occupa in modo specifico la Corte distrettuale nelle pagine 93-97 sulla base di argomentazioni che il Collegio condivide nella loro interezza.
26.2 Premesso che, pur essendo intervenuta pronuncia assolutoria per il delitto associativo anche in secondo grado, occorreva fare riferimento, ai fini della determinazione della competenza territoriale al reato ritenuto in astratto valutato ex ante sulla base di quanto risultante dal capo di imputazione sub A), in ossequio al principio della perpetuatio jurisdictionis (v. postea), l’orientamento espresso in materia dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema con riferimento al reato associativo può essere riassunto net modo che segue.
26.3 E’ stato costantemente affermato il principio secondo il quale in materia di reati associativi la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui ha sede la base ove si svolgono programmazione, ideazione e direzione delle attività criminose facenti capo al sodalizio; in particolare, considerato che l’associazione è una realtà criminosa destinata a svolgere una concreta attività, assume rilievo non tanto il luogo in cui si è radicato il “pactum sceleris”, quanto quello in cui si è effettivamente manifestata e realizzata l’operatività della struttura” (Sez. 2A 9.4.2014 n. 23211, Morinelli ed altro, Rv. 259653; conforme Sez. 2″ 3.12.2015 n. 50338, Signoretta, Rv. 265282; ancora Sez. 4, 22.9.2015 n. 48837, Banev e altri, Rv. 265281, secondo la quale quel che rileva non è tanto il luogo in cui si è formato il cd.“pactum sceleris”, quanto il luogo in cui si è in concreto manifestata e realizzata l’operatività della struttura).
26.4 Con riferimento specifico ai reati in materia di associazione finalizzata al narcotraffico e reati connessi, è stato precisato che, una volta verificata l’impossibilità di determinare il luogo in cui ha avuto inizio la consumazione del delitto associativo, per il quale è prevista l’applicazione delle regole derogatorie della competenza stabilite nell’art. 51, comma terzo bis, cod. pen. al fine di individuare il giudice competente non si può fare applicazione “tout court” delle regole suppletive indicate nell’art. 9, comma terzo, stesso codice, con la conseguente determinazione della “vis attractiva” del giudice distrettuale anche su reati originariamente sottratti alla sua competenza, ma si deve tenere conto del luogo di consumazione dei reati via via meno gravi, e solo quando quest’operazione non approdi ad alcun risultato utile, far ricorso alle predette regole suppletive (Sez. l” 9.6.2010 n. 27561, Baci, Rv. 247880).
Sotto altro profilo è stato anche evidenziato che quando si procede per reati associativi ricompresi nell’art. 51 comma 3 bis cod. proc. pen. (come era accaduto nel caso in esame), la competenza va determinata con riferimento al reato di competenza distrettuale nei limiti in cui sia possibile individuare, anche sulla base di manifestazioni sintomatiche, il luogo in cui l’associazione è stata formata ovvero in cui è stata compiuta una parte della attività tipica; solo nel caso in cui non risulti possibile individuare in alcun modo un radicamento sul territorio dell’attività dell’associazione vanno presi in esame, ex art. 16 cod. proc. pen. l reati connessi in ordine di gravità decrescente e soltanto in caso negativo sarà possibile ricorrere ai criteri suppletivi di cui all’art. 9 del codice di rito (Sez. 1″ 17.1.2009 n. 49356, Osmanovic, Rv. 245644).
26.5 Nel caso di specie, secondo quanto esposto da difensori sin dal giudizio di primo grado, la competenza territoriale avrebbe comunque dovuto radicarsi in Roma, quale luogo di manifestazione della operatività dell’associazione, in quanto la condotta di riferimento avrebbe dovuto individuarsi nella importazione dalla Colombia di un quantitativo di cocaina sbarcato all’Aeroporto di Roma Fiumicino: trattandosi di reato di competenza distrettuale la competenza del Tribunale di Civitavecchia sarebbe dovuta essere attribuita alla Procura Distrettuale presso il Tribunale di Roma.
26.6 Tale prospettazione, come emerge dalla sentenza impugnata, non è stata condivisa dalla Corte territoriale che, muovendo dal presupposto della impossibilità di stabilire con certezza se l’attività criminosa fosse stata commessa a Roma piuttosto che a Bergamo, è ricorsa al criterio del luogo in cui per la prima volta si sarebbe manifestata l’operatività dell’associazione criminosa, prendendo in considerazione la prima operazione denominata “CEDRO”: secondo quanto affermato dalla Corte distrettuale sarebbe quindi Bergamo il luogo in cui per primo si sarebbe manifestata all’esterno l’associazione, individuandosi tale manifestazione nella richiesta – preceduta da una nota del 19 luglìo 1991 in cui si preannunciava l’imminente arrivo in Italia dello stupefacente destinato a tali SPORTELLI e DI MARCO – rivolta all’Autorità giudiziaria di Bergamo, da parte dei militari appartenenti al R.O.S. CC. di quella città, del rilascio di un decreto di ritardato sequestro emesso in data 24 agosto 1991 da parte del Dott. Mario CONTE Sost. Proc. della Repubblica presso quel Tribunale (coinvolto nella vicenda processuale che ha poi determinato lo spostamento della competenza verso il Tribunale di Milano ai sensi dell’art. 11 cod. proc.).
26.7 Peraltro la Corte di Milano ha evidenziato che, anche a voler ricorrere ai criteri suppletivi indicati dall’art. 9 del cod. proc. pen. la soluzione adottata non sarebbe mutata dovendosi fare riferimento al luogo in cui si è svolta una parte dell’azione criminosa dell’associazione e dove aveva sede l’Ufficio del Pubblico Ministero che, per primo, aveva proceduto alla iscrizione della notizia di reato.
26.8 Ritiene il Collegio che i criteri seguiti dalla Corte distrettuale siano corretti sotto il profilo della ortodossia processuale ed esenti da quelle manifeste illogicità indicate dalla difesa, secondo la quale, pur potendosi fare riferimento a condotte poste in essere da soggetti imputati del reato associativo, rappresentative del momento in cui l’associazione si sarebbe manifestata all’esterno, si tratterebbe pur sempre di condotte tali da non consentire con la dovuta certezza l’individuazione del luogo in cui sono avvenute, dovendosi quindi fare ricorso al criterio suppletivo della gravità decrescente dei reati connessi.
26.9 Si tratta di argomenti ampiamente scrutinati dalla Corte distrettuale senza che vengano in questa sede apportati elementi di novità tali da modificare il giudizio espresso dalla Corte di Milano. Da qui l’infondatezza del relativo motivo.
27. Con il secondo motivo di ricorso (comune, anche questo ad altri imputati diversi dagli odierni ricorrenti) la difesa ritorna sul tema (già affrontato in appello) riguardante le cd. “eccezioni probatorie” (cui la Corte territoriale dedica apposito capitolo alle 98-104): in particolare si censura l’inosservanza delle norme processuali con riferimento agli artt. 63, 141 bis, 197 bis, 210, 234, 238, 270, 431, 468, 503, 513, 514 e correlato vizio di motivazione per manifesta illogicità e/o contraddittorietà.
27.1 Nessuna delle censure sopra indicate appare fondata ad avviso del Collegio, anticipandosi che la decisione assunta al riguardo dalla Corte territoriale è, non solo condivisibile sul piano strettamente processuale (e dunque nessuna inosservanza di legge risulta essersi concretizzata), ma anche sul piano motivazionale sia in termini di logicità che di non contraddittorietà. Né può parlarsi di insufficienza della motivazione, avendo la Corte dato ampio spazio alle censure difensive, rispondendo in modo adeguato alle varie obiezioni della difesa.
27.2 Peraltro nei termini in cui dette censure vengono oggi formulate, si tratta di doglianze reiterative di quelle già proposte in appello sicchè, sotto tale specifico profilo, si tratta di censure generiche, ricordandosi che, come più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema “È inammissibile il ricorso per Cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, !ett. e), all’inammissibilità” (in termini Sez. lA 30.9.2004 n. 39598, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 2A 15.5.2008 n. 19951, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, 9.2.2012 n. 18826, Pezzo, Rv. 253849; conforme Sez. 6 21.1.2013 n. 8700, Leonardo e altri, Rv. 254584).
27.3 Esaminandole nello specifico, una prima eccezione riguarda le acquisizioni di documenti avvenuta nel corso del processo di primo grado soprattutto con riferimento al materiale ritenuto corpo di reato ed ai documenti e verbali di prova concernenti altri procedimenti penali.
Inoltre tra i documenti acquisiti sui quali si sono appuntate le censure da parte dei difensori, un ruolo specifico viene attribuito ai verbali contenenti le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio dal collaborante e coimputato di reato connesso Biagio ROTONDO (poi suicidatosi nel corso del procedimento): il riferimento è ad alcune ordinanze rese dal Tribunale rispettivamente in data 30 marzo 2006, 21 giugno 2006, 14 marzo 2007, 19 maggio 2009, 16 settembre 2009.
27.4 Nell’odierno ricorso la difesa degli imputati critica aspramente i concetti di “corpo di reato” e di “cose pertinenti al reato” di cui si è avvalso il Tribunale (e di seguito il giudice territoriale) per acquisire una serie di documenti a detta della difesa non suscettibili, invece, di acquisizione, pena una indebita estensione analogica dei concetti sopra enunciat.
27.5 La Corte territoriale, nel ribadire la piena legittimità delle acquisizioni documentali, si è specificamente pronunciata sulle varie ordinanze emesse dal Tribunale di Milano e sottoposte a censura nel giudizio di appello: in particolare, con riferimento alle due ordinanze del 30 marzo e 21 giugno 2006 riguardanti la formazione del fascicolo del dibattimento ex art. 431 cod. proc. pen. ed alla acquisizione delle prove sollecitate dalle parti, la Corte distrettuale ha ribadito la piena legittimità dei detti provvedimenti in riferimento alle originarie imputazioni di falso in atto pubblico, ricorrendo per la loro utilizzabilità al concetto di corpo di reato ovvero all’art. 234 cod. proc. pen., e precisando che i documenti acquisiti erano costituiti da note, informative, appunti, verbali contenenti dichiarazioni che riguardavano le imputazioni di falso contestate ai militari del R.O.S.
Nel fare ciò la Corte distrettuale, pur ricorrendo al concetto di cose pertinenti al reato, ha escluso che si trattasse di una indebita espansione di tale nozione, rifacendosi ad un ben preciso orientamento di legittimità, secondo il quale ” ….il verbale contenente le dichiarazioni sulle quali si basa l’incriminazione possono essere acquisite al fascicolo del dibattimento, in quanto costituiscono il corpo del reato del delitto contestato” (Sez. 6″ 6 giugno 1996 n. 8296, Di Mauro S., Rv. 206136, fattispecie in tema di favoreggiamento personale).
27.6 Si tratta di un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte come evidenziato da altre pronunce dello stesso tenore (Sez. l, 7.7.2004 37160, Boccuni e altro, Rv. 229790, con la quale viene ribadita l’obbligatorietà della acquisizione in sede di formazione del fascicolo per il dibattimento delle dichiarazioni fuorvianti rese alla polizia giudiziaria da parte del soggetto indagato – o imputato – nel processo teso ad accertare il reato di cui all’art. 378 cod. pen.; ancora Sez. 6A 30.9.2004 n. 43193, Floridia, Rv. 230501 in cui si sottolinea l’acquisibilità ex art. 431 cod. proc. pen. del verbale contenente le sommarie informazioni rese alla P.G. in riferimento al delitto di cui all’art. 372 cod. pen.: Sez. 6″ 14.3.2005 n. 15791, P.M. in proc. Martinuzzi, Rv. 231875 relativamente a verbale reso alla P.G. da parte di soggetto incriminato per il delitto di furto, contenente dichiarazioni calunniose).
27.7 La difesa dei ricorrenti, nel reiterare le censure già formulate in sede di appello, sostiene che la Corte di merito avrebbe esteso il concetto di cose pertinenti al reato o di corpo del reato per aggirare le norme a presidio dei divieti probatori: il rilievo, a giudizio di questo Collegio, è infondato, condividendosi il ragionamento della Corte di Milano basato anche su una interpretazione corretta dei concetti di “cose pertinenti al reato” (come definito dall’art. 321 proc. pen. in tema di sequestro preventivo) e di “corpo di reato (come definito dall’art. 253 stesso codice), precisandosi in questa sede che i due concetti si pongono in una sfera concentrica nella quale la prima nozione è più ampia della seconda (in termini Sez. 2″ 22.1.2009 n. 17372, Romeo e altri, Rv. 244342), comprendendo non solo la cosa con la quale è stato commesso il reato ovvero che ne costituisce il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche quelle legate, sia pure indirettamente, alla fattispecie criminosa (in termini, tra te tante Sez. 2″ 19.6.2013 n. 34986, Pini, Rv. 256100; Sez. 3″ 22.4.2009 n. 22058, Bortoli, Rv. 243721 in tema di sequestro probatorio di cose aventi capacità dimostrativa del fatto illecito; v. anche Sez. 5” 13.4.1999 n. 6887, Gianferrari P., Rv. 213607, in tema di relazioni del curatore fallimentare in riferimento al reato di bancarotta fraudolenta).
27.8 La disamina di tali orientamenti costituisce, dunque, la riprova della ampiezza del concetto di cose pertinenti al reato sicchè è da escludere la tesi difensiva di una eccessiva dilatazione di tali nozioni in vista di pervenire alla acquisizione di documenti asseritamente non acquisibili, tanto più che, come ricordato dalla Corte territoriale, la stessa disposizione codicistica (art. 235 cod. proc. pen.) impone l’acquisizione dei documenti costituenti corpo di reato – concetto, quest’ultimo, ricompreso certamente nella più ampia nozione di cose pertinenti al reato in cui conta il riferimento, anche indiretto, della cosa al reato, senza la necessità di una relazione stretta.
28. Parimenti infondata la censura riguardante l’inutilizzabilità dei verbali di prova e delle trascrizioni di intercettazione telefoniche che la Corte milanese ha escluso sulla base del disposto di cui all’art. 238 cod. proc. pen. nella specie pienamente rispettato dal Tribunale per come afferma la Corte distrettuale, avendo cura di precisare anche che tali acquisizioni sono state o precedute o seguite dalla escussione dei singoli dichiaranti in contraddittorio con le altre parti.
28.1 Ne deriva la piena legittimità della acquisizione di documentazioni provenienti da altri procedimenti nell’ottica di un interesse generale all’accertamento della verità dei fatti: illuminante, in proposito, quanto affermato da Sez. JA 11.6.2013 n. 37241 secondo cui è illegittima l’acquisizione e l’utilizzazione a fini probatori di verbali di dichiarazioni rese in diverso procedimento laddove non seguita, in spregio all’art. 238 cod. proc. pen., dalla citazione del dichiarante e dalla sua escussione in contradditorio.
28.2 In aggiunta a tali considerazioni non può che condividersi la decisione della Corte di ritenere quelle censure sostanzialmente inammissibili per genericità, posto che anche in questa sede le doglienze difensive non risultano adeguatamente specificate con riferimento alla indicazione dei singoli atti.
28.3 Peraltro le affermazioni difensive secondo le quali non ricorrerebbe nessuna delle ipotesi disciplinate dall’art. 238 commi 1, 2bis, 3 e 4 del codice di rito sono prive di ‘pregio e inconferente sarebbe il richiamo fatto dalla Corte alle cennata decisione 37241/13, non essendo dato comprendere nemmeno il senso della censura formulata dalla difesa laddove afferma che sarebbe dovuta essere la Corte di merito a disporre d’ufficio la citazione della dichiarante, non rientrando ciò nei compiti della difesa.
29. Analoga conclusione va fatta con riferimento alla censura riguardante l’acquisizione, di cui si è dianzi fatto cenno, di verbali di intercettazioni provenienti da altri procedimenti stante la genericità della censura.
29.1 La difesa dei ricorrenti ha eccepito il vizio di motivazione, sotto il profilo della carenza, con riferimento ai rilievi a suo tempo formulati in riferimento alla ordinanza del Tribunale del 19 maggio 2009 cui nessuna risposta avrebbe fornito la Corte distrettuale: tale censura ad avviso del Collegio è infondata, come lo è quella riguardante la pretesa violazione dell’art. 512 cod. pen. afferente alle dichiarazioni rese da Biagio ROTONDO (poi deceduto a seguito di suicidio) e da Franco MORELLI.
29.2 E’ infatti da condividere il giudizio espresso dalla Corte – in riferimento a tale ultima questione riguardante le dichiarazioni del ROTONDO – circa l’applicabilità del disposto di cui all’art. 512 cod. proc. pen. e non 513 sulla base di una lettura coordinata del testo dell’art. 512 codice di rito in relazione all’art. 210 stesso codice; così come del tutto corretta appare la decisione della Corte di utilizzare le dichiarazioni rese dal ROTONDO non supportate da registrazione, dovendosi fa richiamo a quanto affermato dalle S.U. di questa Corte 25.3.1998, D’Abramo, Rv. 210803, secondo la quale, fermo restando l’obbligo di registrazione ex art. 141 bis cod. proc. pen. delle dichiarazioni rese da parte di soggetto in stato di detenzione, pena la loro inutilizzabilità erga alios, è stato però precisato – quanto al concetto di detenzione riferito alla norma codicistica – che si deve trattare di detenzione inframuraria o in luoghi di cura diversi dal carcere, rimanendo esclusa la detenzione all’interno della propria abitazione, circostanza invece verificatasi in riferimento al ROTONDO con riguardo alle dichiarazioni da lui rese elencate dal n. 26 al n. 31 mentre lo stesso si trovava ristretto in regime di arresti domiciliari. Si tratta, peraltro, di un principio ribadito anche dalla giurisprudenza successiva, con la precisazione che alcune di queste pronunce riaffermano la regola della necessità delta registrazione riferita al soggetto in stato di detenzione intesa in senso stretto (v. tra le tante, Sez. 4A 14.1.2008 n. 6473, Di Domenico e altri, Rv. 238755).
30. Anche con riferimento alle dichiarazioni rese dai coimputati PALMISANO, LEONE e RINALDI, le argomentazioni svolte in proposito dalla Corte territoriale sono condivisibili sia con riferimento alla acquisizione di dichiarazioni rese dal PALMISANO in sede di i.t. per le quali non ricorre la supposta violazione dell’art. 514 cod. proc. pen. come dedotto dalla difesa, tanto più che la Corte di merito – come riconosciuto dalla stessa difesa – ha ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni dibattimentali del PALMISANO, sia con riferimento alle acquisizioni degli altri verbali contenenti dichiarazioni rese in spregio all’art. 63 cod. proc. pen.: al riguardo la Corte di merito ha sottolineato, ancora una volta, come nessuna violazione del disposto normativo in parola si fosse verificato nel corso delle indagini quando i detti sottufficiali erano stati sentiti dal P.M. senza che ancora emergessero indizi a loro carico. E comunque tali dichiarazioni sono poi state utilizzate dal giudice di merito al limitato fine delle contestazioni, senza che assumessero alcun rilievo, se non del tutto marginale, posto che il giudizio di responsabilità si basava su ben diverse e più decisive risultanze probatorie.
31. Quanto, poi, all’ulteriore censura sollevata dalla difesa con riferimento al vizio di motivazione in punto di conferma dell’attendibilità dei dichiaranti ROTONDO, MORELLI, COGO e FILIPPI (ma soprattutto del ROTONDO), si tratta di doglianze prive di fondamento, avendo dato la Corte risposta adeguata in punto di valutazione della attendibilità di tali dichiaranti, pur prendendo atto di alcune contraddizioni o imprecisioni che nulla toglievano, però, ad un generale quadro di attendibilità complessiva peraltro confortata da riscontri esterni, sicchè la decisione della Corte si sottrae al giudizio di manifesta illogicità formulata dai difensori.
Peraltro non può farsi a meno di evidenziare anche il profilo fattuale di tali censure, specialmente di quelle formulate in riferimento al ROTONDO (posto che per gli altri è stato fatto un accenno meramente generico), come tali improponibili in sede di legittimità.
32. Il terzo motivo del ricorso, afferente alla pretesa violazione del disposto di cui all’art. 603 cod. proc. pen. e alla correlata manifesta illogicità della motivazione è del tutto privo di consistenza. Oltre a rilevarsi la sostanziale genericità di tali doglianze sia per i loro contenuti sia per la ripetitività dei rilievi, va ricordato che la decisione della Corte di rinviare alla fase della decisione l’esame delle richieste istruttorie diverse dalla acquisizione di sentenze passate in giudicato (profilo ammesso dalla Corte di Milano) risulta non solo compatibile con l’istituto, di natura eccezionale, della rinnovazione parziale dell’istruzione dibattimentale, ma coerente con i risultati complessivi dell’istruzione compiuta nel dibattimento di secondo grado, tanto che la Corte ha poi ritenuta del tutto superflua la parte relativa alle eccezioni di nullità delle varie ordinanze rese dal Tribunale in tema di acquisizioni documentali, con giudizio che si sottrae al vizio di manifesta illogicità denunciato.
32.1 Può, per completezza, ricordarsi che stante l’eccezionalità dell’istituto che si giustifica in relazione alla rigorosa valutazione della indispensabilità e decisività della rinnovazione in vista della decisione, con la conseguenza che il diniego da parte del giudice, se adeguatamente motivato, è sottratto al sindacato di legittimità (Sez. 1, 4.1993 n. 5355, Ceraso, Rv. 194222), alla rinnovazione può farsi ricorso soltanto quando il giudice ritenga “di non poter decidere allo stato degli atti”: impossibilità che si verifica nel caso di incertezza dei dati probatori acquisiti, ovvero ancora quando l’incombente richiesto sia decisivo nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per sé oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza (Sez. 3, 3.5.2007 n. 35372, Panozzo, Rv. 237410; conforme Sez. 6″ 26.2.2013 n. 20095, Ferrara, Rv. 256228).
32.2 Il mancato accoglimento (espresso diniego) della richiesta volta ad ottenere detta rinnovazione può, dunque, essere censurato in sede di legittimità solo quando risulti dimostrata, indipendentemente dall’esistenza o meno di una specifica motivazione sul punto nella decisione impugnata, la oggettiva necessità dell’adempimento in questione e, quindi, l’erroneità di quanto esplicitamente o implicitamente ritenuto dal giudice di merito circa la possibilità di “decidere allo stato degli atti”, come previsto dall’art. 603, comma 1, c.p.p. In altri termini va dimostrata l’esistenza, nel tessuto motivazionale che sorregge la decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità ricavabili dal testo del medesimo provvedimento (come previsto dall’art. 606, comma 1, lett. a), c.p.p.) e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate qualora fosse stato provveduto, come richiesto, all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in sede di appello. (Sez. l” 28.6.1999 9151, Capitani, Rv. 213923).
32.3 L’error in procedendo rilevante ai sensi della lettera d) dell’art. 606 comma 1 c.p.p. è peraltro configurabile quando la prova richiesta e non ammessa – raffrontata con le motivazioni addotte a sostegno della sentenza impugnata – risulti decisiva, tale cioè che, se esperita, avrebbe potuto determinare una decisione di tipo diverso: la valutazione in ordine alla decisività deve essere compiuta accertando se i fatti indicati dalla parte nella relativa richiesta fossero tali da poter inficiare le argomentazioni poste a base del convincimento del giudice di merito. In altri termini, deve profilarsi l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del provvedimento (come previsto dall’art. 606, comma 1, lett. a) c.p.p.), le quali sarebbero state presumibilmente evitate ove fosse stato provveduto all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in sede di appello.
32.4 In ultimo, va ribadito il principio che l’obbligo di espressa motivazione in materia di rinnovazione parziale dell’istruzione dibattimentale (che di regola si presuma completa specie nel caso di cd. “doppia conforme”) ricorre non già nel caso del diniego della prova richiesta, ma nel caso opposto di accoglimento della richiesta, in coerenza con il principio della completezza dell’istruzione e della eccezionalità dell’istituto: invero, come precisato dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema, la decisione di procedere alla rinnovazione deve essere specificatamente motivata, occorrendo dar conto dell’uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza della rilevanza dell’acquisizione probatoria, mentre nel caso di rigetto la decisione può essere sorretta anche da una motivazione implicita che evidenzi la presenza di elementi sufficienti per una valutazione in ordine alla responsabilità dell’autore del fatto, con conseguente non necessità di procedere alla rinnovazione parziale (Sez. fiA 12.2006 n. 5782, Gagliano, Rv. 236064).
32.5 A tali principi si è esattamente uniformata la Corte territoriale che ha escluso (seppur parzialmente, come dianzi fatto cenno), del tutto motivatamente e con estremo rigore logico, la decisività di tali richieste, sicchè il rilievo difensivo è privo di fondamento.
33. Passando all’esame del quinto motivo, la difesa censura la decisione della Corte nella parte in cui non è stato dato alcun rilevo alla esimente di cui agli 97 e 98 del D.P.R. 309/90.
33.1 Sul tema, che costituisce uno degli argomenti più dibattuti del processo, la Corte di Appello si è diffusamente intrattenuta pervenendo alla conclusione della inapplicabilità dell’esimente in parola per il mancato rispetto da parte degli imputati dei limiti imposti dalla rigida normativa prevista dalla legislazione speciale. Tale decisione viene oggi criticata ulteriormente dalla difesa, secondo la quale la Corte non avrebbe fatto buon governo delle regole normative di settore, soprattutto con riferimento alle successive integrazioni e modifiche intervenute per effetto dell’art. 9 della L. 146/06.
33.2 Ritiene il Collegio che detto motivo possa essere esaminato congiuntamente ai motivi successivi sesto, settimo ed ottavo tra loro strettamente collegati, in quanto si affrontano da parte delle difese dei ricorrenti temi connessi riguardanti:
a) la asserita inosservanza della legge penale in punto di mancata applicazione, comunque, della scriminante putativa ex 59 comma 4° cod. pen.;
b) la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in punto di mancata applicazione delle norme in tema di reato impossibile, tenuto conto che la condotta di importazione seguita dall’immediato sequestro dello stupefacente impediva (ed impedisce) di individuare l’offensività della condotta con stretto riferimento al mancato pregiudizio per la salute pubblica;
c) l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 73 D.P.R. 309/90 in relazione all’art. 43 cod. pen., con specifico riguardo al profilo, trascurato dalla Corte di merito, in ordine all’assenza dell’elemento psicologico del reato per il quale occorre il dolo (specifico), laddove la finalità perseguita dagli imputati non era quella di immettere la droga nel mercato, ma di individuare i soggetti che nel mercato nazionale erano dediti al traffico onde procedere al loro arresto.
33.3 La prospettazione di tali motivi impone alcune considerazioni preliminari in riferimento all’assetto normativo del D.P.R. 309/90 in materia di operazioni “undercover’ (o “sotto copertura).
33.4 Facendo riferimento al periodo in cui sono accaduti i fatti occorre dar conto che la legislazione dell’epoca prevedeva una serie di regole per il compimento di attività ad opera del c.d. “agente sotto-copertura” (da distinguere dalla similare figura dell’agente provocatore).
33.5 In particolare, secondo quanto previsto dal primo comma dell’art. 97 del D.P.R. 309/90 “Fermo il disposto dell’articolo 51 del codice penale, non sono punibili gli ufficia/; di polizia giudiziaria addetti alle unità specializzate antidroga, i quali, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti previsti dal presente testo unico ed in esecuzione di operazioni anticrimine specificamente disposte dalla Direzione centrale per i servizi antidroga o, sempre, d’intesa con questa, dal questore o dal comandante provinciale dei Carabinieri o della Guardia di finanza o dal comandante del nucleo di polizia tributaria o dal direttore della Direzione investigativa antimafia di cui all’articolo 3 del decreto legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 410, anche per interposta persona, acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano sostanze stupefacenti o psicotrope o compiono attività prodromiche e strumentali”.
33.6 A sua volta il successivo art. 98 nei primi tre commi recita testualmente: 1. “L’autorità giudiziaria può, con decreto motivato, ritardare l’emissione o disporre che sia ritardata l’esecuzione di provvedimenti di cattura, arresto o sequestro quando sia necessario per acquisire rilevanti elementi probatori ovvero per l’individuazione o la cattura dei responsabili dei delitti di cui agli articoli 73 e ” 2. “Per gli stessi motivi gli ufficiali di polizia giudiziaria addetti alle unità specializzate antidroga, nonchè le autorità doganali, possono omettere o ritardare gli atti di rispettiva competenza dandone immediato avviso, anche telefonico, all’autorità giudiziaria, che può disporre diversamente, ed al Servizio centrale antidroga per il necessario coordinamento anche in ambito internazionale. L’autorità procedente trasmette motivato rapporto all’autorità giudiziaria entro quarantotto ore.” 3. “L’autorità giudiziaria impartisce alla polizia giudiziaria le disposizioni di massima per il controllo degli sviluppi dell’attività criminosa, comunicando i provvedimenti adottati all’autorità giudiziaria competente per il luogo in cui l’operazione deve concludersi, ovvero per il luogo attraverso il quale si prevede sia effettuato il transito in uscita dal territorio dello Stato, ovvero quello in entrata nel territorio dello Stato, delle sostanze stupefacenti o psicotrope e di quelle di cui a/l’articolo 70.”
33.7 A questa normativa è poi seguita nel 2006 altra disposizione contemplata dall’art. 9 comma 1° della L. 146/06 a tenore del quale “Fermo quanto disposto da/l’artico/o 51 del codice penale, non sono punibili:
a) gli ufficiali di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, appartenenti alle strutture specializzate o alla Direzione investigativa antimafia, nei limiti delle proprie competenze, i quali, nel corso di specifiche operazioni di polizia e, comunque, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti previsti dagli articoli 648-bis e 648-ter nonchè nel libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del codice penale, ai delitti concernenti armi, munizioni, esplosivi, ai deliW previsti da/l’articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonchè dall’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, anche per interposta persona, danno rifugio o comunque prestano assistenza agli associati, acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano denaro, armi, documenti, stupefacenti, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere il reato o altrimenti ostacolano l’individuazione della loro provenienza o ne consentono l’impiego;
b) gli ufficiali di polizia giudiziaria appartenenti agli organismi investigativi della Polizia di Stato e dell’Arma dei carabinieri specializzati nell’attività di contrasto al terrorismo e all’eversione e del Corpo della guardia di finanza competenti nelle attività di contrasto al finanziamento del terrorismo, i quali, nel corso di specifiche operazioni di polizia e, comunque, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti commessi con finalità di terrorismo, anche per interposta persona, compiono le attività di cui alla lettera a).
33.8 In ultimo va ricordato, come sottolineato dalla stessa Corte territoriale (vds. pag. 80 della sentenza impugnata) che tale norma è stata ulteriormente modificata dall’art. 8 della L. 13.8.2010 n. 136, a tenore del quale nel comma 1° si dispone testualmente: “All’artico/o 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1:
1) la lettera a) è sostituita dalla seguente: «a) gli ufficiali di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, appartenenti alle strutture specializzate o alla Direzione investigativa antimafia, nei limiti delle proprie competenze, i quali, nel corso di specifiche operazioni di polizia e, comunque, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti previsti dagli articoli 473, 474, 629, 630, 644, 648-bis e 648-ter, nonché nel libro n titolo XII, capo III, sezione I, del codice penale, ai delitti concernenti armi, munizioni, esplosivi, ai delitti previsti dall’articolo 12, commi 1, 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme su/fa condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, nonché ai delitti previsti dal testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, dall’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e dall’artico/o 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, anche per interposta persona, danno rifugio o comunque prestano assistenza agli associati, acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano denaro, armi, documenti, sostanze stupefacenti o psicotrope, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere il reato o altrimenti ostacolano l’individuazione della loro provenienza o ne consentono l’impiego o compiono attività prodromiche e strumentali”;
2) “alla lettera b), dopo le parole: «commessi con finalità di terrorismo» sono inserite le seguenti: “o di eversione”.
33.9 Inoltre a tale comma è stato aggiunto il comma 1 bis secondo cui “La causa di giustificazione di cui al comma 1 si applica agli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria e agli ausiliari che operano sotto copertura quando le attività sono condotte in attuazione di operazioni autorizzate e documentate ai sensi del presente articolo. La disposizione di cui al precedente periodo si applica anche alle interposte persone che compiono gli atti di cui al comma 1 “.
40. Così delineato il quadro normativo di riferimento, secondo la tesi difensiva, la Corte territoriale non ha fatto una corretta applicazione di tali disposizioni, evidenziando come le singole operazioni poste in essere dai militari del R.O.S. ed oggetto delle varie imputazioni fossero assolutamente corrette nel senso che nessuno degli imputati (il discorso vale anche per altri imputati la cui posizione verrà esaminata successivamente) ha creato – come invece prospettato dalla Pubblica Accusa e recepito dalla Corte di merito – il traffico di droga, essendosi invece essi limitati a svelare gli accordi già intercorsi tra fornitori ed acquirenti delle sostanza stupefacente ed impedire che tali traffici venissero portati a compimento onde arrestare i responsabili: da qui il richiamo all’art. 51 pen. o in alternativa all’art. 59 stesso codice ovvero al precedente art. 49 in tema di reato impossibile, attesa la mancanza di offensività della condotta posto che in nessun modo i singoli quantitativi di stupefacenti acquistati sarebbero stati immessi sul mercato e formare oggetto di attività di spaccio con conseguente messa in pericolo della salute pubblica.
41. La Corte di merito ha disatteso tali tesi con ricchezza di argomentazioni che questo Collegio condivide integralmente e che però necessitano di un breve cenno anche per comprendere la non fondatezza dei rilievi difensivi mossi – per quanto qui rileva in riferimento ai ricorrenti LOVATO, ARPA, BENIGNI e LAZZERI-ZANONI – in riferimento a tali aspetti.
42. La Corte di merito, dopo avere in premessa evidenziato la peculiarità della vicenda sia per la qualità dei personaggi coinvolti, sia per l’assoluta assenza di iniziative sul piano disciplinare e di carriera adottate dai vertici dell’Arma nei confronti degli Ufficiali e militari individuati come responsabili di condotte non ortodosse e rilevanti sul piano penale, sia anche per la sostanziale assenza di critiche – se non appena superficiali e comunque sporadiche – sul loro operato da parte degli stessi vertici dell’Arma dei Carabinieri, ha chiarito come nel caso in esame e con riferimento a tutte le operazioni contestate, non potesse parlarsi di attività sotto-copertura nei termini richiesti dalla normativa sopra citata, sottolineando che l’attività dei soggetti coinvolti in tali operazioni era caratterizzata dalla determinazione nei confronti di altri a commettere illeciti prima inesistenti, laddove le regole previste per farsi luogo alle esimenti prevedevano l’acquisizione di prove in ordine ad attività illecite già in corso.
42.1 Tali conclusioni, avallate da una copiosa giurisprudenza di legittimità puntualmente richiamata dalla Corte territoriale, venivano assunte dalla Corte di Milano sulla base anche degli ampi richiami alle argomentazioni, particolarmente elaborate ed analitiche, del Tribunale che aveva passato in rassegna le singole operazioni ravvisando quelle criticità che ne avevano determinato la rilevanza penale: in particolare la Corte distrettuale, sulla base di una analisi mirata delle varie informative redatte dai militari del R.O.S. e poi inviate agli Uffici centrali, alla D.C.S.A. e all’autorità giudiziaria inquirente, aveva rilevato una sostanziale fumosità e vaghezza in ordine ai punti rilevanti delle operazioni, sottolineando, in via esemplificativa, la mancata identificazione dei fornitori dello stupefacente e della organizzazione di riferimento; i rapporti tra fornitore e destinatario della droga con specifico riguardo a quanto avvenuto prima dell’intervento dell’agente sotto-copertura; la non conoscenza del prezzo, delle modalità di pagamento, di spedizione e di consegna dello stupefacente; la mancata identificazione dei destinatari delle spedizioni; il mancato arresto e la mancata identificazione dei rappresentanti dei fornitori; l’insufficienza e/o inverosimiglianza delle giustificazioni offerte dai militari del R.O.S. per spiegare tali incongruenze; la mancata conoscenza da parte dei militari del R.O.S. degli aspetti economici delle varie operazioni i cui accordi – a detta dalle Corte distrettuale – sarebbero rimasti inspiegabilmente nel vago laddove era inverosimile che i militari sconoscessero tali profili. Ne è derivata, a giudizio della Corte – giudizio che questo Collegio condivide perché logico e coerente con i dati istruttori e documentali acquisiti al processo – la mancanza di prova in ordine alla esistenza di accordi pregressi tra fornitori e destinatari precedenti all’intervento dell’agente sotto copertura, requisito essenziale per la liceità delle operazioni e per la applicazione della speciale esimente di cui all’art. 97 D.P.R. 309/90.
42.2 Secondo la difesa degli imputati i giudizi espressi dalla Corte di merito peccano di gravi insufficienze e aporie logiche che hanno finito per condizionare negativamente la corretta applicazione della speciale normativa di settore.
42.3 Prima di esaminare più da vicino le operazioni oggetto delle imputazioni, onde verificare se il ragionamento seguito dalla Corte di merito risponda alla logica sottesa alla motivazione che ne è derivata, si ritiene utile esporre per grandi linee l’evoluzione normativa e soprattutto giurisprudenziale in tema di attività dell’agente provocatore e delle relative scriminanti.
43. L’art. 97 del D.P.R. 309/90 costituisce, sotto tale specifico aspetto, la risultante normativa di una copiosa elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria riguardante la responsabilità penale dell’agente provocatore inteso come il soggetto provoca un delitto al solo fine di assicurare il colpevole alla tale categoria di persone appartengono i militari delle forze di polizia che si prefiggono l’obbiettivo di raccogliere prove da utilizzare contro organizzazioni criminali o, comunque, di porre in essere attività volte alla scoperta di gravi reati.
43.1 La giurisprudenza prevalente, in linea anche con la dottrina penalistica che riconosce la responsabilità penale dell’agente provocatore ritenendo irrilevante ai fini della non punibilità l’intenzione di denunciare gli autori di un reato, non potendosi comunque ammettere un comportamento che, oggettivamente e soggettivamente, abbia contribuito a ledere o mettere in pericolo un bene giuridico, afferma che – in applicazione della scriminante dell’adempimento di un dovere prevista dall’art. 51 p. e di quanto dispone l’art. 55 c.p.p. che fa obbligo alla polizia giudiziaria di assicurare le prove dei reati e di ricercarne i colpevoli – l’agente provocatore non incorre in responsabilità solo in quelle ipotesi nelle quali la sua opera si risolva in una attività di osservazione, controllo e contenimento delle azioni illecite altrui. Rimangono così escluse dal novero delle scriminanti tutte quelle attività che abbiano, sia materialmente che moralmente, contribuito alla realizzazione del reato: in particolare il riferimento è al soggetto istigatore in senso stretto e al determinatore o al soggetto cd. “infiltrato”, le cui condotte hanno portata sicuramente più ampia e varia rispetto a quella della semplice istigazione e sono tutte riconducibili nella sfera della oggettiva illiceità penale.
43.2 In questi termini, ed in particolare sui rapporti esistenti tra la scriminante speciale prevista dall’art. 97 D.P.R. 309/90 e la causa di giustificazione prevista dall’art. 51 p., si è ripetutamente espressa la giurisprudenza di questa Corte Suprema affermando alcuni importanti principi. In particolare è stato precisato che “Fuori dalle ipotesi disciplinate dall’art. 97 d.P.R. n. 309/90, l’attività del cosiddetto agente provocatore che, d’accordo con la polizia giudiziaria, propone ad uno spacciatore e realizza la compravendita di droga al fine di farlo arrestare, è del tutto fuori dalla sfera di operatività dell’art. 51 cod. pen., ossia dell’adempimento di un dovere di polizia giudiziaria. Non può farsi discendere dall’obbligo della polizia giudiziaria di ricercare le prove dei reati e di assicurare i colpevoli alla giustizia l’esclusione, ex art. 51 cod. pen., della responsabilità del cosiddetto agente provocatore di polizia giudiziaria, giacché è adempimento di un dovere (art. 219 cod. proc. pen. 1930 e art. 55 cod. proc. pen. 1988) perseguire i reati commessi, non già di suscitare azioni criminose al fine di arrestarne gli autori”. (così Sez. 6, 11.4.1994 n. 6425, Curatola, Rv. 198517; conforme Sez. 6, 3.12.1998 n. 669, Carista ed altri, Rv. 213901).
43.3 Ed ancora, è stato chiarito che “In materia di stupefacenti, fuori dalla rigorosa e dettagliata normativa espressamente disciplinata dall’art. 97 P.R. n. 309/90 al fine di controllare un’attività delicatissima e soggetta ad alto rischio di inquinamento, non è consentito alcun margine interpretativo per introdurre scriminanti o cause di non punibilità per i privati collaboratori della polizia giudiziaria. Ne consegue che, fuori dalla ipotesi di cui all’art. 97 cit., il cosiddetto agente provocatore, anche se appartenente aJ/a polizia giudiziaria, non è punibile ex art. 51 cod. pen. soltanto se il suo intervento è indiretto e marginale nell’ideazione ed esecuzione del fatta, se cioè il suo intervento costituisce prevalentemente attività di controlla, osservazione e di contenimento dell’altrui illecita condotta. Egli è invece punibile, a titolo di concorso nel reato, se la sua condotta si inserisce con rilevanza causale rispetto al fatto commesso dal provocato, nel senso che l’evento delittuoso che si produce è riferibile anche alla condotta dell’agente provocatore” (Sez. 6, n. 6425/94 cit.).
43.4 Tale orientamento è rimasto assolutamente stabile anche dopo le modifiche introdotte dall’art. 9 della L. 146/06 v. postea) che ha ridisegnato, ampliandone i contenuti, la struttura dell’art. 97 D.P.R. 309/90, affermandosi che “In tema di criminalità organizzata, con riferimento alle speciali tecniche di investigazione preventiva (che possono anche prescindere da/l’esistenza di indagini preliminari relative a uno specifico fattoJ e che sono previste dalla n. 146 del 2006 (di ratifica della Convenzione ONU contro il crimine organizzato), va affermato che non sono lecite le operazioni sotto copertura che si concretizzino in un incitamento o in una induzione al crimine del soggetto indagato: l’agente infiltrato non può pertanto commettere azioni illecite diverse da quelle dichiarate non punibili (art. 9 legge citata), o a esse strettamente e strumentalmente connesse” (Sez. 2A 28.5.2008 n. 38488, Cuzzucoli e altri, Rv. 241442; nell’affermare tale principio, la Corte ha precisato che la figura, così legislativamente delineata, dell’agente infiltrato non va confusa con quella dell’agente provocatore, che non ha mai trovato definizione esplicita nella legge). In senso assolutamente si è espressa anche Sez. 6, 30.10.2014, n. 51678, Ursino, Rv. 261449, secondo cui, con riferimento alle speciali tecniche investigative enunciate nell’art. 9 della L. 146/06, non possono definirsi lecite operazioni sotto copertura concretizzantesi in un incitamento o in una induzione al crimine del soggetto indagato, perché non è consentito all’agente infiltrato commettere azioni illecite diverse da quelle dichiarate non punibili dall’art. 9 della legge citata, o a esse strettamente e strumentalmente connesse.
43.5 Peraltro tali pronunce acquistano rilevanza specifica anche sotto l’aspetto più propriamente processuale, essendosi più volte ribadito il principio che “In tema di criminalità organizzata, con riferimento alle speciali tecniche di investigazione preventiva previste dalla 146 del 2006 (di ratifica della Convenzione ONU contro il crimine organizzato), e alla figura dell’agente infiltrato o sotto copertura, qualora questi commetta azioni illecite diverse da quelle dichiarate non punibili (art. 9 legge citata), ed esorbiti dai limiti legislativi posti alla sua azione cosi determinando con il suo comportamento fatti penalmente rilevanti, egli assume la figura di coimputato in procedimento connesso o co/Jegato, e di conseguenza, alle sue dichiarazioni si applica la disciplina di cui agli artt. 192 e 210 cod. proc. pen. “. (v. Sez. 2, 28.5.2008 n. 38488, cit. In sentenza è stato specificato che, laddove l’agente sotto copertura operi entro i limiti di legge, alla sua testimonianza circa quanto da lui appreso dall’imputato durante le investigazioni non si applica l’art. 62 cod. proc. pen. posto che il divieto ivi previsto non attiene alle dichiarazioni che costituiscano o accompagnino la condotta criminosa direttamente riferita dall’agente infiltrato.; nello stesso senso Sez. 6, 11.2.2009 n. 12142, P.G. in proc. Porcacchia e altri, Rv. 242935 con riferimento agli aspetti processuali legati alle modalità di esame dei soggetti che abbiano agito in violazione delle norme).
43.6 Viene, quindi, ribadito il concetto che per farsi luogo a scriminanti speciali, l’omissione o il ritardo di atti di sequestro o di arresto in tanto sono giustificabili in quanto l’agente si sia limitato ad un atteggiamento passivo di controllo o di semplice esecuzione di modalità criminose già oggetto di specifici accordi definiti da altrui nell’ambito del traffico di stupefacenti.
43.7 Proseguendo nella sintetica disamina della normativa di riferimento, va ricordato che rispetto alla esimente speciale di cui al ricordato art. 97 D.P.R. 309/90 (anche nella versione aggiornata per effetto dell’art. 9 della 146/06) la scriminante ordinaria prevista – sotto forma di riserva legale – dall’art. 51 cod. pen. (come risulta dalla locuzione contenuta nell’incipit della norma speciale “fermo il disposto dell’art. 51 codice penale”), opera in via residuale e sussidiaria quando, cioè, non sia possibile applicare t’esimente speciale nell’ottica di un ampliamento dell’area di intervento della polizia giudiziaria.
43.8 Ed è proprio questa la filosofia che caratterizza l’art. 9 della L. 146/06 il quale, innovando in modo significativo il precedente testo dell’art. 97 D.P.R. 309/90, ha esteso in modo rilevante l’ambito delle attività sotto copertura non punibili con una disciplina di valenza pressoché generale ed applicabile a tutti quei settori criminali già interessati dalle specifiche previsioni prima enunciate. Si tratta di una serie di ipotesi speciali di non punibilità (inserite nel testo di legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale del 2000) che detta una nuova, più ampia e dettagliata disciplina applicabile a tutti quei settori nei quali il legislatore, in modo per vero piuttosto disorganico, era intervenuto a partire dagli anni ’90, con l’introduzione delle varie ipotesi di esimenti speciali successivamente abrogate dal nuovo testo (ad eccezione di quella prevista dall’art 97 D.P.R. 309/90 introdotta soltanto nel settore degli stupefacenti).
43.9 Ritornando alla struttura ampliata dell’art. 97 D.P.R. 309/90, nella nuova formulazione, questo è intitolato “attività sotto copertura” laddove la vecchia norma parlava di “acquisto simulato di droga”.
La norma in esame prevede la non punibilità degli ufficiali di P.G. addetti alle apposite unità specializzate antidroga i quali, in esecuzione di operazioni antidroga specificamente disposte dalla Direzione centrale per i servizi antidroga o, sempre d’intesa con questa, dal questore, dal comandante provinciale dei Carabinieri o della Guardia di Finanza o dal comandante del nucleo di polizia tributaria o dal direttore della Direzione investigativa antimafia, al solo fine di acquisire elementi in ordine ai delitti concernenti sostanze stupefacenti, anche per interposta persona, acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano sostanze stupefacenti o psicotrope o compiono attività prodromiche o strumentali.
43.10 Queste, in sintesi, le principali caratteristiche della nuova disciplina rispetto a quella previgente:
a) il novero delle condotte ricomprese nella esimente, prima consistenti nel solo acquisto simulato dello stupefacente ora risultano non punibili anche nelle ipotesi di attività di occultamento, sostituzione, ricezione, o attività a queste prodromiche e strumentali;
b) viene riconosciuta la passibilità per agenti ed ufficiali di p. g. di utiIizzare documenti, identità o indicazioni di copertura anche per attivare o entrare in contatto con soggetti e siti nelle reti di comunicazione;
c) viene ammessa la possibilità di avvalersi di ausiliari e di “persone interposte”;
d) viene attribuito un ruolo più decisivo alla Direzione centrale per i servizi antidroga il cui assenso è richiesto “sempre” in quanto deve infatti trattarsi di speciali operazioni di operazioni antidroga specificamente disposte dalla Direzione centrale per i servizi antidroga o, d’intesa con questa, da organi di vertice dell’amministrazione di polizia.
43.11 Si tratta di innovazioni di rilevante importanza che le difese dei ricorrenti hanno invocato senza successo nel corso del giudizio di merito e che in questa sede vengono rivisitate alla luce di un asserito malgoverno della disciplina normativa da parte della Corte distrettuale.
43.12 Per la verità la stessa giurisprudenza di legittimità, ben prima del varo delle nuove disposizioni, si era orientata nel senso di un ampliamento della causa di giustificazione de qua volto a ricomprendere le condotte accessorie e strumentali, riconoscendo la non punibilità delle condotte che necessariamente precedono o seguono il vero e proprio acquisto dello stupefacente e che, logicamente, debbono ritenersi in essa contemplati seppur in via implicita (così Sez. 6A 669/98 cit.; ancora Sez. 4A 5.2001 n. 33561, Tomassini ed altri, Rv. 220264, secondo cui “In tema di reati concernenti le sostanze stupefacenti, la disposiz;one d; cui all’art. 97 del DPR 9/10/1990 n. 309, secondo la quale non sono punib;/; gli ufficiali di Polizia giudiziaria che, nello svolgimento di specifiche operazioni investigative antidroga, acquistino sostanze stupefacenti, va interpretata nel senso che è esclusa la punibilità della condotta de/l’agente non soltanto con riferimento all’acqu;sto della droga, ma anche in relazione a tutte quelle altre attività connesse, tese comunque all’accertamento dei destinatari e dei successivi ricettori dello stupefacente” (conforme Sez. 6A 14.11.2002, n. 14355 Luzi ed altri, Rv. 224675).
43.13 Orbene le censure sollevate dalle difese circa ta mancata o comunque erronea applicazione dell’art. 97 D.P.R. 309/90 anche nella forma aggiornata in conseguenza della L. 146/06 e delle disposizioni contenute nella 49/06, sono prive di fondamento in quanto la Corte di merito, esaminando a fondo le varie condotte degli imputati, ha ravvisato una serie di gravi anomalie puntualmente indicate con estremo rigore logico e corretta applicazione delle norme e dei principi elaborati in materia dalla giurisprudenza peraltro risalente e assolutamente stabile di questa Corte Suprema che impedivano di riconoscere l’esimente speciale invocata.
44. Da parte della difesa è stata censurata la mancata applicazione da parte della Corte distrettuale della cd. “scriminante putativa” ex art. 59 comma 4 cod. pen. sotto il profilo sia dell’inosservanza della legge penale che della manifesta illogicità della motivazione: tali censure per come emerge pacificamente dai contenuti dei motivi quinto, sesto e settimo – concernono le singole operazioni, affrontandosi in tale sede – con dovizia di argomentazioni e ripetuti accenni alle singole vicende ed agli antefatti – i temi relativi alla insussistenza dell’elemento materiale del reato (che la Corte di merito ha inteso circoscrivere alla condotta di importazione per la quale si è ritenuto essere sufficiente il dolo generico).
Sostengono le difese la tesi del reato cd. “impossibile” in quanto, a loro dire, l’importazione non era finalizzata alla immissione sul mercato della droga proveniente dall’estero (anche perché era continuamente sotto osservazione il percorso successivo alla importazione in Italia controllata da altri Ufficiali dell’Arma negli appositi spazi doganali ove la droga transitava), ma serviva solo per risalire ai canali di traffico italiani.
Viene poi fatto specifico riferimento – soprattutto sotto il profilo manifesta illogicità della motivazione – alla opposta soluzione adottata dal Tribunale di Bergamo (poi confermata dalla Corte distrettuale) nei confronti del coimputato Dott. Mario CONTE prosciolto da ogni accusa con riferimento a tutte le singole operazioni, per carenza dell’elemento soggettivo del reato in applicazione della scriminante putativa, sottolineandosi, al riguardo, l’assoluta anomalia di una decisione nella quale, a fronte di un comportamento ritenuto legittimo da parte del magistrato che impartiva le varie regole da seguire nella organizzazione delle singole attività sotto copertura, è stato, invece, ritenuto illegittimo il comportamento dei vari Ufficiali di P.G. che non avevano fatto altro che (e)seguire le regole impartite dal magistrato ed attenersi agli ordini.
In questo senso viene fatto riferimento esplicito sia alla carenza dell’elemento oggettivo dei singoli reati di cessione, sottolineandosi che non solo la condotta di importazione andasse qualificata come reato impossibile, ma che in ogni caso si trattava di condotta priva di offensività giuridica, al pari della condotta successiva di cessione (che la Corte territoriale ha comunque ritenuta assorbita nella condotta prodromica di importazione); sia alla carenza dell’elemento soggettivo del reato ed alla erronea applicazione della legge penale in tema di mancata applicazione della esimente putativa.
Viene, in questo senso, ribadito il concetto che gli eventuali errori – anche gravi – di metodo commessi dagli agenti sotto-copertura non possono assurgere ad elementi di reità, occorrendo pur sempre per le condotte contestate il dolo, per di più nella forma eventuale e comunque specifico e non generico, come invece erroneamente ritenuto dalla Corte distrettuale.
Errata anche la definizione attribuita dalla Corte di merito alla condotta dì importazione come “reato di pericolo”, in quanto la condotta posta in essere dai singoli militari non ha posto in pericolo alcunchè, risultando sempre sotto il diretto controllo di altri Ufficiali superiori.
44.1 Le censure nei termini in cui sono formulate, oltre a contenere numerosi e marcati riferimenti di tipo fattuale che di fatto rendono inammissibili le censure sotto il profilo che si tratta di una proposizione di versioni alternative rispetto a quelle valutate e ritenute dalla Corte di merito, sono nel loro complesso infondate.
44.2 Questa Corte, infatti, non essendo giudice del merito, non può procedere ad una rilettura degli atti processuali posti a fondamento della decisione o adottare parametri ricostruttivi diversi da quelli utilizzati dai giudici del merito perché ritenuti più plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, in quanto tale modo di argomentare trasformerebbe la Corte in un ennesimo giudice del fatto, impedendole quella funzione sua propria la funzione propria consistente nel controllo della motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici del merito in punto di rispetto di una intrinseca razionalità e della capacità di spiegare l’iter logico seguito per giungere alla decisione.
Nel caso di specie quindi la motivazione della Corte non contiene alcuna manifesta incoerenza o errore giuridico. Valgano in proposito le seguenti considerazioni ad integrazione delle argomentazioni sviluppate dal giudice di appello che – è bene precisare subito si sottraggono certamente al denunciato vizio di manifesta illogicità.
44.3 Come è noto, infatti, di illogicità manifesta può parlarsi nella ipotesi di una motivazione sviluppata in modo palesemente sì da essere percepita ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità, al riguardo, essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi di diritto (cfr. Cass. Sez. Un. 21.9.2003 47289, Petrella, Rv. 226074; Sez. 3″‘- 12.10.2007 n. 40542, Marrazzo e altro, Rv. 238016).
Invero il legislatore ha inteso equiparare la illogicità della motivazione alla sua sostanziale carenza la quale va desunta, più che dalla mancanza di parti espositive del discorso motivazionale, “dalla assenza di singoli elementi esplicativi, i quali siano tali da costituire tappe indispensabili di un percorso logico-argomentativo, che deve necessariamente snodarsi tra i temi sui quali il giudice è tenuto a formulare la sua valutazione” (così Sez. 5″‘- 16.3.2000 n. 4893, P.G. in proc. Frasca, Rv. 215966). Così come è stato ribadito il concetto che l’illogicità manifesta deriva da una vera e propria frattura logica tra una premessa e le conseguenze che da essa si traggono (Sez. 1A 12.5.1999 n. 9539, Commisso e altri, Rv. 215132).
Sostanzialmente simile il vizio di contraddittorietà (la quale si traduce in una affermazione o un ragionamento uguale e contrario rispetto ad altro vertente sul medesimo punto), precisandosi però che deve trattarsi di vizio che deve risultare dal testo del provvedimento impugnato e che, introdotto come categoria autonoma dalla L. 46/06, si manifesta come una incongruenza interna tra svolgimento del processo e decisione e si atteggia, quindi, come una sorta di contraddittorietà “processuale” in contrapposizione alla contraddittorietà “logica” che è intrinseca al testo del provvedimento.
44.4 Orbene la Corte di merito, uniformandosi ai detti principi non è incorsa nel vizio denunciato in quanto è partita da una serie di premesse di tipo fattuale (si tratta di quelle premesse riguardanti i prodromi delle singole operazioni e la vaghezza di informazioni contenute nelle varie informative di P.G.) dalle quali è stata tratta la coerente conclusione di condotte illegali poste in essere dagli imputati in quanto al di fuori delle schemi – per vero assai rigidi – imposti dalla normativa in tema di azioni sotto-copertura.
45. Tanto rilevato e ritornando al profilo affrontato dalle difesa in merito al tema della scriminante putativa, la Corte di Milano ha affrontato in modo specifico tale questione escludendo l’applicabilità di tale scriminante invocata dalle difese degli imputati in via subordinata, sul presupposto di una possibile errata interpretazione di norme e regole di comportamento da seguire nelle indagini collegate ai traffici internazionali di stupefacenti, in dipendenza della istituzione recentissima sia della normativa riguardante gli acquisti simulati di stupefacenti, sia del reparto Operativo Speciale dei Carabinieri; ancora, in relazione ai rapporti di collaborazione e espletati dai militari del ROS con gli agenti della D.E.A. statunitense che, in materia, agivano con regole diverse e comunque più flessibili rispetto a quelle elaborate dal sistema italiano; sia in dipendenza della intervenuta assoluzione del Sostituto Procuratore della Repubblica di Bergamo dott. CONTE, coimputato in provvedimento separato e prosciolto dalle stesse accuse con il riconoscimento dell’esimente in parola; sia ancora, in relazione all’assenza di perplessità o censure sollevate dai vertici militari sulle singole operazioni condotte dai militari del R.O.S. di Bergamo.
45.1 Il percorso argomentativo della Corte a giudizio del Collegio non presenta nessuno dei due vizi denunciati: sul piano logico il parallelismo con l’assoluzione del coimputato CONTE (assoluzione confermata anche in grado di appello) presuppone anzitutto il fatto che questi è stato assolto proprio perché fuorviato dalle informative che man mano i militari del ROS gli avevano fatto pervenire unitamente a specifiche richieste di autorizzazione, in quanto sarebbe stato del tutto irragionevole pensare che il magistrato, consapevole delle anomalie contenute nelle varie informative, le avrebbe autorizzate (come accaduto nel caso del Dott. SPATARO). Tanto si ricava anche dall’accenno della Corte territoriale all’intervento risolutore del Sostituto Procuratore della Repubblica di Milano SPATARO, quando questi, presa coscienza nell’ambito dell’operazione “COBRA” della mancanza di contatto tra fornitore colombiano e destinatari italiani non ha esitato a negare la prosecuzione dell’operazione, ordinando il sequestro e la distruzione del quantitativo (stimato in circa 200 kg.) di cocaina. Segno, dunque, che l’autorità giudiziaria era molto attenta ad evitare che venissero superati i limiti imposti dalla legislazione per operazioni sotto copertura.
45.2 Anche l’accenno al “appunto Minopoli” (dal nome del Colonnello dei carabinieri che, nel corso di una riunione nei locali della D.C.S.A. in data 17 gennaio 1993 svoltosi anche alla presenza di alcuni ufficiali e sottufficiali del ROS – Cap. FISCHIONE e M.llo PALMISANO – espresse le proprie riserve sulle procedure seguite dai militari in difformità alte intenzioni di altri militari) ha consentito alla Corte territoriale non solo di escludere che i suddetti militari fossero inconsapevoli delle irregolarità, ma persino di affermare che l’azione dei militari nelle operazioni successive è stata caratterizzata da un superamento ancor più marcato dei limiti imposti dalla legislazione.
45.3 Assolutamente puntuale, poi, il richiamo ad una decisione di questa Corte Suprema nell’ambito delle attività dei militari dell’Arma in operazioni antidroga che ne ha escluso la legittimità affermando il principio della inescusabilità dell’ignoranza, da parte di un ufficiale di polizia giudiziaria che agisca sotto copertura, dell’ambito di applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 97, P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 che, al tempo di commissione del fatto, era chiaramente limitato al solo acquisto simulato di sostanze stupefacenti. E la Corte ha spiegato in quella occasione (si trattava di vicende verificatesi in Genova che vedano quale protagonista imputato il Col. CC. RICCIO condannato per tali fatti) che l’inevitabilità dell’errore non è mai configurabile quando l’agente svolge attività in un settore nel quale ha il dovere di informarsi con diligenza sui limiti dei propri poteri (Sez. 3, 10.3.2011 n. 18896, Riccio e altro, Rv. 250285).
Con tale decisione si ribadisce in modo chiaro non solo quali siano i limiti invalicabili nell’ambito delle operazioni sotto copertura laddove superati, ma anche le conseguenze sul piano sostanziale di tale superamento in termini di responsabilità penale (oltre che eventualmente disciplinare).
Ed ancora, si chiariscono i confini della scusabilità dell’errore di interpretazione – che i ricorrenti pongono a fondamento della scriminante putativa – nel senso che questo è escluso laddove ricorra un preciso e stringente dovere di informazione preventiva da parte di soggetti quali i militari del R.O.S. (specialmente nei gradi più elevati di ufficiali e sottufficiali) circa i limiti delle azioni da condurre attraverso agenti infiltrati. Non per nulla la Corte di Milano menziona i protocolli di azione stilati dalla D.C.S.A improntati ad un rigoroso rispetto delle norme di legge che consentivano di procedere soltanto al fine di assicurare le prove di traffici di sostanze stupefacenti già in corso con l’accertamento della identità del fornitore e del destinatario.
45.4 Le censure dei ricorrenti – in riferimento a tale aspetto – non si discostano dal clichè della ricostruzione alternativa delle singole vicende legate a quelle operazioni, nel tentativo di accreditare un diverso svolgimento dei fatti che consentisse di affermare l’esistenza di pregressi contatti con fornitori già identificati e dunque, di ritenere che l’intervento dei militari fosse limitato a stroncare attività in corso non da loro sollecitate o, peggio ancora, determinate.
46. Connesso a tale motivo è anche quello – contenuto negli ultimi tre motivi – relativo all’aspetto materiale del reato, all’elemento soggettivo ed alla figura del reato impossibile per inoffensività della condotta.
46.1 Anche in questo caso le argomentazioni difensive sono prive di fondamento a fronte di motivazioni adottate dalla Corte distrettuale assolutamente rispettose sia del dato normativo, sia ancor più, della logicità del ragionamento seguito.
46.2 La Corte territoriale, nell’affrontare in modo specifico tali questioni ha, con ragionamento ineccepibile e coerente con il dato normativo, ribadito la sussistenza materiale dei reati tenuto conto che la condotta contestata era (ed è) quella di importazione della droga che costituisce un prius logico rispetto alla cessione: la invocata inoffensività della condotta è stata dunque esclusa convincentemente dalla Corte territoriale evidenziandosi che proprio la condotta di importazione integra una chiara ipotesi di reato di pericolo collegato al rischio di immissione della droga sul mercato (e vengono citati da parte della Corte alcuni episodi, seppur marginali, di cessioni di stupefacenti con l’intento di invogliare i destinatari all’acquisto per poi trarli in arresto, sfociate in dispersione della droga non più recuperata, timore, peraltro, esternato da uno degli imputati – il M.llo LOVATO – nel corso delle sue dichiarazioni spontanee (vds. pag. 271 della sentenza impugnata).
46.3 Con dovizia di argomenti è stata anche esclusa la suggestiva tesi del reato impossibile soprattutto in connessione con il mancato rispetto dei limiti propri dell’art. 97 D.P.R. 309/90 superati dai militari che per ciò solo, travalicandoli, hanno commesso un
46.4 Come precisato da una risalente giurisprudenza rimasta del tutto invariata “Ai fini della configurabilità del reato impossibile, ai sensi dell’art. 49 comma secondo cod. pen., la inidoneità dell’azione va valutata in rapporto alla condotta originaria dell’agente, la quale per inefficienza strutturale o strumentale del mezzo usato ed indipendentemente da cause estranee o estrinseche, deve essere priva in modo assoluto di determinazione causale nella produzione dell’evento. L’accertamento di tale requisito, che non può prescindere dalla considerazione del caso concreto e dal riferimento alla fattispecie legale, deve, perciò, avere riguardo all’inizio dell’azione la cui inidoneità deve essere assoluta, nel senso che rispetto ad essa ;J verificarsi dell’evento si profili come impossibile e non soltanto come improbabile. (S.U. 30.4.1983 n. 6218, Bandinelli, Rv. 159725).
46.5 L’impossibilità del reato, da valutarsi con giudizio ex ante, va comunque esclusa ai fini della consumazione del reato di cessione di stupefacenti, non essendo necessaria la consegna ma bastando il consenso delle parti contraenti su quantità e qualità della sostanza e sul prezzo da corrispondere (così Sez. 4A 5.2009 n. 38222, Casali, Rv. 245293). E la Corte, uniformandosi a tale principio, ha sottolineato che essendo risultato pagato il prezzo delle droga nelle varie operazioni contestate con ricezione del denaro da parte del cedente che lo ha poi utilizzato per corrisponderne una parte al fornitore, il reato si è ancor meglio definito nei suoi elementi essenziali.
47. Quanto, poi, all’elemento soggettivo, la tesi del dolo specifico collegata alla circostanza che la finalità perseguita dai militari non era quella di immettere la droga sul mercato ma quella di avvalersene per individuare i soggetti operanti sul mercato interno dediti al traffico, onde arrestarli, è stata a ragione esclusa dalla Corte che ha ribadito come ai fini della integrazione della fattispecie di importazione della droga fosse sufficiente il dolo generico.
47.1 Orbene le considerazioni difensive, integrate dalle consuete considerazioni fattuali di cui si è detto, non si discostano in questa sede dalle tesi prospettate in fase di appello e ritenute infondate dalla Corte, sicchè anche per tale ragione si tratta di censure prive di fondamento posto che le argomentazioni a sostegno dei ricorsi non hanno apportato elementi di novità tali da porre in discussione il convincimento della Corte di Appello.
47.2 Conclusivamente quindi i ricorsi LOVATO ARPA BENIGNI e LAZZERI ZANONI su tali punti risultano infondati.
Ricorsi FISCHIONE. COSTANZO. LEONE
48. Molti dei motivi presi in esame in riferimento alle posizioni dei ricorrenti LOVATO, ARPA, BENIGNI e LAZZERI ZANONI sono comuni a quelli prospettati dalle difese dei ricorrenti FISCHIONE, PALMISANO e LEONE.
49. Sotto il profilo metodologico quindi questa Corte non ritiene di affrontare in modo specifico – se non con accenni fugaci laddove ne ricorra la necessità – argomenti già diffusamente trattati nell’esaminare la posizione di altri ricorrenti.
50. Invece alcune considerazioni vanno svolte con riferimento alla preliminare eccezione – ribadita in questa sede, di illegittimità costituzionale dell’art. 585 cod. proc. pen. e dell’art. 154 bis Disp. Att. Cod. proc. pen. per asserito contrasto con gli artt. 3, 24, 111e 117 Cast.; ancora al secondo motivo in punto di asserita inosservanza della legge processuale penale (art. 63 commi 1° e 2° cod. proc. pen.}, 503 commi 3° e 4° stesso codice; 514, 238 comma 4° stesso codice, nonchè di difetto di motivazione perché illogica e contraddittoria, oltre che apparente, in relazione alla ritenuta utilizzabilità delle dichiarazioni rese dagli imputati Costanzo LEONE e Laureano PALMISANO al Pubblico Ministero presso il Tribunale di Brescia nel corso delle indagini preliminari, senza le prescritte garanzie difensive nonostante gli stessi fossero già raggiunti da plurimi e consistenti indizi di reità; al terzo motivo afferente alla supposta inosservanza dell’art. 141 bis proc. pen. in riferimento agli interrogatori resi dal collaborante Biagio ROTONDO al P.M. in quanto privi di integrale documentazione con i mezzi di riproduzione fonografica, con conseguente inutilizzabilità degli stessi; al quarto motivo afferente al difetto assoluto di motivazione in punto di valutazione di attendibilità delle dichiarazioni del collaborante ROTONDO Biagio; ed ancora al nono, decimo, undicesimo, dodicesimo, tredicesimo e quattordicesimo motivo che verranno meglio affrontati di qui a breve.
51. Con riferimento alla preliminare eccezione di illegittimità costituzionale (eccezione che ripropone analogo tema già vagliato dalla Corte di Appello), ritiene la difesa che le norme processuali (art. 585 comma 1 cod. proc. pen. in tema di termini per l’impugnazione e art. 154 comma 4 bis Att. cod. proc. pen. in tema di prolungamento dei termini su espressa richiesta del giudice, disposto dal Presidente della Corte di Appello o del Tribunale) siano in contrasto con gli artt. 3, 24, 111 e 117 Cast. nella parte in cui non è prevista al pari della deroga consentita ai magistrati per la stesura della motivazione nei casi di processi di particolare complessità, la possibilità per i difensori di usufruire di un termine più lungo di quello ordinario previsto dal comma 1 dell’art. 585 cod. proc. pen. per impugnare la sentenza.
51.1 La decisione della Corte di merito di ritenere manifestamente infondata tale questione è assolutamente corretta e va condivisa in quanto la prospettata disparità di trattamento non sussiste affatto, tenuto conto che le situazioni in raffronto sono completamente diverse.
51.2 Secondo quanto disposto da tale norma il Presidente della Corte d’appello (o secondo i casi, il Presidente del Tribunale) può prorogare, su richiesta motivata del giudice che d procedere alta redazione della motivazione, i termini previsti dall’articolo 544, comma 3, del codice, per una sola volta e per un periodo massimo di novanta giorni, esonerando, se necessario, il giudice estensore da altri incarichi.
51.3 Si tratta di una deroga dettata dalla particolare complessità del procedimento vuoi per il numero degli imputati, vuoi per la particolarità delle questioni trattate che vale ovviamente solo per il giudice, dovendo egli attendere personalmente alla stesura della motivazione e nel contempo occuparsi degli altri provvedimenti a lui affidati. Tale compito, come rettamente osservato dalla Corte distrettuale, non è delegabile da parte del giudice ad altri, mentre il difensore incaricato della stesura dell’atto di impugnazione può certamente avvalersi della collaborazione di altri professionisti facenti parte del suo studio, ed ha quindi un’ampia libertà organizzativa che non si ritrova per il giudice: ciò giustifica quindi la differenza di regime per il giudice e per il difensore, tenuto oltretutto conto del fatto che, mentre il compito del giudice, soprattutto nel caso dì processi riguardanti una pluralità di imputati e di imputazioni, è ovviamente di particolare ampiezza dovendo abbracciare sia le diverse posizioni degli imputati che le singole imputazioni, diverso è il compito del difensore laddove questi sia chiamato ad affrontare – come nel caso di specie – questioni che riguardano alcuni soltanto degli imputati ed alcune soltanto delle imputazioni, il che vale a rimarcare – se mai ve ne fosse stato bisogno – la differenza ab origine delle due posizioni che rende la norma del tutto ragionevole sul piano costituzionale, senza che possa rinvenirsi alcun nocumento per la difesa.
52. Infondato risulta il secondo motivo connesso ad una pretesa inosservanza dell’art. 63 cod. proc. pen. in riferimento alle dichiarazioni rese dagli imputati PALMISANO e LEONE ritenute utilizzabili dal Tribunale (e di riflesso dalla Corte di Appello) nonostante, a detta della difesa, sussistesse una specifica ipotesi di inutilizzabilità derivante dal fatto che al momento di rendere quelle dichiarazioni per entrambi gli imputati sussistevano indizi di colpevolezza a loro carico.
52.1 L’argomento, già affrontato da questa Corte Suprema nel corso dell’esame della posizione dei ricorrenti LOVATO, ARPA, BENIGNI e LAZZERI ZANONI, merita alcune ulteriori puntualizzazioni che riconfermano la correttezza della soluzione precedentemente adottata.
52.2 Le informazioni rese dai detti sottufficiali (unitamente a quelle rese dall’imputato RINNALDI poi assolto) riguardano dichiarazioni rilasciate nel corso delle indagini al Pubblico Ministero presso il Tribunale di Brescia Dott. SALAMONE: dichiarazioni che la difesa ripropone in sintesi, ripercorrendo i tempi di quelle dichiarazioni e delle vicende processuali riguardanti i detti imputati che comproverebbero l’esistenza di indizi a loro carico.
52.3 Ora, a parte, ancora una volta, l’osservazione che l’esposizione, sia pure certosina, dei fatti dimostrativi di tale posizione contiene riferimenti fattuali il cui esame è decisamente precluso a questa Corte, rimane quale risposta dirimente il fatto che quando i due sottufficiali vennero sentiti dat Dott. SALAMONE, la loro posizione era del tutto fumosa sicchè non era possibile delineare con la dovuta certezza processuale che costoro fossero indiziati dei reati.
52.4 E comunque non è affatto vero che l’affermazione della Corte di merito su tale punto sia vuota di contenuto e dunque apparente, perché risoltasi in una vera e propria clausola di stile, in quanto tale affermazione deriva da una valutazione a monte di tali situazioni che rende la motivazione della Corte (così come del Tribunale) logica e rispettosa dette norme processuali.
52.5 Così come non è censurabile sotto il profilo logico nei termini di manifesta illogicità adombrati dalla difesa, l’ulteriore precisazione della Corte circa una utilizzazione di tali dichiarazioni solo per le contestazioni e comunque in modo marginale e residuate, altri essendo gli elementi sui quali si è fondata la conferma della loro colpevolezza.
52.6 Né gli argomenti addotti dalla difesa consentono di superare tali affermazioni, non contenendo elementi di novità tali da travolgerle. Va, pertanto, confermata non solo l’insussistenza della dedotta violazione della legge processuale, ma anche l’insussistenza della pretesa manifesta illogicità alla luce di quei principi generali elaborati in materia dalla Corte di legittimità dei quali si è fatto ampio cenno in precedenza.
53. Infondato anche il terzo motivo collegato ad una asserita inosservanza dell’art. 141 bis cod. proc. pen.: nel ribadire quanto già osservato dal Collegio in occasione del vaglio delle posizioni del ricorrenti LOVATO, ARPA, BENIGNI e LAZZERI ZANONI, va ancora una volta sottolineato che l’obbligo di preventiva registrazione delle dichiarazioni di soggetto in stato di detenzione vale solo con riferimento alla detenzione inframuraria, laddove la Corte ha evidenziato come le sole dichiarazioni incriminabili (in quanto prive di registrazione) comprese tra il 26 e il n. 31 vennero rese dal collaborante ROTONDO quando questi si trovava ristretto in regime di arresti domiciliari. Vanno, in proposito, rammentate quelle decisioni giurisprudenziali (S.U. 25.3.1998 n. 9, D’Abramo, Rv. 210803; conforme Sez. 4A 14.1.2008 n. 6473, Di Domenico e altri, Rv. 238755) che si riferiscono ad un obbligo di registrazione solo in relazione ad una detenzione in carcere o altro istituto di custodia con conseguente utilizzabilità di quelle dichiarazioni non registrate laddove manchi tale specifica condizione.
54. Nel quarto motivo la difesa lamenta il difetto assoluto di motivazione in punto di valutazione di attendibilità delle dichiarazioni del collaborante Biagio ROTONDO. Già questa Corte ha dato conto della correttezza e logicità delle valutazioni espresse dalla Corte distrettuale in ordine alla valutazione della attendibilità del collaborante.
54.1 Il giudice di appello, in più passi della decisione impugnata (che la difesa dei ricorrenti giudica risibili per numero ed entità degli accenni, sempre per relationem, alla intrinseca ed estrinseca credibilità del ROTONDO), ha espresso un giudizio di attendibilità in merito alle dichiarazioni rilasciate da tale soggetto (dichiarazioni che, come ricorda la Corte di Appello, hanno dato inizio alle indagini).
54.2 In particolare non è vero – come sostenuto dalla difesa dei ricorrenti – che la Corte si sarebbe occupata di confermare l’attendibilità del ROTONDO soltanto in due pagine delle circa 300 che formano la sentenza impugnata (si tratta, secondo tale riduttiva tesi, delle pagg. 84 e 150 in cui si parla espressamente della conferma del giudizio di attendibilità sul conto del collaborante già espresso dal primo giudice e ripreso dalla Corte di merito).
54.3 In realtà la Corte di Milano, pur richiamando per relationem la ricostruzione delle singole operazioni come operata dal primo giudice, si è diffusamente e specificamente soffermata sull’apporto collaborativo del ROTONDO (indicato come l’originario motore delle indagini – vds. pag. 265 della sentenza impugnata) in occasione dell’esame delle singole operazioni, riportando, ovviamente per sintesi, le dichiarazioni del detto collaborante e raffrontandole con una serie di elementi esterni che ne asserivano l’attendibilità
54.4 Ma la Corte territoriale, in più occasioni (oltre quelle indicate dalla difesa dei ricorrenti) ha ribadito il proprio convincimento in ordine alla bontà delle dichiarazioni del ROTONDO come quando (pag. 147 della sentenza impugnata) ha posto in raffronto le dichiarazioni di tenore giustificativo dei militari della Sezione R.0.5. di Bergamo in collaborazione con altri sottufficiali del Reparto Speciale di Roma, in merito alla ricostruzione delle vicende sottostanti alla operazione “HOPE” con quelle, del tutto contrastanti, rese dal ROTONDO, sottolineando una serie di particolari (maneggio delle armi da parte di un certo “Alberto” presentato al ROTONDO dal M.llo LOVATO nell’agosto 1993) in merito al reperimento degli acquirenti, che ne accentuavano la già elevata credibilità rappresentata dalla linearità, precisione e coerenza del racconto del ROTONDO.
54.5 In materia va ricordato il costante indirizzo di legittimità secondo cui la dichiarazione del collaborante, laddove precisa e circostanziata, costituisce una legittima fonte di convincimento sempre che venga riscontrata esteriormente in modo tale da rendere verosimile il contenuto delle dichiarazioni (Sez. l”‘· 12.1998 n. 1495, Archinà e altri, Rv. 212275), mentre non rilevano eventuali discordanze marginali, o anche imprecisioni e persino falsità su uno specifico fatto tali da togliere credibilità all’intero apporto collaborativo, rientrando nei poteri e nei compiti del giudice di merito la verifica e la ricerca di “un ragionevole equilibrio di coerenza e qualità” di quanto narrato dal collaborante nel contesto di una valutazione globale (in questi termini Sez. 6″ 28.4.2010 n. 20514, Arman Ahemd e altri), Rv. 247346).
54.6 Ancora più illuminanti i riferimenti sul conto del ROTONDO contenuti nelle pagg. 265 e ss. della sentenza laddove la Corte territoriale, nell’esprimere le proprie considerazioni conclusive sulle singole operazioni e sulla responsabilità degli imputati, conferma in modo ancor più marcato il proprio giudizio di piena attendibilità del collaborante anche dal punto di vista intrinseco: militano in questo senso gli accenni alla assoluta irrilevanza del fine recondito per il quale il ROTONDO si sarebbe determinato ad iniziare una collaborazione con l’Autorità Giudiziaria (conseguimento di benefici premiali) tenuto conto che quello che occorreva accertare era invece il risultato della collaborazione e soprattutto la sussistenza di riscontri esterni puntualmente constatati.
54.7 Tali affermazioni sono in linea con l’orientamento assolutamente costanze di questa Corte Suprema secondo cui il c.d. “pentimento”, quasi sempre collegato a motivazioni utilitaristiche ed all’intento di conseguire vantaggi di vario genere, non può essere sufficiente per ritenere ex se attendibile il racconto, occorrendo invece una indagine da parte del giudice sul piano valutativo in ordine alle ragioni che possano aver indotto il soggetto alla collaborazione e sulla valutazione dei suoi rapporti con i chiamati in correità, oltre che sulla precisione, coerenza, costanza e spontaneità delle sue dichiarazioni (in termini Sez. 6A 30.10.2013 46483, Scognamiglio, Rv. 257389; conforme Sez. 3A 26.11.2009 n. 8161, La Delfa e altro, Rv. 246210; conforme Sez. 6A 3.10.2012 n. 43526, Ritorto e altri). Decisive, in proposito, a giudizio della Corte, le dichiarazioni del teste VOLLERO incaricato da parte dell’Autorità giudiziaria inquirente di Brescia di verificare i risultati raggiunti per effetto delle dichiarazioni del ROTONDO e la loro corrispondenza alla realtà processuale.
54.8 La Corte ha anche valutato le iniziative del ROTONDO alla luce di altri fatti similari verificatisi in riferimento ad operazioni sotto-copertura condotte dal Col. dei CC. RICCIO poi tratto in arresto per ragioni sostanzialmente analoghe a quelle che hanno visto protagonisti gli odierni imputati, esprimendo un positivo giudizio sulla attendibilità del ROTONDO dovuto al fatto che questi si sarebbe determinato a riferire quanto a sua conoscenza sul conto dell’operato dei militari del R.0.5. con i quali era entrato ripetutamente in contatto, non già perché indotto da spirito emulativo, quanto per una scelta razionale e meditata che lo aveva portato a segnalare le numerose irregolarità che aveva avuto modo di vivere personalmente dall’interno.
54.9. Anche i tentativi di screditarne l’immagine e di veicolare possibili finalità calunniose sul conto del GANZER, asseritamente perseguite dal ROTONDO (sulla base di dichiarazioni di tale NAPOLETANO Massimo suo compagno di detenzione al quale, a suo dire, il ROTONDO avrebbe confidato di voler deliberatamente accusare ingiustamente l’alto ufficiale, mosso da sentimenti di risentimento nei suoi confronti) sono stati ritenuti del tutto inidonei e privi di fondatezza: la Corte di merito ha, sul punto, precisato, ancora una volta, quali fossero i rapporti (di conoscenza) del collaborante con l’Ufficiale, del tutto insussistenti anche per ragioni di ordine temporale.
54.10 Orbene, mentre la Corte nel valutare la credibilità intrinseca del ROTONDO si è uniformata ai detti principi di diritto, la difesa dei ricorrenti, oltre a censurare l’operato della Corte di merito in modo superficiale ed approssimativo (nella misura in cui non ha posto sufficiente attenzione ad altri passaggi delta decisione ben più significativi sul tema), ha espresso valutazioni generiche e riferimenti fattuali non proponibili in sede di legittimità (valgano a titolo esemplificativo, i riferimenti a quanto dichiarato da BINI Vittorio e da BINI Giuseppe proprietari dell’Hotel Garda circa i possibili incontri ivi avvenuti tra il ROTONDO e ufficiali dell’Arma).
55. Del tutto generici risultano gli argomenti addotti dalla difesa nel nono motivo in ordine alla mancata assunzione della testimonianza dì tale John GENOVESE con riferimento operazione “COBRA”, nonché in ordine alla mancata riassunzione di PEIKOV Rodolfo (funzionario della D.E.A.) con riferimento alla operazione “HOPE” ed ai rapporti tra il M.llo LEONE e la fonte Josè ed infine, in ordine al mancato espletamento di perizia fonica in merito alle audiocassette contenenti le dichiarazioni del collaborante ROTONDO: oltre a richiamare quanto detto dalla Corte circa la superfluità e non decisività di tali circostanze, valgono in proposito le precedenti osservazioni del Collegio in merito alla assoluta eccezionalità dell’istituto processuale di cui all’art. 603 cod. proc. pen., riconosciuta dalla stessa difesa che, tuttavia, reputa insufficiente il richiamo a tali regole eccezionali e soprattutto contesta quell’orientamento, cui invece questo Collegio ritiene di aderire, secondo il quale l’obbligo di espressa motivazione in materia di rinnovazione parziale dell’istruzione dibattimentale (che di regola si presuma completa specie nel caso di cd. “doppia conforme”) ricorre non già nel caso del diniego della prova richiesta, ma nel caso opposto di accoglimento della richiesta, in coerenza con il principio della completezza dell’istruzione e della eccezionalità dell’istituto: invero, come precisato dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema, la decisione di procedere alla rinnovazione deve essere specificatamente motivata, occorrendo dar conto dell’uso del potere discrezionale, derivante dalla acquisita consapevolezza della rilevanza dell’acquisizione probatoria, mentre nel caso di rigetto la decisione può essere sorretta anche da una motivazione implicita che evidenzi la presenza di elementi sufficienti per una valutazione in ordine alla responsabilità dell’autore del fatto, con conseguente non necessità di procedere alla rinnovazione parziale (Sez. 6″‘ 18.12.2006 n. 5782, Gagliano, Rv. 236064; conforme Sez. 3″‘ 7.4.2010 n. 24294, D.S.B., Rv. 247872; Sez. 6, 13.12.2013 n. 11907, Coppola, Rv. 259893).
55.1 Né dalle argomentazioni sviluppate nel motivo in esame emergono circostanze tali da far apparire illogica la decisione della Corte di merito improntata a regole di decisività o indispensabilità della nuova prova (ovvero di un nuovo espletamento), tanto più che non si indicano nemmeno le caratteristiche di assoluta decisività delle nuove prove sollecitate dalla difesa.
55.2 Così come non risponde al vero che la Corte distrettuale nulla avrebbe detto in merito alla necessità ii esaminare il teste PEIKOV (che aveva presentato la fonte “Josè” al M.lto LEONE), avendo sul punto il giudice di appello reso una decisione negativa legata alla irrilevanza della questione (vds. pag. pag. 163 della sentenza impugnata).
56. Non si sottrae al giudizio di genericità neanche il decimo motivo nel quale si ribadisce la manifesta illogicità della motivazione nel punto in cui la Corte di merito ha ribadito il coinvolgimento dell’imputato LEONE (sottufficiale appartenente al R.O.S. centrale ed intervenuto a supporto dell’operazione “UPS”, sia pure nella fase iniziale), non mancando comunque di rilevare che i riferimenti fattuali contenuti nel motivo in esame appaiono per tale ragione insuscettibili di valutazione in sede di legittimità.
La difesa, infatti, nel definire la motivazione in merito alla responsabilità del LEONE come frutto di un vero e proprio “equilibrismo giuridico”, prospetta una ricostruzione alternativa degli avvenimenti rispetto a quella della Corte territoriale.
56.1 La Corte di Milano, nell’analizzare in modo approfondito tale operazione riguardante una importazione dalla Colombia di un quantitativo di Kg. 2,450 di cocaina quasi pura, oggetto della specifica contestazione elevata nel capo El, ha giudicato, a ragione, la partecipazione del LEONE – seppur circoscritta alla fase iniziale dell’operazione – essenziale, e dunque penalmente rilevante, tenuto conto dei rapporti creati tra il LEONE e la fonte John che ha riferito dei rapporti intercorsi con il sottufficiale che avevano dato luogo alla emissione del decreto di ritardato sequestro.
Ne deriva che la Corte ha effettivamente valutato l’apporto del LEONE esprimendo un giudizio di importanza contestato dalla difesa con argomenti che introducono, ancora una volta, una diversa versione dei fatti rispetto ad una meticolosa ricostruzione operata dalla Corte distrettuale.
57. Rilievi non dissimili valgono in riferimento all’undicesimo motivo nel quale si lamenta la manifesta illogicità e carenza di motivazione in punto di esclusione dello stato di necessità in riferimento alle minacce asseritamente subite dalla fonte “Josè”; la Corte di merito ha ricostruito nei dettagli i vari passaggi dell’operazione “HOPE” (operazione che verrà poi collegata alla successiva operazione “COBRA”) ed, a ragione, ha escluso che potesse profilarsi una situazione di stato di necessità ex 54 cod. pen. nella consegna del denaro alla fonte tale da scriminare la condotta del LEONE, del PALMISANO e del FISCHIONE, tanto più che nessun accenno a una situazione di pericolo della fonte “Josè” emergeva dalle informative; che nessuna nota era stata fatta dai militari con riferimento al versamento di una somma in Aprilia (tanto da mantenere per l’ennesima volta nell’ombra i destinatari della somma); che le dichiarazioni rese all’udienza del 24.4.2008 da altro Ufficiale superiore del R.O.S. centrale (Col. PARENTE in sottordine rispetto al Col. OBINU) deponevano per una insussistenza dello stato di necessità.
57.1 In aggiunta a tali considerazioni valgono i richiami ad una marcata inammissibilità del motivo nella parte in cui si ripropone una versione alternativa degli avvenimenti nell’evidente tentativo di accreditare come vera la versione data dai militari imputati, disattesa dalla Corte di Appello con dovizia di argomentazioni per nulla segnate da incongruenze logiche o vuoti motivazionali
58. Quanto alle censure sollevate in seno al dodicesimo motivo, vanno ribadite le argomentazioni sin qui svolte in merito alla improponibilità in questa sede di legittimità di questioni di fatto rimesse invece alla valutazione del giudice di merito che – con riferimento alla censura generale sollevata in merito alla ritenuta illegittimità dell’operazione “COBRA” e contrariamente alle deduzioni difensive – ha ricevuto adeguata e convincente risposta da parte della Corte di Appello in più passaggi della decisione.
59. Il tredicesimo motivo, afferente al difetto di motivazione ed alla sua manifesta illogicità in punto di qualificazione della condotta e quantificazione della pena per come si esporrà più analiticamente in prosieguo, rimane assorbito in relazione alla diversa qualificazione delle condotte operata dal Collegio.
Per il momento basta accennare al fatto che la Corte di merito ha escluso sulla base di un motivato e condivisibile ragionamento, la circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 80 comma 2° lett. b) del D.P.R. 309/90.
La conclusione che ne trae la difesa appare coerente sul piano logico con la possibile ricomprensione delle condotte incriminate nel paradigma del 5° comma dell’art. 73 D.P.R. 309/90 sulla base di un giudizio di minima offensività della condotta per ragioni legate alla ridotta offensività (come ricorda la Corte di Milano) desunte da una serie di indici esplicitamente enunciati (finalità perseguite dai militari del tutto aliene da una immissione di droga nel mercato e da una sua libera circolazione incontrollata; modalità operative attuate dai Carabinieri in riferimento alle singole operazioni; irrilevanza dei quantitativi trattati in rapporto alla ratio dell’aggravante speciale; residualità assolutamente marginale dei casi di dispersione della droga). La collegata questione relativa alla quantificazione della pena da irrogare – per quanto si osserverà in prosieguo – è quindi da ritenersi assorbita dal riconoscimento della ipotesi attenuata in parola, oggi divenuta fattispecie autonoma di reato alla luce delle modifiche normative intervenute dapprima con la L. 10/14 e successivamente con la L. 79/14.
59bis. Infine, con riferimento al quattordicesimo motivo afferente al mancato proscioglimento immediato ex art. 129 cod. proc. pen. in ordine alle ipotesi delittuose di cui agli artt. 323 e 314 cod. pen. si tratta di motivo del tutto privo di fondamento alla luce della motivazione resa dalla Corte distrettuale circa fa consapevolezza da parte dei militari coinvolti e – in particolare – per il ricorrente LEONE Costanzo (vd pagg. 96-97 del ricorso).
59.1 Sebbene preannunciate nell’indice della sentenza al 6.4 le considerazioni in ordine ai reati di falso e peculato, di tali argomenti non vi è traccia nella motivazione della sentenza: ciò però non basta ad affermare che manchi la motivazione in merito alle ragioni per le quali gli imputati – segnatamente il LEONE per quanto più specificamente interessa – dovessero rispondere di tali reati, nonchè del delitto di cui all’art. 323 cod. pen., traendosi la motivazione delle considerazioni di volta in volta espresse in riferimento alle singole operazioni.
59.2 La statuizione del primo giudice, concretizzatasi, per quanto attiene a tali temi, in una improcedibilità per prescrizione, è stata condivisa dalla Corte di merito che ha escluso la possibilità di addivenire ad un proscioglimento per insussistenza del fatto ex art. 129 cod. proc. pen., in assenza dei presupposti.
Invero, come precisato dalla giurisprudenza di questa Corte, nella ipotesi di reato estinto per decorso del tempo una pronuncia assolutoria a norma dell’art. 129 comma 2 cod. proc. pen. è consentita soltanto in presenza di circostanze emergenti dagli atti in modo incontestabile, idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, di guisa che la valutazione che il giudice è chiamato ad effettuare si sostanzia in una vera e propria constatazione o percezione “ictu oculi”, piuttosto che in un apprezzamento, sì da risultare incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (5.U. 28.5.2009 n. 35490, Tettamanti, Rv. 244274; in senso analogo Sez. 6, 11.2003 n. 48254, Gencarelli, Rv. 228503). Corollario di tale principio è l’ulteriore regola.
É affermata dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui “La formula di proscioglimento nel merito prevale sulla dichiarazione di improcedibilità per intervenuta prescrizione soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attività ricognitiva, l’assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell’imputato ovvero la prova positiva della sua innocenza, e non anche nel caso di mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze” (S.U. n. 35490/09 cit.; conformi Sez. 1A 24.9.2013 n. 43853, Giuffrida, Rv. 258441; Sez. GA 22.1.2014 n. 10284, Culicchia, Rv. 258441). Ciò porta alla conclusione che in sede di legittimità non possono essere ravvisati vizi di motivazione in presenza di una causa estintiva del reato (nella specie, prescrizione) perché il giudice di rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (S.U. 35490/09 cit.; conformi Sez. SA 4.10.2013 n. 588, Zamborini, Rv. 258670; Sez. 2A 16.10.2014 n. 2545, Riotto, Rv. 262277).
59.3 Ai detti principi si è attenuta la Corte territoriale, ribadendosi ancora una volta che anche con riferimento ai reati diversi da quelli previsti dalla legge sugli stupefacenti per i quali era maturata la prescrizione, è stata effettuata una ricognizione degli elementi che ostavano ad una pronuncia immediata, risultando evidente situazioni di incertezza del tutto incompatibili con il proscioglimento per insussistenza del fatto o per estraneità ad esso degli imputati.
60. Infine, con riferimento al motivo afferente alla inosservanza di legge e correlata illogicità manifesta della motivazione in merito alla eccepita incompetenza territoriale del Tribunale di Milano (ex 11 cod. proc. pen.) valgono le considerazioni già espresse in precedenza, rilevandosi che gli argomenti addotti a sostegno di tale specifico motivo non si discostano da quelli formulati dalle difese dei ricorrenti LOVATO, ARPA, BENIGNI e LAZZERI-ZANONI.
61. Analoghe considerazioni valgono con riguardo ai motivi quinto, sesto, settimo ed ottavo nei quali vengono affrontati – ovviamente con riferimento alle condotte contestate ai ricorrenti FISCHIONE, PALMISANO e LEONE – temi del tutto identici concernenti la asserita inosservanza della legge penale in punto di erronea applicazione degli artt. 97 e 98 del D.P.R. 309/90; di erronea applicazione dell’art. 9 della L. 146/06; di erronea applicazione della legge penale in punto di mancato riconoscimento della scriminate putativa e della inoffensività della condotta collegata al tema del reato impossibile ex art. 49 pen.
Ricorso SCALISI
61. Il ricorso del detto imputato si profila particolarmente articolato, vuoi per il numero dei motivi che ne contraddistinguono il testo, vuoi per gli argomenti sviluppati, alcuni dei quali, però, sostanzialmente coincidenti con i motivi proposti nell’interesse di altri imputati.
62. Ritiene il Collegio di dover trattare in modo analitico i detti motivi omettendo specifiche considerazioni solo laddove queste coincidano in modo integrale con quelle analoghe svolte per gli altri ricorrenti.
63. Intanto, con riferimento ad un preliminare rilievo, che tuttavia non costituisce specifico motivo dì ricorso, riguardante la mancata notifica né all’imputato, né al difensore, dell’avviso di deposito della sentenza in violazione del disposto di cui all’art. 548 comma 2 cod. proc. pen. in relazione alla intervenuta proroga ex 154 comma 4 bis Disp. Att. Cod. proc. pen. del termine riservato dal giudice ex art. 544 cod. proc. pen., si osserva che trattasi di censura sostanzialmente priva di rilievo, posto che nessuna ipotesi di inammissibilità della impugnazione per tardività si è nella specie verificata: se è vero che il giudice si era riservato il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione, va anche rilevato che tale termine è stato sostanzialmente superato dalla proroga concessa ex art. 154 bis comma 4 Dis. Att. Cod. proc. pen. dal Presidente della Corte di Appello, sicchè è evidente che il termine per impugnare decorreva dalla data di notifica dell’avviso di deposito della sentenza alle parti (in termini Sez. 6″ 12.1.2016 n. 3914, C., Rv. 265596 secondo il quale nella ipotesi di superamento del termine di giorni 90 ex ar. 544 cod. proc. pen. in assenza della notifica dell’avviso di deposito, l’impugnazione proposta deve considerarsi senz’altro tempestiva).
64. Passando all’esame del primo motivo concernente il tema della incompetenza territoriale del Tribunale di Milano in favore del Tribunale di Roma, nel ribadire le considerazioni già svolte in ordine alla infondatezza di tale eccezione, deve anche precisarsi che in relazione alla contestazione figurante nel capo A), il luogo del commesso reato viene indicato in Bergamo e Roma: secondo la difesa la situazione di incertezza determinata dalla indicazione di due luoghi di commissione del fatto non impediva al giudice di individuare in Bergamo il luogo di prima manifestazione della operatività dell’associazione in riferimento alla operazione denominata “CEDRO”, facendo ricorso al criterio della individuazione del primo reato-fine commesso dall’associazione. In altri termini la difesa critica il fatto che il giudice di appello non è riuscito ad individuare con la dovuta certezza la manifestazione esterna del reato associativo sicchè si imponeva il ricorso al criterio del primo reato-fine in ordine decrescente di gravità.
64. Ritiene il Collegio di dover confermare le considerazioni svolte in proposito, tenuto conto di quelle attività prodromiche rivelatrici della operatività della associazione che ovviamente sono intrinseche al delitto associativo e che hanno indotto, a ragione, la Corte di merito a ritenere sussistente la competenza territoriale ex art. 11 cod. proc. pen. del Tribunale di Milano. L’opzione tra incertezza sul luogo di prima manifestazione dell’operatività dell’associazione e sul luogo di commissione del primo reato fine in ordine di gravità decrescente è quindi superata dalla individuazione di operazioni prodromiche integranti l’operatività della associazione poste in essere in Bergamo.
65. Il secondo motivo dedicato alla inosservanza delle norme processuali in punto di acquisizione di documenti con le menzionate ordinanze del 30 marzo 2006 e del 21 giugno 2006 va affrontato e risolto negli stessi termini in cui è stato esaminato a proposito della posizione dei ricorrenti LOVATO, ARPA, BENIGNI e LAZZERI-ZANONI.
Deve dunque essere ribadita la conclusione adottata dal Collegio in ordine alla insussistenza di indebite estensioni delle nozioni di corpo di reato e di cose pertinenti al reato in base alle quali la Corte di merito ha confermato la legittimità della acquisizione dei documenti al processo.
65.1 Anche con riferimento all’acquisizione in fase di indagini delle varie dichiarazioni del collaborante ROTONDO, valgono le conclusioni precedentemente esposte.
La difesa del ricorrente ritiene illegittimo il ricorso all’art. 512 cod. proc. pen. anziché al successivo art. 513 stesso codice, affermando la manifesta illogicità della motivazione della Corte territoriale in ordine alla imprevedibilità del suicidio del ROTONDO, individuato come giustificazione per il ricorso all’art. 512 proc. pen., tenuto anche conto di precedenti tentativi attuati dal collaborante di porre fine alta sua vita e di atti autolesionistici commessi in precedenza che rendevano quindi il suicidio evento del tutto prevedibile.
65.2 Ora, indipendentemente dalla imprevedibilità dell’evento morte (circostanza che la Corte di merito ha valutato con motivazione esente da vizi logici), resta comunque il fatto della impossibilità di natura oggettiva che impediva l’escussione del soggetto, anche perché la morte non può considerarsi univocamente sintomatica della volontà del soggetto di sottrarsi al contraddittorio dibattimentale. (v. sul punto Sez, 6A 12.1.2016 6846, Farina e altro, Rv. 265900 la cui motivazione è stata depositata nel corso della stesura della presente decisione). Del resto il precedente tentativo di suicidio attuato nel corso del 1997 non basta a rendere prevedibile l’evento letale legato ovviamente a particolari circostanze da valutarsi nel contesto di quell’evento.
65.3 Rimane in ogni caso indiscusso il fatto che a seguito del decesso, il ROTONDO non sarebbe mai potuto ritornare sulla propria decisione di rifiutare il contraddittorio; che in ogni caso il ROTONDO non avrebbe potuto essere escusso in fase dì appello e che, comunque, il decesso in quanto non prevedibile ha reso impossibile qualsiasi ripetizione dell’atto.
65.4 Quanto ai rapporti intercorrenti tra l’art. 513 proc. pen. la cui applicazione invocata dalla difesa è stata esclusa dalla Corte territoriale e l’art. 512 cod. proc. pen., il testo del secondo comma dell’art. 513 cod. proc. pen. costituisce la implicita conferma della legittimità delle acquisizioni delle dichiarazioni del ROTONDO disposte dal giudice di merito, se è vero, come lo è, che laddove si tratti di dichiarazioni rese da una delle persone indicate nell’art. 210 comma 1 cod. proc. pen. il giudice, a richiesta di parte, dispone l’esame del dichiarante con le garanzie del contraddittorio, acquisendo dette dichiarazioni ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen. laddove non sia possibile ottenere la presenza del dichiarante “qualora la impossibilità dipenda da fatti o circostanze imprevedibili al momento delle dichiarazioni”.
66. Quanto, poi, alla asserita inosservanza del disposto di cui all’art. 141 bis proc. pen. ed al diniego di espletamento di perizia fonica sulle audiocassette contenenti le dichiarazioni del ROTONDO, la Corte territoriale ha ribadito la legittimità dell’ordinanza assunta dal Tribunale il 6 novembre 2008.
La giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato che la mancanza di trascrizione della riproduzione fonografica o audiovisiva dell’atto non implica alcun vizio processuale né in termini di inutilizzabilità né in termini di nullità (S,U. 16.7.2009 n. 39061, De Iorio, Rv. 244327; conforme Sez. 2A 3.12.2013 n. 51740, Mitidieri, Rv. 258112).
67. Quanto, ancora, all’affermazione difensiva virgolettata ed attribuita alla Corte di cassazione, secondo la quale “mancando la riproduzione fonografica o audiovisiva dell’interrogatorio o in assenza delle previste forme alternative ad essa, l’atto è colpita dalla sanzione di inutilizzabilità sia nei confronti della persona che lo rende, sia nei confronti di terzi, in quanto è fa registrazione, e non il verbale, redatto contestualmente in forma riassuntiva, a far prova delle dichiarazioni rese dalla persona detenuta”, si tratta di una affermazione non già della Corte Suprema, ma del difensore che aveva proposto il ricorso, che la Corte ha disatteso, sicchè quanto sostenuto dalla difesa non appare idoneo a sovvertire la motivazione resa sul punto dalla Corte Rimangono poi ferme le considerazioni in ordine alla sostanziale irrilevanza della violazione laddove riferita a dichiarazioni rese dal ROTONDO mentre si trovava detenuto in regime di arresti domiciliari.
68. La conseguenza che la difesa trae dalla irrilevanza di forme di ratifica del verbale contenente dichiarazioni non registrate attraverso la conferma di quelle dichiarazioni precedenti non appare fondata, posto che non di ratifica di dichiarazioni precedenti si tratta, ma di nuove dichiarazioni rese a conferma delle precedenti che acquisiscono per ciò una loro autonoma rilevanza erga alias sulla base della registrazioni di tali ultime
69. Nulla di specifico va aggiunto alle considerazioni svolte in precedenza dal Collegio in merito alla utilizzabilità delle dichiarazioni rese dal PALMISANO e dal LEONE in (asserito) spregio dell’art. 63 cod. proc. pen., ribadendosi quanto già affermato in merito alla assenza di indizi di reità in termini di certezza sul conto dei due sottufficiali che rendevano, quindi, legittime le loro dichiarazioni quali testimoni, con l’ulteriore aggiunta di una utilizzazione di tali dichiarazioni in via del tutto residuale e marginale e comunque per le contestazioni.
70. Quanto ai rilievi contenuti nel sesto motivo afferente alla inosservanza della legge processuale penale in punto di inutilizzabilità e comunque alla manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla acquisizione del verbale delle dichiarazioni del perito prof. Veniero Gambaro contenute nel fascicolo processuale relativo al procedimento a carico di tale PATARRINO (altro trafficante di stupefacenti), oltre a valere le considerazioni già precedentemente espresse in merito alla acquisibilità ed utilizzabilità di tali documenti ai sensi dell’art. 238 proc. pen., in quanto ritenuti corpo di reato, non può non rilevarsi la sostanziale genericità della censura che la rende, pertanto, inammissibile.
71. In riferimento al sesto motivo nel quale la difesa censura sotto diversi profili la acquisizione delle dichiarazioni del ricorrente SCALISI sia per violazione dell’art. 514 cod. pen. sia perché rese in spregio all’art. 63 cod. proc. pen. si tratta, ancora una volta di rilievi in punto di fatto e che comunque hanno trovato risposta puntuale da parte della Corte territoriale sulla base di quanto già visto a proposito della acquisibilità di documenti individuati come corpo di reato o cose pertinenti al reato, non senza rilevare che anche nel caso dello SCALISI, da parte della Corte territoriale non è stata ravvista alcuna violazione dell’art. 63 cod. proc. pen. non sussistendo al momento della sua escussione quale testimone sufficienti indizi a suo carico: invero la possibile partecipazione dello SCALISI all’operazione contestatagli non era a quell’epoca valutabile in termini di consistenza indiziaria sul coinvolgimento dello SCALISI quale autore di condotte penalmente rilevanti.
72. Quanto sin qui osservato rende del tutto superfluo soffermarsi sul settimo motivo afferente ad una pretesa violazione dell’art. 526 cod. proc. pen., nella specie del tutto insussistente una volta acclarata la piena legittimità delle acquisizioni documentali disposte dal primo Giudice e poi riconfermate dalla Corte
73. Quanto all’ottavo motivo concernente il mancato espletamento di perizia fonica sui nastri contenenti le registrazioni degli interrogatori resi dal ROTONDO nel corso delle indagini preliminari e sul diniego opposto dalla Corte territoriale alla parziale rinnovazione dell’istruzione dibattimentale sul punto, ritiene il Collegio di richiamare le considerazioni a suo tempo espresse in merito alla legittimità del diniego in coerenza con l’eccezionalità dell’istituto processuale previsto dall’art. 603 cod. proc.
74. Circa i contenuti del nono motivo afferente alla presunta inosservanza degli artt. 97 e 98 D.P.R. 309/90, non possono che riconfermarsi le considerazioni già svolte con riguardo alla assoluta correttezza sia sul piano normativo che sul piano logico circa la inapplicabilità di tali disposizioni.
74.1 Sostiene la difesa che, in ogni caso, la partecipazione dell’agente sotto-copertura alla attività di cessione sarebbe comunque legittima, richiamando i principi espressi da Sez. 6,.., 3.12.1998 n. 669, Carista ed altri, Rv. 213901, cit., va doverosamente precisato che la decisione in parola ha, comunque, ribadito il concetto che laddove la condotta dell’agente si inserisca nell’iter criminoso con rilevanza causale, nel senso che l’evento delittuoso sia conseguenza diretta della sua condotta, non opera più la causa di giustificazione e l’agente è punibile a titolo di concorso nel reato: il che è esattamente accaduto nel caso di specie.
74.2 Nel tentativo di accreditare la tesi della non punibilità dell’agente sotto-copertura in caso di partecipazione all’attività di cessione dello stupefacente, la difesa richiama una decisione della CEDU nella causa Calabrò c. Italia e Germania con la quale la Corte Europea ha ritenuto legittimo e non punibile l’operato dell’agente sotto-copertura in relazione alla condotta dell’acquirente che comprovava l’inserimento del promissario acquirente nell’ambito di una organizzazione dedita al traffico di stupefacenti, sicchè era stato il soggetto attivo del reato a determinarsi autonomamente nella sua commissione e non per l’induzione dell’agente sotto copertura.
74.3 In realtà la difesa trascura il dato di fondo relativo alla partecipazione dell’imputato ad una fase dell’operazione che si poneva ben al di fuori dei ristretti limiti imposti dalla normativa in tema di operazioni di acquisto simulato di droga come disciplinate dagli artt. 97e 98 del D.P.R. 309/90.
74.4 Si è in precedenza illustrato non solo quali fossero i limiti invalicabili della disciplina normativa, ma anche come i vari militari impegnati nelle operazioni li avessero marcatamente oltrepassati ben consapevoli di ciò, non intervenendo in una operazione già in corso e dai contorni ben definiti, ma istigando essi stessi altri soggetti a commettere reati it che non era per nulla consentito dalle norme
74.5 Né i successivi ampliamenti delle modalità operative introdotti dall’art. 9 della L. 146/2006 e di seguito dalla L. 136/2010 possono valere a rendere legittime quelle operazioni, richiamandosi, ancora una volta quelle decisioni delta giurisprudenza di questa Corte Suprema secondo le quali, con riferimento alle speciali tecniche investigative enunciate nell’art. 9 della L. 146/06, non possono definirsi lecite operazioni sotto copertura concretizzantesi in un incitamento o in una induzione al crimine del soggetto indagato, perché non è consentito all’agente infiltrato commettere azioni illecite diverse da quelle dichiarate non punibili dall’art. 9 della legge citata, o a esse strettamente e strumentalmente connesse (Sez. 2A 38488/08 cit. Sez. 6A 51678/14 cit).
75. Con il decimo ed undicesimo motivo – che possono essere esaminati congiuntamente data la loro stretta connessione ed il riferimento alla medesima operazione (si tratta delle operazioni “UPS” ed “HOPE”) in termini di partecipazione dell’imputato alle condotte di importazione di cessione (quest’ultima ritenuta dalla Corte territoriale assorbita nella condotta di importazione – la difesa propone invece il tema della estraneità dello SCALISI alle condotte contestategli ai capi El ed E2.
75.1 Ritiene il Collegio che le motivazioni rese sul punto dalla Corte distrettuale, che dedica all’argomento le pagg. 188 e 189 della sentenza (riportate dalla difesa in seno al decimo motivo), non siano viziate dalla manifesta illogicità denunciata dalla difesa, laddove si tenga conto di alcune notazioni in fatto dalle quali la Corte di merito ha tratto la logica conseguenza dell’intervento fattivo e consapevole dello SCALISI nell’operazione UPS in riferimento alla ricezione di tale “Clau dio’1 all’aeroporto; alla assenza di fotografie che ritraevano tale personaggio; al mancato rilevamento del numero di targa dell’autovettura Passat a bordo della quale il “Claudio” sarebbe arrivato; al supporto prestato dallo SCALISI nella operazione “HOPE” con specifico riferimento alla sua presenza in occasione del te consegne dello stupefacente ed alla attività di controllo della zona; all’occultamento della identità del BENIGNI falsamente indicato con il nominativo di “Mauro”, in modo da accreditare la tesi che la consegna della droga fosse stata posta in essere non da militari del R.O.S. (circostanza che avrebbe provato facilmente l’illegittimità dell’operazione) ma da un emissario dei fornitori; ancora, dalla indicazione del nominativo “Alberto” quale altra fonte in luogo della vera fonte “Josè” (BERRACAL) in occasione della seconda consegna di droga; ancora una volta, dalla mancanza di ritrazioni fotografiche di quanto avvenuto; dalle dichiarazioni rese in dibattimento dallo SCALISI circa il preannuncio al telefono da parte di amici di tale Luis Enrique OTOYA TOBON dell’imminente arrivo della droga in Italia, contrariamente a quanto dichiarato dal ROTONDO.
75.2 Orbene non si ravvisano in tale ricostruzione fattuale le dedotte illogicità, quanto meno in modo manifesto, aggiungendosi, anzi, che la presenza dello SCALISI alle due operazioni e soprattutto alcuni comportamenti marcatamente omissivi e/o inveritieri non potevano che portare al ragionevole convincimento di una partecipazione dello SCALISI alle due operazioni in modo consapevole sulla loro illegittimità.
75.3 E conclusioni analoghe vanno espresse con riferimento alla attività di consegna della droga che, contrariamente a quanto prospettato dalla difesa, integra certamente una attività non consentita laddove inserita nel contesto di operazioni come quelle in esame che vedevano i militari operare piuttosto come istigatori che come controllori di una illecita attività in corso, oltretutto rimasta sempre nel vago e priva di riferimenti tali da renderla documentabile ed autorizzabile da parte dell’Autorità Giudiziaria.
76. Quanto al dodicesimo motivo incentrato sul mancato riconoscimento della scriminante putativa, valgono ancora una volta le considerazioni in precedenza espresse a proposito degli altri ricorrenti che hanno sollevato A, del tutto analoghe.
77. Il tredicesimo motivo contiene, invece, censure relative ad una asserita inosservanza della norma processuale di cui all’art. 521 cod. proc. pen. con riferimento ad un episodio inserito nel contestato del capo di imputazione E2 (cessione di 34 Kg. di droga a tali PATARRINO, TRIMBOLI. PORTOLESI, RUSSO e ad altri duesoggetti non identificati).
77.1 Ritiene il Collegio di richiamare i principi in tema di violazione della regola della correlazione tra accusa e sentenza, precisandosi, come più volte affermato da questa Corte Suprema che la violazione di tale regola ricorre solo quando il fatto accertato si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale tale da recare un reale pregiudizio dei diritti della difesa {in termini, tra le tante 4A 16.12.2015 n. 4497, Addio ed altri, Rv. 265946; conforme Sez. l” 4.6.2013 n. 28877, Colletti, Rv. 256785).
77.2 Secondo la difesa, la ricostruzione della vicenda (si tratta di una seconda operazione di consegna di droga per 34 Kg. figurante nel capo E2 della imputazione sub 1), operata dalla Corte di merito che ha sottolineato il mancato arresto dell’autovettura Fiat Tipo proprio da parte dello SCAUSI, con specifico riferimento alla possibile identificazione di tale “Sandro” in ADOBATI Sandro (indicato dal P.M. come un collaboratore del R.O.S. di Bergamo sulla base di quanto dichiarato. dagli imputati LOVATO ed ARPA), avrebbe comportato una immutazione del fatto rispetto a quanto indicato nel capo di imputazione: in realtà, indipendentemente dal fatto che la Corte di merito ha annesso una importanza marginale al mancato fermo dell’autovettura con a bordo gli occupanti, l’intera operazione è stata censurata dalla Corte come irregolare proprio sulla base delle anomale modalità operative dei militari del ROS.
77.3 Non è dato quindi comprendere in cosa sia consistita l’immutazione della decisione rispetto al capo di imputazione (secondo la difesa l’individuazione del “Sandro” in ADOBATI Sandro avrebbe di fatto comportato un mutamento di ruolo di costui da identificarsi come istigatore e non come cessionario) e soprattutto quale lesione dei diritti difensivi sarebbe derivata dallo SCALISI la cui partecipazione all’operazione è stata considerata illecita dalla Corte sulla base di ben altre argomentazioni contestate dalla difesa, ma a ragione – per quanto si è dianzi visto, ritenute infondate dalla Corte territoriale.
78. Con il quattordicesimo motivo la difesa lamenta il vizio di motivazione per manifesta illogicità in punto di ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato: secondo quanto affermato dalla Corte numerosi elementi deporrebbero per la consapevolezza da parte dello SCALISI circa l’illiceità delle operazioni “UPS” e “HOPE” (elementi di cui si è dianzi fatto ampio cenno e che qui si richiamano per comodità espositiva).
78.1 Ancora una volta rileva il Collegio che le argomentazioni esposte dalla difesa contengono in realtà rilievi di tipo fattuale volti a prospettare una versione diversa rispetto a quella acclarata dalla Corte di merito (in particolare con riferimento alla circostanza che l’omessa identificazione dell’agente sotto-copertura non sarebbe riferibile al momento della istigazione ma al momento posteriore della consegna quando già l’attività illecita era incorso ed occorreva intervenire).
79. Censure di diverso tenore, ma sempre riferite all’elemento soggettivo del reato in termini di necessità del dolo specifico, sono contenute nel quindicesimo motivo con il quale si prospetta la tesi che, a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 32/14 che ha ripristinato l’originaria formulazione dell’art. 73 D.P.R. 309/90 prima delle modifiche apportate dalla L. 49/06, il dolo richiesto per l’integrazione della fattispecie sarebbe quello specifico richiesto per lo spaccio (finalità esclusa dalla stessa Corte di Appello) e non quello generico come invece ipotizzato dalla Corte di Appello.
79.1 L’assunto non ha pregio: è vero che per effetto della sentenza n. 32/14 è stata dichiarata l’incostituzionalità degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito in legge 21 febbraio 2006, n. 49, che avevano modificato l’originaria disciplina dei commi 1 e 4 dell’art. 73 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, abbandonando i diversi regimi sanzionatori fissati per le sostanze stupefacenti elencate, da un lato, nelle tabelle I e III (le c.d. “droghe pesanti”) e dall’altro, nelle tabelle II e IV (le c.d. “droghe leggere”).
Come è noto, infatti, fino alla pronuncia della Corte Costituzionale ed a decorrere dall’entrata in vigore della L. 49/06, quest’ultima disciplina fissava agli artt. 1 e 1-bis dell’art. 73 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, un unico trattamento sanzionatorio per tutte le sostanze stupefacenti; come accennato, tale soluzione è stata censurata dalla Corte che ha ripristinato il testo anteriore.
79.2 La sentenza costituzionale in parola ha sancito l’illegittimità degli artt. 4-bis e 4-viciester del D.L. n. 272/05 convertito con modificazi :i nella L. 21 febbraio 2006, n. 49, art. 1, commi 1: l’art. 75 bis L. Stup. è stato introdotto dall’art. 4-quater di detto provvedimento legislativo. Con la sentenza suddetta è venuto meno per incostituzionalità anche l’art. 73 L.S., comma 1 bis (inserito dalla L. n. 49 del 2006, art. 4-ter) in tema di definizione e/o delimitazione dell’uso personale di sostanze stupefacenti penalmente non punibile: disposizione, quest’ultima, che costituisce il presupposto normativo degli interventi comminatori delle sanzioni amministrative e delle misure di prevenzione da parte del Prefetto e del Questore rispettivamente previsti dagli artt. 75 e 75 bis L. Stup.
79.3 Tuttavia non può da ciò trarsi la conseguenza che con il ripristinato regime penalistico antecedente alla riforma del 2006 si sia prodotto l’effetto (che avrebbe del paradossale} di una attuale sopravvenuta punibilità anche dell’uso personale (consumo non terapeutico) di sostanze stupefacenti, già pacificamente esclusa dalla giurisprudenza nella vigenza del sistema oggi fatto rivivere dalla Corte Costituzionale (vds. al riguardo Sez. 4A 20.12.1995 n. 1355, P.G. in proc. Valacchi, Rv. 204053).
79.4 Con la sentenza n. 32/14, che ha indubbiamente inciso sul profilo sanzionatorio ripristinando la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti punite in modo sensibilmente differente in costanza della antecedente disciplina prima dell’avvento della 49/06, pur essendo venuti meno gli specifici parametri quantitativi o dosimetrici fissati dall’art. 73, comma 1 bis D.P.R. 309/90, quali indici della latitudine dell’uso/consumo personale non punibile, cui rinviano (e rinviavano) per relationem i vigenti artt. 75 e 75 bis D.P.R. citato, deve convenirsi che gli artt. 75 e 75 bis non sono comunque divenuti inoperanti (parafrasandosi il dictum della decisione costituzionale n. 32/2014) “privi del loro specifico “oggetto”, correlato per l’appunto ad una detenzione (o a condotte assimilabili ex art. 73, comma 1, L.S.) di sostanza stupefacente per personale consumo dell’agente immune da sanzione penale”. (v. in proposito Sez. 6A 9.4.2014 n. 19263, Iaglietti, Rv. 258912).
79.5 Il richiamo alla pronuncia della Corte Costituzionale, ad avviso del Collegio, è dunque del tutto inconferente nella ipotesi in esame, anzitutto perché la condotta contestata è quella della importazione di droga in vista di una futura cessione a terzi per poi procedere all’arresto dei destinatari previa la loro identificazione (condotta di cessione che la Corte di Appello ha ritenuto assorbita nella condotta di importazione}; ancora – e più significativamente – perché è da escludere che vi fosse una finalità di utilizzazione personale dello stupefacente importato, essendo evidente che l’uso finalizzato alla scoperta delle organizzazioni criminali non coincide affatto con un uso personale della sostanza stupefacente importata che non viene punito proprio perché l’utilizzo di essa coincide con il consumo personale da parte dell’acquirente o importatore (il che è decisamente da escludere nel caso di specie).
79.6 Ne deriva che, pur mancando il dolo specifico di spaccio (come del resto riconosciuto dalla Corte di merito) residuava comunque il dolo generico in riferimento alla condotta di importazione, richiedente la coscienza e volontà di introdurre nel territorio interno la sostanza stupefacente e di detenerla per un uso diverso da quello personale (da intendersi – è bene precisarlo ancora una volta – come consumo personale), unico elemento che consente, alla luce della costante giurisprudenza di legittimità formatasi dopo l’abrogazione referendaria del 18 aprile 1993, l’esclusione della punibilità.
80. Passando all’esame del sedicesimo motivo – concernente la manifesta illogicità della motivazione in riferimento a quelle imputazioni per i reati di peculato e falso in atto pubblico enunciate nei capi E3 ed E4 per i quali è intervenuto il proscioglimento per prescrizione – trattasi di censura non
80.1 Nel richiamare i principi di diritto ripetutamente affermati da questa Corte Suprema in ordine ai criteri da seguire nella ipotesi di reati estinti per prescrizione circa eventuali formule di proscioglimento più ampie legate soltanto alla evidenza della prova relativamente alla insussistenza del fatto o alla non attribuibilità del fatto all’imputato o alla presenza di cause di non punibilità o, in ultimo alla assenza dell’elemento soggettivo, va ribadito che la decisione assunta dalla Corte di Appello in riferimento alla posizione del ricorrente SCALISI per i fatti di cui sopra si sottrae al vizio di manifesta illogicità
80.2 La sentenza impugnata dedica in effetti all’argomento poche battute (vds. le 189 e 190) in cui però richiama per reJationem l’intera – e certamente analitica – ricostruzione delle vicende legate alla consegna del denaro senza la preventiva autorizzazione da parte della D.C.S.A. ai fornitori della droga, incorrendo in una serie di affermazioni false e commettendo condotte di peculato così come specificamente contestate nei capi E3 ed E4: la posizione dello SCALISI risente della sua piena partecipazione alla maggior parte delle fasi della operazione “HOPE” ed ovviamente tale partecipazione, ritenuta consapevole da parte della Corte di Appello, non poteva che estendersi anche alle condotte per i reati suddetti intimamente legati al reato principale, costituendo il riscontro alla intera illiceità della operazione e il presupposto (o almeno uno dei tanti) ostativi alla possibilità di applicazione delle scriminanti di cui agli artt., 97 e 98 del D.P.R. 309/90.
80.3 Affermare – come fa la difesa – la manifesta illogicità della motivazione è privo di fondamento potendosi al più parlare di una motivazione sintetica, redatta per relationem, ma non certo priva di logica, posto che la responsabilità dello SCALISI non è stata ricavata in via deduttiva ed apodittica come parrebbe adombrare la difesa, ma sulla base di precise circostanze fattuali connesse alla redazione delle singole relazioni di servizio ed Senza dire che, atteso il ruolo di vertice del M.llo SCALISI nella Sezione R.O.S. dei Carabinieri di Bergamo in quanto sottoposto in grado al solo M.llo LOVATO e protagonista assoluto della intera operazione “HOPE”, la responsabilità per i reati di peculato e falso era quanto meno altamente probabile: da qui la piena correttezza del proscioglimento per prescrizione legata alla mancanza di evidenza della prova della non attribuibilità di quei fatti allo SCALISI.
81. Il diciassettesimo motivo riguarda, invece, l’aspetto sanzionatorio legato ad una asserita manifesta illogicità della motivazione in punto di quantificazione incongrua della quota di aumento di pena per la ritenuta continuazione tra i reati sub E2 ed El: si duole la difesa di una eccessiva determinazione di tale aumento, specie se raffrontata alla posizione di altri imputati che, in riferimento ai reati satelliti, hanno subito aumenti pena ben più contenuti rispetto ai due mesi ed € 000,00 di multa inflitti allo SCALISI.
81.1 In sé la censura non è fondata, avendo comunque la Corte di merito fatto richiamo ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen. e avendo la difesa nel proprio atto di appello invocato un trattamento sanzionatorio più mite e contenuto entro i limiti minimi, senza però una specifica doglianza in merito alla quantificazione dell’aumento di pena ex art. 81 cpv. cod.
81.2 Tuttavia, per quanto si osserverà in prosieguo con riferimento alla questione relativa alla qualificazione delle condotte residue nella ipotesi di cui all’art. 73 comma 5° del D.P.R. 309/90, la censura in esame rimane sostanzialmente assorbita.
Ricorso OBINU
82. All’odierno ricorrente sono stati addebitati i residui reati di cui ai capi E2 ed Fl riguardanti, in particolare, le operazioni denominate “HOPE” e “COBRA”.
Il ricorso dell’imputato che nella gerarchia militare relativa ai soggetti appartenenti al R.O.S, coinvolti nelle vicende in esame rivestiva la posizione più elevata dopo quella del Gen. GANZER (all’epoca l’OBINU era ufficiale superiore con il grado di maggiore o di tenente colonnello, in relazione all’epoca dei singoli fatti) – dedica la quasi totalità dello spazio al primo motivo incentrato sostanzialmente sulla circostanza della estraneità dell’OBINU alle due operazioni o, quanto meno, dell’assenza di dolo in termini di consapevolezza circa la illegittimità di quelle operazioni.
83. La difesa dell’Ufficiale ripropone la tesi, già disattesa dalla Corte di merito – e prima ancora dal Tribunale – di una estraneità alle due operazioni determinata da una serie di elementi che di fatto lo emarginavano sia dalle scelte programmatiche, sia da quelle decisionali. Nel motivo estremamente analitico dedicato a tate tema la difesa, come esposto in premessa, in relazione alle operazioni rispettivamente denominate “HOPE”, “COBRA” e “LIDO”, prospetta vizio di motivazione per assoluta sua carenza, nonché vizio di travisamento della prova e in particolare lamenta che la Corte territoriale, nonostante le testimonianze addotte nel processo riconducibili a numerosissimi Ufficiali e Sottufficiali sia del reparto Centrale del R.O.5. che di quello di Bergamo, ma anche ad altre importanti unità operative nel settore del contrasto alla criminalità organizzata di tipo mafioso (o similare) ovvero economico, non avrebbe preso in considerazione nessuna di tali dichiarazioni che, a suo avviso, se adeguatamente valutate avrebbero dovuto portare alla assoluzione con formula liberatoria per tutti i reati residui
84. Nei termini in cui risultano denunciati i vizi, va subito detto che la sentenza di secondo grado con riferimento alla responsabilità, si è allineata alla decisione del primo giudice non solo condividendone la motivazione ma la ricostruzione storica e fattuale delle singole vicende: ciò comporta per il ricorrente un limite alla sindacabilità solo nella misura in cui la motivazione della Corte territoriale, investita di specifico gravame non abbia fornito risposta alcuna alle censure della difesa. Nel caso in esame ciò non si è verificato per nessuna delle ipotesi delittuose contemplate nei capi E2 ed Fl, in quanto la Corte territoriale ha fornito risposte dirette o implicite a tutte te obiezioni difensive.
85. In particolare la difesa lamenta una mancanza assoluta di motivazione in quanto il giudice di appello non avrebbe preso in considerazione alcuna delle varie testimonianze addotte dalla difesa ovvero dal Pubblico Ministero utilizzabili in favore del ricorrente, fondando, invece, il convincimento per la conferma della penale responsabilità su una serie di elementi e/o considerazioni apodittiche consistenti, in particolare, nell’asserire che l’OBINU, quale comandante del Reparto, non poteva non sapere cosa facessero i militari a lui sottoposti in grado ed ancora, che l’imputato avrebbe dovuto verificare in prima persona le varie informative inviate di volta in volta alla DCSA; che egli aveva gli strumenti per effettuare simili verifiche; che dall’atto di appello non emergeva quali fossero le altre operazioni “importanti” che impegnavano l’OBINU nella sua attività e che il Comandante del reparto doveva garantire la direzione, il coordinamento ed il controllo delle singole
86. Ritiene utile il Collegio ricordare quali siano i criteri da seguire in sede di legittimità con riferimento al vizio di omesso motivazione: in termini generali va detto che non è censurabile la sentenza laddove il giudice del gravame abbia taciuto su una specifica deduzione prospettata con l’appello, quando la censura difensiva, ancorchè specificamente posta risulta disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, in quanto ciò che conta ai fini di escludere la ricorrenza del vizio previsto dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., è che la decisione evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della prospettazione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa (Sez. 2A 12.2013 1405, Cento e altri, Rv. 259643; conforme Sez. 4A 14.10.2014 n. 46344, Duzioni e altro, Rv. 260742 in cui si specifica che, quando la sentenza si fondi su più ragioni distinte una delle quali sia idonea a giustificare la decisione adottata, le carenze logico-giuridiche eventualmente affliggenti un’altra ragione non comportano l’annullamento della decisione in quanto la sentenza poggia su altre ragioni esenti da tale vizio; in senso analogo v. anche Sez. 2A 26.5.2009 n. 33577, De Crescienzo U., Rv. 245238).
86.1 Peraltro, riprendendo quanto dianzi accennato all’ipotesi della “doppia conforme” la carenza di motivazione tate da inficiare la sentenza ricorre soltanto in quella residuale ipotesi – non ricorrente nel caso di specie se solo si considera la specificità della motivazione della sentenza impugnata sulle singole operazioni, sulle posizioni dei singoli imputati e sui rispettivi ruoli nelle varie vicende ad essi riferibili – in cui la decisione di appello si limiti ad una adesione in termini apodittici e con formule stereotipate della sentenza di primo grado, senza dare conto degli specifici motivi di impugnazione con i quali siano state censurate le soluzioni adottate dal primo giudice e senza nemmeno argomentare sulla inconsistenza o inconferenza dei motivi di gravame (Sez. 6, 20.4.2005 n. 6221, Aglieri e altri, Rv. 233082; Sez. SA 13.12.2013 n. 2916, Dell’Agnola, Rv. 257967 in riferimento alta mancanza di risposte alle specifiche doglianze prospettate con l’appello e dotate del requisito della decisività).
86.2 La difesa ha anche lamentato il vizio di travisamento della prova in relazione ad una prospettata contraddittorietà della motivazione.
A differenza del “travisamento del fatto”, il cui esame è precluso in sede di legittimità, esulando dai poteri della Suprema Corte quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove venga prospettata dal ricorrente una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali, il travisamento della prova si verifica quando nella motivazione si introduca un’informazione rilevante che non esiste nel processo ovvero si ometta la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia e dunque rientra a pieno titolo nel sindacato del giudice di legittimità (Cass. Sez. 5 n. 39048/07 cit.; Cass. Sez. 3, 18.6.2009 n. 39729, Belluccia e altri, Rv. 244623; Sez. 2A 3.10.2013 n. 47035, Giugliano, Rv. 257499). Il travisamento in questione deve essere poi decisivo, nel senso che esso assume rilevanza specifica solo se “l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per fa essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta <<doppia conforme>> e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio” (Sez. 6, 16.1.2014 n. 5146, Del Gaudio e altri, Rv. 258774; conforme Sez. 1, 15.6.2007 n. 24667, Musumeci, Rv. 237207).
86.3 Ma è stato anche precisato che nelle ipotesi di cd. “doppia conforme” il vizio di cui sopra sussiste soltanto quando il giudice di appello, per rispondere alle obiezioni mosse con il gravame abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (in termini Sez. 4^ 13.11.2013 n. 56\15, Nicoli, Rv. 258432; idem 12.12.2013 n. 4060, Capuzzi e alt ro, Rv. 258438; conforme Sez. 6^ 16.1.2014 n. 5146, cit.).
86.4 Alla stregua di tali principi, osserva il Collegio che la Corte territoriale si è uniformata alle regole interpretative elaborate da questa Corte Suprema: invero si legge nei vari passi della motivazione riguardanti la posizione del ricorrente OBINU, con riferimento alla operazione “HOPE” che la sua responsabilità non è stata individuata in relazione al ruolo di vertice rivestito nel Reparto Operativo Speciale ma in relazione ad atti materiali di partecipazione (sintomatico l’assenso alla consegna di quattrocento milioni, che lo stesso OBNINU ha dichiarato essere ottocento milioni, alla fonte “Josè”, senza che venisse redatto alcun verbale attestante la consegna, ovvero alcuna informativa indirizzata all’Autorità giudiziaria o alla D.C.S.A. – vds. pag. 165 della sentenza impugnata) che la difesa contesta, cercando di offrire – sulla base delle testimonianze valutate dalla Corte di merito anche in relazione a quanto detto dal Tribunale – una versione diversa, a suo giudizio più credibile e verosimile rispetto a quella ritenuta dalla Corte di merito.
Nel far questo, la difesa del ricorrente, pur indicando i passi delle dichiarazioni dei vari testimoni ascoltati nel processo (Antonio TALARICO, Alfredo POLIDORI, Stefano CREMONINI; Domenico CITERA e Claudio PERONI, tutti appartenenti al Reparto Speciale dei Carabinieri) nei quali si riferisce che a dirigere l’operazione era il Cap. FISCHIONE e non il Col. OBINU) cerca di accreditare la tesi di un imputato in posizione defilata, interessato in via indiretta, quasi inconsapevole di ciò che gli altri (suoi sottoposti in grado, però) facevano ed al più, incaricato di un controllo meramente formale anche perché impegnato in plurime ed eterogenee operazioni di P.G. di rilevante importanza che ne distoglievano la visione diretta. Emergerebbe, così, secondo l’ottica difensiva, un ruolo assai secondario, se non marginale in cui l’OBINU agiva secondo il principio dell’affidamento: vale a dire egli si limitava ad avallare quello che i suoi sottoposti facevano, limitandosi ad una sorta di “ratifica” di decisioni prese da altri.
Va subito osservato, al di là dei profili fattuali della censura, che appare difficilmente sostenibile, sul piano logico, l’immagine di un Ufficiale superiore, brillante e particolarmente esperto nella lotta al crimine organizzata nella sua più ampia accezione, depotenziato e poco vigile in un settore che oltretutto esigeva un’attenzione particolare proprio per le difficoltà connaturate alla materia e soprattutto ad una legislazione non adeguatamente elaborata dagli operanti.
86.5 In questo senso vanno anche valutate le testimonianze MORI, DE DONNO, ANGELOSANTO e PATICCHIO (pagg. 27 – 30 del ricorso) sulla base delle quali la difesa ha cercato di accreditare la tesi, a ragione disattesa dalla Corte di merito, di una assenza assoluta di direttive da parte dell’OBINU: si tratta, come è evidente, di censure sostanzialmente di fatto che in ogni caso sono state implicitamente valutate dal giudice di appello quando ha ritenuto di individuare la responsabilità dell’OBINU non già per un ruolo di vertice, quanto per una sua partecipazione materiale a fasi dell’operazioni ivi comprese le varie informative inviate alla D.C.S.A.
86.6 La Corte di merito di fronte ad una specifica obiezione sollevata in sede di appello, ha radicalmente escluso che l’OBINU dovesse rispondere perché comandante di un reparto sottolineando, invece, che non solo il ruolo di comando, ma soprattutto la specifica esperienza maturata nel delicato settore del contrasto in genere alla criminalità organizzata impediva all’OBINU di disinteressarsi delle operazioni condotte da altri ufficiali e sottufficiali a lui subordinati ed evidenziando, a riprova di un coinvolgimento diretto dell’OBINU nell’operazione, che costoro solevano informarlo di continuo sull’operazione, sugli sviluppi e sulle modalità: sicchè, sul piano logico, è risultato agevole per la Corte di appello affermare una responsabilità diretta dell’imputato: responsabilità dovuta anche alla preventiva conoscenza delle irregolarità che caratterizzavano l’operazione nelle sue varie fasi. Non per nulla il giudice territoriale afferma che le varie note indirizzate alla D.C.S.A. (tranne la prima risalente al 24 agosto 1993 sottoscritta dal suo vice dell’epoca Magg. PARENTE) recavano la sua firma.
Di fronte ad un dato oggettivo incontrovertibile soprattutto perché documentale, la tesi difensiva si rifugia nella fin troppo comoda tesi del controllo formale, proponendo così l’immagine – assai poco credibile anche su un piano logico viste le rigide discipline militari – di un Ufficiale superficiale e quasi accomodante. Tutte le testimonianze già acquisite in primo grado si muovono in un contesto di rimbalzo delle responsabilità “decrescente”, in cui la figura del dirigente sbiadisce rispetto a quella dei subordinati, in contrasto, però, con altri elementi di diverso spessore acquisiti al processo.
Correttamente la Corte di merito ha rifiutato la tesi dell’ufficiale “passacarte” (pag. 181 della sentenza impugnata) e soprattutto, ha escluso che i vari subordinati fuorviassero il loro superiore rappresentandogli una falsa realtà che Io avrebbe indotto a consentire condotte non autorizzabili, in quanto gli Ufficiali inferiori ed i sottufficiali in forza al R.O.S. tenevano costantemente l’OBINU al corrente di tutto, per come risulta dalle dichiarazioni di alcuni di essi (FISCHIONE, PALMISANO e LEONE).
86.7 La Corte di merito nel valutare le dichiarazioni di tali soggetti non ha affatto abdicato ad esaminare le argomentazioni difensive (come, del resto, emerge dal testo della sentenza a pag. 180), ma ha attribuito a tali dichiarazioni un valore maggiore rispetto ad altre dichiarazioni che cercavano di offrire una versione diversa ma giudicata non credibile implausibile.
86.8 Una riprova del modo di argomentare della difesa caratterizzato da una prospettazione di versioni alternative nel tentativo di dimostrare una sostanziale estraneità dell’OBINU (non potendo egli contestare il coinvolgimento formale a causa delle firme apposte ad informative e di appunti a sua firma redatti personalmente dall’Ufficiale, come l’appunto sull’operazione “CEDRO”)], la si trae dalla esposizione di una serie di dichiarazioni che cercano di offrire l’immagine di un OBINU indaffarato in altre importanti incombenze, non al corrente di ciò che avveniva (ma in realtà sotto i suoi occhi, come afferma la Corte), nonostante le esperienze maturate in precedenti operazioni alle quali è risultato estraneo (come l’operazione “CEDRO” per la quale, però, non è stata ritenuta la sua responsabilità a dimostrazione della estrema cura con la quale la Corte di merito ha differenziato le situazioni, confermando il giudizio di colpevolezza solo laddove questo fosse basato su plurimi e convergenti dati certi) e di fatto non in grado di seguire le operazioni.
86.9 A valutazioni analoghe non si sottraggono nemmeno le censure sollevate dalla difesa in merito all’impegno antimafia in via esclusiva espletato in quegli anni dall’Ufficiale tale da risultare assorbente rispetto ad altri pur gravosi impegni; così come le puntualizzazioni in merito alle varie missioni interne ed estere che avrebbero sottratto l’OBINU a quei compiti di coordinamento e controllo ritenuti dalla Corte come una (la meno significativa, però) delle basi della sua responsabilità.
86.10 In realtà la Corte di merito ha escluso – sulla base di una assenza di prove contrarie sul punto – che l’OBINU non avesse mai avuto il tempo materiale per soffermarsi sull’operato dei suoi subalterni a causa dei molteplici de gravosi impegni istituzionali.
86.11 In conclusione – e sempre con riferimento alla posizione del ricorrente in riferimento alla operazione “HOPE” – le testimonianze rese da numerosi alti Ufficiali dell’ARMA vengono esposte in sede di legittimità per essere reinterpretate sfruttando quei passi delle dichiarazioni ritenuti utili per accreditare la versione difensiva: ma ciò non è consentito in sede di legittimità tanto più che la Corte, nell’analizzare la posizione degli imputati coinvolti in tale operazione, ha esordito affermando testualmente “tenuto conto delle specifiche argomentazioni contenute nei rispettivi atti difensivi”: il fatto che dichiarazioni che la difesa auspicava potessero riverberarsi favorevolmente sulla posizione dell’OBINU non siano state tenuto in conto dalla Corte non equivale, come preteso suggestivamente dalla difesa, a difetto di motivazione o suo travisamento, ma ad una valutazione comparata che ha indotto la Corte di merito, in modo peraltro logico e coerente con i dati processuali, a privilegiare in modo non affatto acritico, alcune dichiarazioni rispetto ad altre risultate nel complesso meno credibili o giustificabili.
86.12 Peraltro la tesi del principio di affidamento introdotta dalla difesa (vds. pagg. 15 e ss. del ricorso) contrasta in modo palese proprio con il dato delle acquisizioni costanti di notizie da parte dell’OBINU, sicché questi era in grado, dall’alto della sua esperienza (che non era certo poca e scadente visti i plurimi incarichi ricoperti in un periodo delicatissimo di contrasto globale alle varie forme di criminalità organizzata), di controllare da vicino e de visu l’operato dei suoi subordinati intervenendo, là dove necessario, per rimediare alle irregolarità. Il non averlo fatto o impedito, non può nemmeno essere letto come una responsabilità per colpa, come sostenuto dalle difese di altri ricorrenti di grado inferiore rispetto all’OBINU, ma piuttosto come una responsabilità diretta e specifica oltre che consapevole, non giustificabile dalle circostanze rassegnate dalla difesa.
87. Considerazioni non dissimili ritiene di svolgere il Collegio anche con riferimento all’altra operazione “COBRA” riguardante l’importazione dalla Colombia di Kg. 213 di cocaina giunti in Italia al porto di Marina di Carrara.
87.1 Premesso che la Corte di Appello ha minuziosamente descritto le varie vasi di tale complessa operazione, sul conto del Col. OBINU la Corte di Appello ha espresso giudizi del tutto similari in termini di ragioni che ne giustificavano la responsabilità, rispetto a quelli espressi con riferimento alla operazione “HOPE” della quale la successiva operazione costituiva una sorta di prosecuzione in termini di strategie operative. Ancora una volta viene respinta la tesi che vorrebbe l’OBINU inconsapevole perché impegnato in molteplici altre attività e oltretutto non più in servizio in quel Reparto, avendone preso il posto il Col. GANZER subentrato nel frattempo al Col. OBINU.
87.2 Ancora una volta la difesa espone i passi delle dichiarazioni di alcuni testi i cui contenuti, asseritamente non presi in considerazione dalla Corte di appello, deporrebbero per una sostanziale estraneità dell’OBINU alle varie fasi dell’operazione “COBRA” (eloquente, secondo la difesa, quanto asserito dal teste Dott. Armando SFATAR° secondo il quale a seguire tale operazione “dall’inizio alla fine” sarebbe stato il Col. GANZER).
87.3 Così come la difesa, per accreditare la tesi della inconsapevolezza da parte dell’OBINU delle irregolarità, sostiene il principio dell’affidamento stavolta rivolto all’autorità giudiziaria: tesi, ancora una volta, disattesa dalla Corte di merito che ha sottolineato come l’assoluzione del Dott. CONTE coimputato nel medesimo processo, era derivata proprio dalle false ed imprecise 80 informazioni veicolategli dagli ufficiali e sottufficiali che sovraintendevano alle varie operazioni sotto-copertura. La tesi dell’assenza di contributo causale da parte dell’OBINU a tale operazione viene estesa dalla difesa anche ai momenti riferibili alla importazione della cocaina dalla Colombia, ma, ancora una volta, con argomentazioni che introducono elementi di fatto sottratti al sindacato di legittimità.
87.4 Ed infine, con riferimento alle operazioni “LIDO” e “SHIPPING” i cui reati sono stati dichiarati estinti per prescrizione, la motivazione della Corte di appello, ancorchè estremamente sintetica, come sottolineato dalla difesa del ricorrente, appaiono comunque logiche e coerenti con i dati processuali, non essendo emersa con la dovuta evidenza la prova della estraneità dell’OBINU a tali operazioni che avrebbe potuto portare ad un proscioglimento con ampia formula liberatoria ex art. 129 cod. proc. peri.
Valgono al riguardo le considerazioni già espresse in precedenza dal Collegio in merito ai limiti che incontra un eventuale proscioglimento nel merito in presenza di una causa di estinzione del reato (nella specie per prescrizione), laddove manchi l’evidenza della prova circa l’insussistenza del fatto, o la sua non attribuibilità all’imputato ovvero circa altre cause di non punibilità ovvero circa l’assenza dell’elemento soggettivo integrante la fattispecie.
88. La difesa ha espresso esplicite riserve anche in merito alle considerazioni conclusive esposte dalla Corte di Appello in fine alla sentenza, laddove ha inteso riepilogare, integrandoli, gli elementi ritenuti decisivi per la conferma della colpevolezza in riferimento ai capi E2 ed F1.
In particolare la difesa contesta le affermazioni contenute in sentenza secondo cui sarebbe stato preciso dovere dell’imputato – in quanto in posizione di vertice – verificare le informative inviate alla D.C.S.A., avendo tutti gli strumenti per esercitare tale compito di controllo. Viene altresì contestata l’asserzione della Corte di merito secondo la quale non era comprensibile quali fossero le altre operazioni importanti che vedevano impegnato l’OBINU, mentre era scontato che il Comandante del reparto avrebbe dovuto garantire la direzione, il coordinamento ed il controllo delle operazioni.
88.1 A ben vedere la censura così come formulata non ha fondamento in quanto la Corte di merito – che già aveva esordito a proposito della operazione “HOPE”, precisando che la responsabilità dell’Ufficiale derivava non già da una sua posizione di vertice in quanto tale, ma da un contributo materiale e consapevole prestato all’operazione (indicandone anche gli atti da cui emergeva tale coinvolgimento materiale e diretto) – ha ribadito il convincimento che un incarico di comando potesse avere – come sostenuto a più riprese dalla difesa – una valenza formale e di facciata.
E da escludere che un simile ragionamento sia frutto di considerazioni illogiche, essendo indiscutibile che l’OBINU, anche per la sua pluriennale esperienza nel settore della criminalità organizzata, avesse un preciso dovere di verifica e di approfondimento dei dati ricavabili e ricavati dalle varie relazioni e annotazioni da parte dei subordinati che il Col. OBINU avrebbe poi utilizzato per le informative da inviare agli organi a ciò preposti (D.C.S.A. e Autorità Giudiziaria).
88.2 Corrette, quindi, sul piano strettamente logico, le perplessità manifestate dal giudice di appello sulla utilità di un Reparto Speciale creato ad hoc per contrastare – tra l’altro – il fenomeno del traffico internazionale di stupefacenti, che in realtà prevedeva al suo interno componenti non in grado di assicurare tali finalità, vista la superficialità e deliberata approssimazione con la quale alcuni di tali soggetti agivano in spregio ai limiti imposti dalla legislazione e l’altrettanta leggerezza con la quale chi era preposto a controllare si sottraeva a tale compito.
La Corte distrettuale ribadisce, invece, una piena partecipazione materiale – con riferimento per quanto qui rileva – all’OBINU, alle attività poste in essere da altri soggetti in posizione di subordinazione (partecipazione che, esclusa in determinati casi, ha comportato l’assoluzione degli imputati a riprova della cura con la quale sono state esaminate le singole vicende e le singole responsabilità).
88.3 Del tutto inverosimile la tesi che altri impegni istituzionali, pur gravosi e numerosi, impedissero di fatto all’OBINU di prestare la dovuta attenzione ad operazioni che presentavano notevoli criticità come comprovato dagli evidenti difetti nelle informazioni da indirizzare all’Autorità Giudiziaria; dalla gestione del denaro da corrispondere alle fonti, etc.
88.4 Ancora una volta le critiche mosse alle affermazioni conclusive della Corte di Appello riprendono il solito tema della prospettazione alternativa di fatti ricostruiti sulla base di interpretazioni del tutto personali e parziali di quanto riferito dai testi escussi, sicchè anche per tale ragione, il primo motivo del ricorso deve ritenersi dei tutto infondato e pretestuoso.
89. In riferimento al secondo motivo, incentrato sulla inosservanza della legge penale e manifesta illogicità della motivazione per aver omesso di riconoscere la scriminante putativa, anche alla luce della intervenuta assoluzione del Dott. CONTE in ordine ai capi B1, B3 e B5 pronunciata dal Tribunale in applicazione degli artt. 97 e 98 D.P.R. 309/90 (sentenza acquisita dalla Corte di Appello che però non vi avrebbe annesso alcuna importanza), si tratta di considerazioni sostanzialmente generiche, anche nella parte in cui si richiama la omessa considerazione da parte del giudice di appello della correttezza del metodo seguito in quella operazione di cui è traccia nell’appunto a firma OBINU “Operazione Cedro – sistema operativo attivato”.
In questo senso va richiamato quanto si legge a pag. 117 della sentenza impugnata laddove, nel commentare la portata dell’appunto (o schema che dir si voglia), ribadisce come tale documento (che l’OBINU nel corso delle sue dichiarazioni in fase di indagini preliminari ha riferito avesse un uso interno) costituiva la riprova della irregolarità della operazione, evidenziando che non vi era indicato un rapporto interno tra i fornitori esteri della droga e i destinatari, ma si parlava di una fornitura fatta alla fonte in contatto con i militari del R.O.S. che avevano poi provveduto a ritirare la sostanza stupefacente e a consegnarla agli acquirenti individuati tramite la fonte.
E irregolarità ancora più gravi vengono evidenziate dalla Corte di appello in occasione della seconda consegna di stupefacente nell’ambito dell’operazione “CEDRO” (vds. pagg. 120 e ss. della sentenza impugnata in cui si ribadiscono le gravi irregolarità operative in cui sono incorsi gli agenti sotto-copertura appartenenti al R.O.S. in relazione alla intermediazione della D.E.A. americana).
89.1 Valgono quindi le considerazioni precedentemente espresse a proposito degli altri imputati che hanno sollevato identica censura, non discostandosi le argomentazioni sviluppate dalla difesa del ricorrente OBINU da quelle seguite di difensori degli altri imputati.
90. Il terzo motivo, incentrato sul mancato riconoscimento della scriminante putativa al ricorrente anche in correlazione con l’opposta decisione adottata per gli imputati RINALDI e LUCATO, senza che emergesse una ragione plausibile per giustificare il diverso trattamento riservato all’Ufficiale, è anche questo generico.
In ogni caso è da escludere la sussistenza del vizio di manifesta illogicità denunciato avendo la Corte di Appello spiegato adeguatamente le ragioni per le quali tale scriminante non poteva trovare ingresso e doveva, invece, ritenersi applicabile per gli altri due militari del R.O.S.
91. Il quarto motivo, dedicato all’aspetto dell’elemento soggettivo del reato, asseritamente venuto meno a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 32/14 che ha dichiarato l’illegittirnità costituzionale degli artt. 4 bis e 4 vicies ter della L. 49/06 ripristinando il testo dell’art. 73 D.P.R. 309/90 vigente prima di tale riforma, è del tutto infondato richiamandosi, al riguardo, quanto già osservato dal Collegio in relazione ad analogo motivo prospettato dalla difesa del ricorrente SCALISI ed essendo del tutto identiche le argomentazioni sviluppate a sostegno del motivo dedotto nell’interesse del ricorrente OBINU.
92. Infine, con riferimento al quinto motivo afferente al trattamento sanzionatorio, in sé la censura non è fondata avendo comunque la Corte di merito fatto richiamo ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen. e avendo la difesa, nel proprio atto di appello invocato un trattamento sanzionatorio più mite e contenuto entro i limiti minimi, senza però una specifica doglianza in merito alla quantificazione dell’aumento di pena ex art. 81 cpv. cod. pen.
92.1 Tuttavia, per quanto si osserverà in prosieguo con riferimento alla questione relativa alla qualificazione delle condotte residue nella ipotesi di cui all’art. 73 comma 5 del D.P.R. 309/90, la censura in esame rimane sostanzialmente assorbita.
Ricorso GANZER
93. Dei dieci motivi di cui è composto il ricorso originario del Gen. GANZER, alcuni (in particolare il primo, il secondo, l’ottavo, il nono ed il decimo) ricalcano motivi proposti dalle difese di altri ricorrenti e dunque se ne farà un cenno in termini estremamente sintetici valendo le argomentazioni sviluppate in precedenza in sede di esame dei motivi proposti dagli altri ricorrenti rispettivamente interessati.
94. Prima di analizzare i restanti motivi (dal terzo al settimo) occorre premettere che il ricorso del GANZER, seppur contenente questioni che attengono a temi di carattere generale (quali, in via del tutto esemplificativa, il profilo delle scriminanti speciali e della scriminante putativa; l’elemento soggettivo del reato in riferimento alle condotte di importazione e cessione, ripreso nelle note di udienza; la questione afferente alla dedotta incompetenza territoriale del Tribunale di Milano), risulta sostanzialmente incentrato su un punto di carattere ancor più generale – e che la difesa giudica prioritario ed assorbente – concernente il tema della partecipazione dell’alto Ufficiale ai fatti che gli vengono addebitati (ma anche agli altri reati che sono stati dichiarati estinti per prescrizione): partecipazione che, riconosciuta dai giudici di merito, la difesa ritiene invece del tutto insussistente, denunciando in proposito un articolato vizio di motivazione sviluppato sulle tre direttrici della omessa motivazione (in riferimento alla mancata valutazione delle testimonianze e prove giudicate favorevoli); della manifesta illogicità della motivazione (con riferimento in generale alla valutazione incongrua da parte della Corte di merito dei dati probatori acquisiti al processo (a parte i dati non utilizzabili per ragioni processuali e in ogni caso valutati in modo manifestamente illogico) e del travisamento delle prove in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale.
94.1 Ne deriva quindi per il Collegio un specifico compito di analizzare tali vizi in correlazione con quello che costituisce il leitmotiv della impugnazione, anche in riferimento ai motivi nuovi o aggiunti.
94.2 La premessa di fondo dalla quale muove il ricorso originario riguarda i prodromi dell’operazione “COBRA” (capi F1 ed F2) per la quale è stato confermato il giudizio di penale responsabilità del Gen. GANZER; prodromi costituiti dalla operazione “HOPE” condotta da altri militari del ROS, cui il Gen. GANZER sarebbe risultato estraneo (tant’è che verso di lui nessuna imputazione è stata elevata in ordine a tale vicenda, essendo statti archiviati gli atti relativi in esito all’interrogatorio dell’Ufficiale in sede di avviso di conclusione indagini) in cui vi era stato quel cambio in Svizzera del denaro ricavato dalla operazione “HOPE” in relazione alle cessioni di droga: fatto – quest’ultimo – che aveva consentito di iniziare l’operazione “COBRA” con i soldi della operazione “HOPE”.
La difesa, sul punto, censura aspramente come illogico in modo manifesto il ragionamento della Corte di merito secondo cui, essendo in realtà il GANZER al corrente di ciò che era avvenuto con l’operazione “HOPE” soprattutto con riguardo alla consegna del denaro e al suo successivo utilizzo nella operazione successiva, la partecipazione dell’imputato alla operazione “COBRA” (dai connotati illeciti in ordine alle modalità di svolgimento) doveva ritenersi assodata, avendo oltretutto l’imputato ammesso sia pure nella fase delle indagini preliminari tale circostanza (ammissione non confermata in sede dibattimentale).
94.3 E’ sempre la difesa ad introdurre il tema del risentimento nutrito dal P.M. di Brescia Dott. SALAMONE nei confronti del Gen. GANZER in relazione alle vicende che avevano visto protagonista il fratello indagato per concorso esterno in associazione mafiosa e tratto in arresto da militari del ROS all’epoca in cui il reparto era diretto proprio dall’odierno ricorrente; così come è la difesa ad insistere su una massiccia opera di svalutazione delle prove favorevoli al GANZER e di una ipervalutazione delle prove contrarie ivi comprese le dichiarazioni di alcuni coimputati (Cap. FISCHIONE, Mila PALMISANO; Kilo LEONE) che pure avevano concordemente escluso che il Gen. GANZER fosse al corrente delle vicende legate alla consegna del denaro ricavato dalla operazione “HOPE” ed al successivo cambio in Svizzera per la quale era stata indicata la responsabilità, quale ufficiale di vertice, dei Col. OBINU, con conseguente estraneità del GANZER alla operazione “COBRA”.
94.4 La Corte territoriale affronta l’argomento nelle pagg. 165-168 dedicate alla analisi della vicenda del cambio di denaro in Svizzera proveniente dalla operazione “HOPE”, mentre in riferimento alla posizione dell’odierno ricorrente nella operazione “COBRA” (che la Corte di appello indica come “operazione in diretta continuità con l’operazione “HOPE” – così a pag. 191 della sentenza impugnata), il giudice territoriale analizza approfonditamente il tema della responsabilità del GANZER: anticipando su tali punti le conclusioni del Collegio, può senz’altro affermarsi che le denunciate manchevolezze illogicità e travisamenti non sussistono, sicchè è da escludere del tutto l’asserita estraneità del Gen. GANZER alla vicenda in esame, quanto meno in termini di consapevolezza della irregolarità dell’operazione (specie se posta a confronto con l’operazione “PILOTA” coordinata dal Gen. GANZER secondo modalità assolutamente corrette). Non solo, quindi, non ricorrono le condizioni per un annullamento della sentenza per estraneità dell’imputato ai fatti contestatigli, ma semmai ricorrono plurimi elementi per affermare il contrario.
95. La partecipazione del gen. GANZER alla operazione “COBRA” (le cui fasi vengono ricostruite minuziosamente dalla Corte distrettuale sin dal momento iniziale, fino agli esiti finali culminati nel decreto di sequestro dei 200 Kg. di cocaina disposto dal P.M. del Tribunale di Milano Dott. Armando SPATARO e seguiti dalla distruzione della sostanza medesima) viene data per certa dalla Corte territoriale sulla base non già di mere deduzioni di tipo assertivo, ma di una testimonianza qualificata (quella del Dott. SPATARO) e sulla base, anche, di numerosi dati provenienti dalle dichiarazioni di altri coimputati (segnatamente il Cap. FISCHIONE ed il M.Ilo PALMISANO) oltre che da precedenti affermazioni (non confermate in dibattimento) dello stesso Gen. GANZER nella fase conclusiva delle indagini preliminari.
95.1 Se non può quindi affermarsi che tali conclusioni siano affette da manifesta illogicità o più ancora da travisamento della prova come sostiene la difesa, deve anche riconoscersi che le deduzioni difensive contengono in realtà più di un profilo di censure in fatta che rendono improponibili ed inesaminabili in sede di legittimità la gran parte di esse.
95.2 Sui rapporti tra l’operazione “HOPE” e l’operazione “COBRA” (che della prima rappresenta il conseguenziale sviluppo soprattutto sul piano economico, posto che il denaro ricavato dalla prima sarebbe poi servito per iniziare la seconda) la Corte di appello si è soffermata ampiamente, ricostruendo – per quanto riguarda la posizione del GANZER – una serie di passaggi che provano in modo certo la conoscenza da parte dell’Ufficiale delle modalità (anomale) di quella operazione: un passaggio fondamentale è quello risultante dalla pag. 194 della sentenza in cui la Corte afferma, a ragione, che pur essendo rimasto escluso il coinvolgimento dell’Ufficiale nella operazione “HOPE” e la consapevolezza del collegamento tra le due operazioni, in riferimento alla vicenda del cambio del denaro in Svizzera, era però certo che il GANZER, nel frattempo subentrato al Col. OBINU nel comando del Reparto Antidroga del R.O.S., aveva sottoscritto le informative conclusive riguardanti l’operazione “HOPE” nelle quali – come ricorda la Corte di Milano – erano illustrate tutte le attività svolte dai militari del ROS e i risultati ottenuti.
95.3 La difesa, nei criticare le deduzioni ricavate dalla Corte territoriale sul piano della consapevolezza da parte del GANZER delle anomalie di tali operazioni, trascura – come si è già visto esaminando la posizione del Col. OBINU – quei dati collegati alla grande esperienza e capacità investigativa ed operativa del Gen. GANZER che deponevano per l’insostenibilità della tesi difensiva poggiante sul fatto che l’Ufficiale si limitasse a firmare i documenti via via passatigli dai suoi sottoposti, senza alcun approfondimento, anche in nome dell’affidamento sulla capacità degli altri subordinati in grado: tesi riduttiva e semmai assai poco giustificabile in relazione all’abilità e ed elevata professionalità dell’imputato ma anche alla luce del fatto che competeva proprio al più alto in grado coordinare le operazioni, previo controllo specifico di quello gli altri compivano, tanto più in relazione alla estrema delicatezza delle operazioni ed alle stringenti limitazioni operative connesse alla rigorosa legislazione dell’epoca (normativa che certamente l’Ufficiale conosceva ed applicava come testimoniato dall’operazione “PILOTA”).
95.4 Anche il dato costituito dalla richiesta avanzata dal gen. GANZER alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma di sottoporre a controllo l’utenza in uso a tale ROMS Josefina (il soggetto cui sarebbe stata consegnata la prima tranche della somma ricavata dalla operazione “HOPE” per la cessione della droga in quel contesto) viene letto, a ragione, dalla Corte di merito come sintomatico di una conoscenza reale da parte del GANZER di quanto accaduto nella parte conclusiva dell’operazione “HOPE” riguardo al denaro, posto che solo la conoscenza di tali particolari (le cui modalità non appaiono) avrebbe potuto indurre l’odierno ricorrente ad avanzare la richiesta di intercettazione.
Così come, con altrettanta logicità, la Corte di Milano esclude che l’iniziativa delle captazioni telefoniche possa essere stata una iniziativa di militari subordinati al GANZER e che costoro avrebbero agito in autonomia e soprattutto a sua insaputa, in barba a rigide regole gerarchiche che governano qualunque istituzione militare con compiti di P.G.
95.5 Che poi l’operazione “COBRA” risulti caratterizzata da numerose anomalie è fatto già adeguatamente scrutinato dal Collegio e che appare utile riaffermare anche alla luce di specifici elementi che, oltre a confermare quanto asserito dalla Corte di merito, valgono anche per confermare la logicità delle conseguenze che la Corte territoriale ha tratto con riferimento alla posizione del GANZER.
95.6 Uno dei dati più significativi è rappresentato dal comportamento (ma sarebbe più corretto parlare di reazione) assunto dal Dott. SPATARO, dopo un incontro con il gen. GANZER 86 (del quale era amico e si fidava) avvenuto nei primi mesi del 1994 (dopo che il Generale aveva assunto il comando del R.O.S. antidroga, subentrando al Col. OBINU) nel corso del quale l’Ufficiale aveva riferito al magistrato la sua necessità di parlargli in merito ad una certa operazione riguardante l’imminente arrivo di un grosso quantitativo di cocaina nel porto di Massa-Carrara.
95.7 La Corte di merito, nel ricostruire l’episodio si è particolarmente soffermata sulla deposizione del magistrato che in modo netto – per come ricordato dalla Corte – senza esitazioni né amnesie o imprecisioni, ha parlato di un incontro in aeroporto qualche mese dopo l’emissione da parte sua del decreto di ritardato sequestro (21 febbraio 1994) con lo stesso GANZER che, in quell’occasione, gli aveva chiaramente fatto intendere di difficoltà sopravvenute in quell’operazione che ne avevano rallentato il corso, finendo così con l’intuire che l’intera operazione (che il Gen. GANZER aveva seguito dall’inizio per come riferito dal magistrato) era caratterizzata da più di una irregolarità.
Evento che aveva indotto il Dott. SPATARO, dopo le prime esitazioni dovute all’effetto sorpresa, a disporre la fine dell’operazione, con il sequestro e la distruzione dello stupefacente (operazioni affidate ad altro collega nella persona del P.M. Marcello MUSSO a causa dei concomitanti impegni professionali del Dott. SPATARO che lo avevano portato fuori dall’Italia): orbene, la Corte ha recisamente escluso che dai colloqui tra il Gen. GANZER ed il magistrato possano essere insorti equivoci tali da fuorviare i ricordi di quest’ultimo, sottolineando che di fronte alla precisione, costanza e coerenza della deposizione del magistrato, stavano le opposte dichiarazioni degli imputati che insistevano per la tesi dell’equivoco in cui era incorso il dott. SPATARO nel comprendere quanto riferitogli dal Gen. GANZER.
95.8 I successivi dati analizzati dalla Corte militano tutti nel senso della esattezza delle dichiarazioni del Dott. SPATARO in sede dibattimentale che hanno portato il giudice di appello al convincimento che il sequestro della droga era stato inscenato dai militari del ROS prima che il magistrato emettesse il decreto di ritardato sequestro e soprattutto, che la reazione del Dott. SPATARO era conseguita alla percezione che l’intera operazione si era svolta ben al di fuori dei limiti imposti dagli artt. 97 e 98 del D.P.R. 309/90.
95.9 Nel valutare la posizione dell’odierno ricorrente, la Corte ha anche sottolineato la diversità delle versioni fornite dal Gen. GANZER alla D.C.S.A. in merito al blocco dell’operazione ed alle ragioni della conferenza stampa indetta dai militari del reparto dovuta ad una asserita (ma del tutto indimostrata) fuga di notizie diversamente da quanto comunicato al Dott. SPATARO.
95.10 La Corte, in conclusione, muovendo da tali elementi ha finito con il ribadire il proprio convincimento che il Gen. GANZER fosse effettivamente al corrente dei pagamenti effettuati nell’ambito dell’operazione “HOPE”, ma soprattutto ha valutato come incoerente ed ingiustificabile il comportamento del gen. GANZER in riferimento ad una asserita (da parte sua) non condivisione dei metodi seguiti in quella operazione, dei tutto difforme dalla realtà.
96. Il GANZER è stato ritenuto responsabile anche del reato sub G1 attinente alla operazione denominata “CEDRO 1” e riguardante l’importazione dalla Colombia di cocaina e pasta di cocaina (da raffinare) per complessivi 270 Kg. circa (di cui 81 di cocaina in pasta) condensata in undici episodi compresi nell’arco temporale di quasi un biennio (tra il 28 ottobre 1995 e il 3 settembre 1997): anche in questo caso la Corte distrettuale ricostruisce le varie fasi della vicenda e per quanto qui rileva, il ruolo del Gen. GANZER.
La Corte di Milano ricorda le ragioni del passaggio dell’attività del R.O.S. di Bergamo da quella città alla zona di Pescara e di L’Aquila e fa cenno di una nota a firma GANZER risalente al 28 giugno 1995 e diretta al Sost. Procuratore della Repubblica di Bergamo Dott. CONTE in cui si dava atto di una indagine in corso con agenti sotto- copertura riguardante un traffico di stupefacenti tra Colombia ed Italia e una probabile operazione di installazione di una raffineria in Rosciano per la lavorazione della pasta di cocaina. Non residua alcun dubbio, a giudizio della Corte, della partecipazione materiale del gen. GANZER a tale operazione, o quanto meno, del suo contributo materiale determinato dalla redazione di numerose note ed informative a sua firma indirizzate tanto alla Autorità Giudiziaria che alla D.C.S.A. così come non residua alcun dubbio in merito alla irregolarità anche in questo caso, delle modalità di conduzione di tale operazione ed alla consapevolezza, da parte dell’alto Ufficiale, di tali anomalie.
96.1 Ancora una volta la Corte di Milano, nel valutare la posizione ed il ruolo del GANZER, analizza i contrasti insorti tra la versione di questi e quella del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pescara Dott. PICCIOLI in merito alla vicenda riguardante il trasferimento del M.Ilo DE MARCO del ROS di Pescara (ritenuto inadeguato dal Procuratore, ma non trasferibile dall’Ufficiale per via di una opposta valutazione circa le capacità operative ed investigative del sottufficiale); da tale contrasto, ma anche da altri dati ritenuti sintomatici, la Corte di Milano ha tratto il ragionato (e ragionevole) convincimento che il GANZER sapesse bene delle irregolarità della operazione “CEDRO 1” iniziata sotto il suo comando e che era necessario che al comando della Sezione R.O.S. di Pescara vi fosse un maresciallo (il DE MARCO, appunto) di supporto al R.O.S. di Bergamo che aveva assunto l’iniziativa della operazione stessa ed a capo del quale si trovava il M.Ilo LOVATO.
96.2 Le conclusioni sul penale coinvolgimento del GANZER nella operazione sono state assunte dalla Corte in modo assolutamente logico e senza sfasature persino nella lettura di alcuni dati (il riferimento è ad una mancata richiesta di rogatoria internazionale da parte della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di L’Aquila che la Corte ha addebitato alle cattive informazioni da parte del GANZER sulle modalità della operazione e ad una intercettazione telefonica di una conversazione tra il M.Ilo DE MARCO e la moglie in cui si parla del mancato ragguaglio al Gen. GANZER dell’uso di un documento falso per prendere in affitto due appartamenti da destinare a covo per nascondere lo stupefacente e a dimora dei trafficanti) che deponevano per una certa partecipazione del GANZER a tutta l’operazione; per il suo coinvolgimento consapevole e per la insostenibilità – come di già visto per altre operazioni che vedevano protagonisti ufficiali di grado elevato – della tesi del controllo formale, senza coinvolgimenti concreti.
97. Tanto premesso in punto di ricostruzione storica delle vicende che vedono coinvolto il Gen. GANZER relativamente agli episodi descritti nei capi F1 e G1 per i quali è stato confermato il giudizio di colpevolezza, il terzo motivo – che si riferisce alla omessa (in quanto apparente) o comunque illogica motivazione da parte della Corte di merito con la quale era stata rigettata la richiesta di parziale rinnovazione dell’istruzione dibattimentale (testi Augusto Maria GIULIODORI segretario giudiziario in servizio alla Procura della Repubblica di Pescara e M.Ilo COSTANTINI, addetto al Ministero della Sanità) – è infondato.
Si è in precedenza visto quali debbano essere i criteri per procedere, in appello, alla rinnovazione parziale dell’istruzione dibattimentale, istituto di carattere eccezionale che si giustifica in relazione alla rigorosa valutazione della indispensabilità e decisività della rinnovazione in vista della decisione, con la conseguenza che il diniego da parte del giudice se adeguatamente motivato è sottratto al sindacato di legittimità (Sez. 1^ 15.4.1993 n. 5355, Ceraso, Rv. 194222).
Va ribadito, quindi, che alla rinnovazione può farsi ricorso soltanto quando il giudice ritenga “di non poter decidere allo stato degli atti”, impossibilità che si verifica nel caso di incertezza dei dati probatori acquisiti, ovvero ancora quando l’incombente richiesto sia decisivo nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per sé oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza (Sez. 3^ 23.5.2007 n. 35372, Panozzo, Rv. 237410; conforme Sez. 6^ 26.2.2013 n. 20095, Ferrara, Rv. 256228).
97.1 Nel richiamare i concetti già espressi in merito ai limiti che incontra il sindacato di legittimità in merito al diniego espresso della richiesta volta ad ottenere detta rinnovazione, nel senso dell’onere dimostrativo ricadente sul soggetto interessato alla richiesta dell’esistenza, nel tessuto motivazionale che sorregge la decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità ricavabili dal testo del medesimo provvedimento (come previsto dall’art. 606, comma 1, lett. a), c.p.p.) e concernenti punti di decisiva rilevanza (Sez. 1^ 28.6.1999 n. 9151, cit.), va in questa sede ulteriormente precisato che la nuova prova richiesta deve risultare decisiva tale cioè che, se esperita, avrebbe potuto determinare una decisione di tipo diverso e soprattutto l’altra non meno importante regola che l’obbligo di espressa motivazione in materia di rinnovazione parziale dell’istruzione dibattimentale (che di regola si presuma completa specie nel caso di cd. ‘doppia conforme”) ricorre non già nel caso del diniego della prova richiesta, ma nel caso opposto di accoglimento della richiesta in coerenza con il principio della completezza dell’istruzione e della eccezionalità dell’istituto (Sez. 6^ 18.12.2006 n. 5782, cit.).
97.2 A tali principi si è esattamente uniformata la Corte territoriale che ha escluso del tutto motivatamente e con estremo rigore logico, la decisività di tali richieste, giudicandole superflue: invero, come evidenziato dalla Corte territoriale a pag. 257 della sentenza impugnata, il giudice di appello ha selezionato le prove da valutare ed avendo ricavato elementi rassicuranti e convergenti in vista della responsabilità, ed ha, del tutto logicamente, escluso dal novero delle altre prove sollecitate quelle ritenute ininfluenti, con argomentazione sottratta al sindacato di legittimità.
98. Il quarto motivo è in parte basato su alternative ricostruzioni degli episodi inerenti alla operazione “COBRA” – e come tale inammissibile – ed in parte infondato con riferimento alla questione relativa alla erronea applicazione della legge penale in punto di valutazione delle regole del concorso di persona nel reato e dell’elemento soggettivo.
98.1 Si è in precedenza visto con quale meticolosità la Corte territoriale abbia esaminato l’operazione in esame (cura più che giustificata anche dal rango dei personaggi coinvolti oltre che dalla importanza intrinseca dell’operazione): orbene la difesa, in riferimento alla ricostruzione del senso della testimonianza del dott. SPATARO (alla quale vengono dedicate ben 15 pagine del relativo motivo), propone una versione non prospettabile in sede di legittimità anche perché mira a dare una lettura in chiave diversa delle dichiarazioni del teste senza oltretutto nemmeno screditarlo o ancor peggio delegittimarlo. E tanto basta per ritenere tale specifico profilo del quarto motivo inammissibile.
98.2 Quanto poi all’aspetto concernente l’erronea applicazione della legge penale in punto di concorso di persone nel reato e sussistenza dell’elemento soggettivo in termini di consapevolezza della irregolarità dell’operazione “COBRA”, il ragionamento della Corte si sottrae a qualsivoglia censura di incompletezza e incongruenza logica anche perché parte da un dato assolutamente certo (la partecipazione del GANZER alla operazione suddetta dall’inizio alla fine), muovendo da una premessa – la pregressa conoscenza delle vicende relative ai pagamenti di denaro nell’ambito della operazione “HOPE” – altrettanto certa e comunque pienamente giustificabile sotto il profilo logico, sicchè la conclusione che ne è derivata in termini di consapevole partecipazione del gen. GANZER alla operazione è coerente con le suddette premesse.
Anche per il gen. GANZER la Corte opera quegli stessi rilievi circa la scarsa consistenza della tesi di un Ufficiale ai vertici del reparto impegnato solo in compiti formali di avallo delle operazioni condotte da subalterni, del tutto contraria alla logica. Né può profilarsi – come parrebbe adombrare la difesa – una posizione di mera colpa dettata da superficialità, perché se di superficialità può parlarsi è, anche questa, consapevole e dunque tale da connotare negativamente l’operato del gen. GANZER partecipe di operazioni non consentite.
Anzi la parallela analisi, sollecitata dalla difesa, con altre operazioni condotte in modo corretto se non addirittura esemplare da parte dell’Ufficiale, finisce con il far risaltare ancora di più l’elemento psicologico del reato in relazione alla operazione “COBRA”.
Sostenere, come fa la difesa, che i metodi riguardanti l’operazione “HOPE” non erano condivisi dall’Ufficiale, si pone in stridente contrasto con l’atteggiamento successivo assunto nella operazione “COBRA” (alla prima strettamente collegata dal punto di vista economico) che avrebbe dovuto indurre il GANZER a non autorizzare l’operazione o comunque ad interromperla, tenuto anche conto di quanto pacificamente emerso dagli atti del processo e delle dichiarazioni di molti coimputati.
Coerenti le conclusioni esposte dalla Corte distrettuale sull’operato complessivo del Gen. GANZER, mentre ancora una volta le censure rivolte alla Corte circa la metodologia seguita nel pervenire a siffatte conclusioni, peccano sui contenuti sicuramente fattuali che mirano ad offrire una alternativa ricostruzione degli avvenimenti ivi compresi quelli relativi alla parte successiva alla decisione del Dott. SPATARO di interrompere l’operazione.
99. Relativamente al quinto motivo con il quale viene stigmatizzata l’inosservanza delle norme penali processuali e sostanziali in riferimento alle condotte relative alla operazione “LIDO” (in ordine alle quali il giudice di appello ha dichiarato la prescrizione dei reati) si tratta di censura infondata.
99.1 Contrariamente all’assunto difensivo che ravvisa nella decisione della Corte di dichiarare prescritto il reato concernente le armi (capo C1) essendo incorsa in un vero e proprio “abbaglio” (così, testualmente, pag. 74 del ricorso principale), la decisione della Corte di merito non appare manifestamente illogica là dove afferma della partecipazione del Gen. GANZER alla vicenda riguardante l’importazione delle armi dal Libano, in quanto la vicenda delle armi – seppure nella contestazione enunciata nel capo C1 si parla di una importazione contemporanea di hashish e di armi da guerra – viene temporalmente distinta dalla Corte di merito che sottolinea come il Gen. GANZER, dopo essere subentrato al Col. OBINU nel comando del 2° Reparto del R.O.S. ad operazione hashish conclusa, avesse preso cognizione dell’evoluzione dell’operazione concernente le armi e la loro importazione.
99.2 La linea difensiva ruota sulla sostanziale contemporaneità tra la importazione dell’hashish dal Libano (per la quale l’imputato era stato assolto) e l’importazione delle armi: ma tale contemporaneità è stata esclusa dalla Corte di appello (così come dal Tribunale) senza che possa qualificarsi manifestamente illogico l’operato del giudice distrettuale, in assenza di elementi che deponevano per una evidenza assoluta della prova circa l’estraneità del GANZER.
99.3 Sicché la Corte si è uniformata ai consueti principi, già richiamati a proposito della posizione di altri imputati, in tema di prevalenza della formula estintiva in assenza di prova evidente della non attribuibilità del fatto all’imputato o di sua insussistenza. D’altra parte le censure sollevate dalla difesa appaiono anche in questo caso prospettare una diversa ricostruzione della vicenda là dove si accenna ad una gestione della vicenda relativa alle armi da parte del Gen. MORI all’epoca Vice Comandante del R.O.S.
100. Non dissimili le considerazioni da svolgere in riferimento al sesto motivo, riferito alle condotte relative alla operazione “SHIPPING” (vicenda relativa alla importazione dal Libano di Kg. 1.740 di hashish) per le quali la Corte territoriale ha ritenuto non esclusa in modo evidente la penale responsabilità, pervenendo, però, ad una declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione.
100.1 Anche in questo caso a fronte di un giudizio espresso dalla Corte in ordine alla certa partecipazione del GANZER alla operazione (desunto dalla conoscenza diretta dell’Ufficiale delle vicende ad essa connessa come testimoniato dalla richiesta dell’odierno ricorrente alla D.C.S.A di accreditamento presso la Polizia libanese dei sottufficiali LOVATO ed ARPA in forza al R.O.S. di Bergamo, concessa dalla D.C.S.A. che pretendeva il coinvolgimento di altro sottufficiale che il LOVATO e l’ARPA avevano però del tutto emarginato suscitando le immediate proteste del Col. LEONI della D.C.S.A. rivolte al GANZER che era il diretto superiore dei due sottufficiali di Bergamo) la difesa offre una versione diversa ed alternativa rispetto a quella della Corte di Appello che oltretutto aveva ritenuto implausibile la giustificazione dell’imputato circa il mancato coinvolgimento del Brig. PRINCIPI segnalato dalla D.C.S.A. da parte dei sottufficiali LOVATO ed ARPA sulla base di un appunto dello stesso Col. LEONI contenente la risposta del Col. GANZER che segnalava la fretta con la quale dovevano agire i due sottufficiali, in quanto la “fonte” non gradiva altri interlocutori (diversi, cioè, dal LOVATO e dall’ARPA).
100.2 Valgono quindi le stesse considerazioni svolte in ordine alle regole cui è assoggettata la declaratoria di prescrizione in assenza di elementi comprovanti con evidenza assoluta l’insussistenza del fatto ovvero la sua non attribuibilità all’imputato.
101. Quanto al settimo motivo, si tratta di censure attinenti l’operazione “CEDRO 1” per la quale è stata confermata la responsabilità del GANZER limitatamente alla condotta di cui al capo G1, mentre sono stati dichiarati estinti per prescrizione i reati sub G2 e G3 per i quali la difesa ha formulato specifiche censure di manifesta illogicità che imponevano il proscioglimento immediato da tutte e tre le condotte contestate.
101.1 Si è visto in precedenza come e con quale scrupolo la Corte territoriale abbia esaminato la posizione del Gen. GANZER riguardo a tale operazione: orbene le censure contenute nell’articolato motivo in esame in realtà prospettano, anche in questo caso, una versione degli avvenimenti alternativa rispetto a quella ricostruita dalla Corte distrettuale, non senza sottolineare che la partecipazione del Gen. GANZER all’operazione in analisi sin dall’inizio, viene data per certa.
Quello che si contesta è quindi il livello di partecipazione dell’Ufficiale ed il grado di consapevolezza in merito alle presunte (secondo la difesa) irregolarità dell’operazione che viene monitorata e segmentata in tutti i suoi momenti più significativi (dalla operazione “Dario”, alla vicenda della raffineria di Rosciano, all’incontro con il Procuratore della Repubblica di Pescara, ai parallelismi con l’operazione “Pilota”, all’assenza del Col. – all’epoca – GANZER dal comando del 2° reparto R.O.S per alcuni mesi tra il 1995 ed il 1996 sostituito dal Col. CATALDI; alla missione a Curacao; alla vicenda TARRINO; al fermo a Cipro) in cui per un verso si ricostruiscono minuziosamente tutti questi momenti, salvo a trarne conclusioni diverse rispetto a quelle assunte dalla Corte di Appello e, per altro verso, si ripropongono i temi che verranno poi ripresi in modo più specifico nei motivi successivi circa le scriminanti speciali, la scriminante putativa, la questione del dolo specifico e della assenza di dolo generico.
101.2 Ma quanto rappresentato dalla difesa non consente di superare né quelle incertezze che hanno condotto la Corte a dichiarare l’estinzione dei reati minori sub G2 e G3 in ossequio ai principi più volte cennati circa la prevalenza della causa estintiva in assenza dei presupposti di cui all’art. 129 cod. proc. pen. e soprattutto non basta a ritenere sussistente l’invocata estraneità del Gen. GANZER al reato di cui al capo G1.
102. Quanto ai rimanenti motivi (i due iniziali, nonché gli ultimi tre), si tratta di argomenti che – come già segnalato – ricalcano, in termini magari più accentuati ma tali comunque da rendere inalterata la conclusione da parte del Collegio, le linee seguiti dai difensori di altri coimputati, sicchè non si ritiene di sviluppare oltre le riflessioni sui detti motivi, non contenendo esse caratteristiche diverse da quelle espresse in precedenza.
103. Un cenno specifico va fatto alla memoria depositata il 6 maggio 2015 contenente motivi aggiunti. Con tali motivi la difesa anzitutto reitera l’eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Milano alla luce della intervenuta assoluzione dal reato associativo che aveva costituito la base per la Corte territoriale per affermare la competenza del Tribunale di Milano: la difesa prosegue insistendo sulla dedotta eccezione, richiamando la regola di cui all’art. 9 del cod. proc. pen. in relazione alla gravità decrescente dei reati in ordine temporale e così ribadendo la tesi della competenza del Tribunale di Roma, luogo in cui è stato commesso il primo e più grave reato indicato nel capo B1 riguardante l’operazione “CEDRO”.
103.1 La censura non è fondata non soltanto per quanto in precedenza osservato, sul punto, da questo Collegio, ma anche per ragioni ulteriori che si ritiene di dover puntualizzare.
103.2 Anzitutto va rilevato che l’intervenuta assoluzione degli imputati dal reato associativo non incide sulla ritenuta competenza territoriale del Tribunale di Milano: costante l’orientamento di questa Corte Suprema secondo cui, muovendo dalla premessa che la valutazione della competenza territoriale deve essere svolta con riferimento al momento della proposizione della relativa eccezione, allo stato degli atti ed in relazione alla imputazione elevata dal Pubblico Ministero, nei termini rigorosamente previsti dall’art. 491 comma 1 del codice di rito, si è sempre affermato che tale norma non pone solo una preclusione all’eccezione di incompetenza in una fase ulteriore – con l’implicita conseguenza di una improponibilità in corso di giudizio per acquisizioni sopravvenute, anche ove queste comportino una diversità del fatto contestato – ma ne impedisce la rilevanza in termini di fondatezza anche nel caso in cui il giudizio sfoci in un risultato diverso (in ipotesi, un proscioglimento) riferito alle imputazioni sulla base delle quali l’eccezione era stata formulata: ciò deriva dal fatto che la competenza in parola si fonda sul rispetto della regola del giudice naturale al momento della costituzione delle parti in giudizio (in termini Sez. 5^ 18.6.1997 n. 7826, Agreste ed altri, Rv. 208317).
103.3 In una successiva decisione (Sez. 6^ 4.5.2006 n. 33435, Battistella e altri, Rv. 234347) si è ulteriormente precisato, a conferma di tale indirizzo, che, tenuto conto della maggiore flessibilità delle fregale sulla competenza ratione loci rispetto alla competenza ratione materiae e alla competenza funzionale dovuta al fatto che la competenza territoriale si fonda su motivi di opportunità (facilità nell’accertamento dei fatti), che non incidono in modo decisivo sulla vicenda processuale, una volta superati i limiti temporali indicati dall’art. 491 comma 1 cod. proc. pen. subentra la regola della perpetuatio jurisdictionis, in forza della quale la cognizione del processo resta attribuita al giudice procedente, anche nell’ipotesi che fatti eventualmente idonei a supportare la deducibilità del vizio d’incompetenza emergano nel corso dell’istruttoria dibattimentale.
103.4 Va poi ricordato che la stessa Corte Costituzionale, investita in ripetute occasioni della questione di legittimità costituzionale dell’art. 491 cod. proc. pen. per asserito contrasto con l’art. 25 Cost. ha ritenuto infondata la questione “sia perché restano sempre chiaramente determinati in anticipo i criteri in base ai quali la competenza deve essere stabilita, in modo da dare all’interessato la certezza circa il giudice che lo deve giudicare, sia perché l’imposizione di una disciplina particolarmente rigorosa per la proposizione dell’eccezione d’incompetenza territoriale corrisponde alla…peculiare natura della competenza in esame, per cui il legislatore può legittimamente ritenere, nella sua discrezionalità, di limitare la possibilità di rilevarne i vizi a vantaggio dell’interesse all’ordine e alla speditezza de/processo” (interesse che prevale rispetto anche all’esatta individuazione del giudice naturale – cfr. C. Cost. sent. n. 1/1965, n. 139/1971, n. 174/1975, n. 77/1077, ord. n. 521/1991, n. 280/1994, n. 130/1995).
103.5 Peraltro è regola invalsa nel nostro sistema processuale quella secondo cui la competenza territoriale deve essere verificata prima della conclusione dell’udienza preliminare ove questa sia prevista (il che è accaduto nel caso in esame): verifica che non può che avvenire allo stato degli atti in quel momento disponibili, “vale a dire sulla scorta della imputazione formulata dal P. M., di tutte le emergenze d’indagine presenti nel fascicolo del P.M. e posti a disposizione del giudice e delle parti private, delle prospettazioni formulate dalla parte interessata e della documentazione dalla medesima eventualmente prodotta”.
103.6 Rimane ferma la possibilità, in caso di rigetto dell’eccezione in quella fase, di riproporla dinnanzi al giudice del dibattimento entro i termini fissati dall’art. 491 comma 1 cod. proc. pen,. sempre sulla base di quello stesso materiale probatorio che consente, in ipotesi, una rivalutazione in vista di stabilire definitivamente presso di sè la cognizione del processo ovvero di riconoscere la propria incompetenza ratione foci, sulla base di una decisione da assumere “immediatamente”: il che costituisce la conferma che, una volta determinatasi, per effetto del previsto sbarramento cronologico e della preclusione ad esso connessa, la perpetuatio jurisdictionis, “l’affermata competenza per territorio rimane insensibile anche ad eventuali eventi istruttori o decisori successivi e di significato diverso da quello espresso dai dati in precedenza valutati.” (Sez. 6^ 33435/06 cit.).
103.7 Da ciò discende una ulteriore conseguenza per effetto della quale la verifica della competenza territoriale, ove rimessa a seguito di impugnazione al giudice del gravame, deve 94 avvenire con valutazione ex ante, ancorata cioè alle emergenze fattuali così come cristallizzate in sede di udienza preliminare o, in mancanza di questa, a quelle acquisite non oltre il termine di cui all’art. 491 comma 1 cod. proc. pen. in quanto una decisione di diverso segno finirebbe con il vanificare il richiamato principio della perpetuatio jurisdictionis.
103.8 A sua volta la pronuncia con la quale il giudice di appello respinge l’eccezione di incompetenza per territorio è impugnabile con ricorso per cassazione, ma il conseguente sindacato di legittimità deve fare riferimento, onde non vanificare ex post gli effetti eventualmente consolidatisi della perpetuati jurisdictionis, ai soli dati fattuali disponibili in sede di udienza preliminare o, in caso di citazione diretta a giudizio, nel momento immediatamente precedente la dichiarazione di apertura del dibattimento. (cfr. oltre alla citata sentenza 33435/06, più recentemente e nello stesso senso, Sez. 6^ 21.11.2012 n. 49754, Casulli e altri, Rv. 254100; Sez. 2″ 13.12.2013 n. 1415, Chiodi e altro, Rv. 258149, in cui, nel riaffermare il principio suddetto, è stato anche precisato che è inibito all’impugnante introdurre a sostegno del gravame sul punto argomentazioni ulteriori rispetto a quelle originarie anche se queste ultime potrebbero, in ipotesi, determinare uno spostamento della competenza territoriale).
103.9 In ultimo – e solo per completezza – sia pure in via astratta tenuto conto della soluzione adotta in conformità ai principi dianzi esposti, non può neanche dirsi che laddove la competenza per territorio si fosse dovuta stabilire non già con riferimento al delitto associativo, ma ai delitti fini, non è neanche esatto ritenere che il reato più grave fosse quello di cui al capo B1, in quanto per effetto della sentenza della Corte Cost. n. 32/14 che ha dichiarato la illegittimità degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito nella legge 21 febbraio 2006, n.49, è stata ripristinata la vecchia distinzione tra “droghe pesanti” e “droghe leggere”: ciò comporta che il reato-fine più grave non può più considerarsi quello di cui al capo B1 connesso alla operazione “CEDRO”, bensì quello di cui al capo G1 connesso alla operazione “CEDRO 1” riguardante l’imputazione di importazione cessione di rilevanti quantità di cocaina e pasta di cocaina.
104. Quanto ai rimanenti motivi contenuti nella memoria in esame la difesa ripropone temi già esplicitati in modo assai ampio nel ricorso principale, senza addurre specifici elementi di novità tali da ribaltare il risultato della valutazione già operata da questa Corte Suprema.
104.1 In particolare rimane ferma la consapevole partecipazione alle operazioni “COBRA” e “CEDRO 1” da parte del Gen. GANZER, anche se la sua posizione, rispetto a quella dei militari materialmente operante risulta divergente, nel senso che la sua responsabilità nasce anzitutto dalla sua posizione di vertice che gli consentiva (rectius imponeva) di coordinare e sovraintendere le operazioni (indiretta conferma di ciò proviene proprio dalla testimonianza del Dott. SPATARO in riferimento alla operazione “COBRA”): va ribadito in proposito il fatto che tale attività di coordinamento e supervisione rientra nei compiti di un Ufficiale che riveste posizioni di vertice, sicchè non può dirsi che la responsabilità venga meno sol perché ad agire 95 materialmente siano stati altri, in quanto l’avallo di operazioni condotte da altri costituisce presa di coscienza dell’operazione stessa; condivisione dei metodi e delle strategie ed in definitiva corresponsabilità non “da posizione” ma da “cooperazione materiale, oltre che morale.
104.2 Nessuna incidenza può assumere la circostanza negativamente valutata dalla Corte territoriale, della progressione in carriera dell’Ufficiale fino al grado di Generale, ritenuta implicita prova della copertura dei vertici dell’Arma dei Carabinieri nei riguardi dei protagonisti di quelle operazioni irregolari e ulteriore riprova della loro illiceità: ciò in quanto il giudizio espresso dalla Corte distrettuale sulla illiceità delle operazioni riposa su ben altre considerazioni che di fatto scoloriscono il significato di quelle affermazioni che suonano, piuttosto, come una sorta di amara constatazione su una serie di vicende che indubbiamente hanno negativamente segnato i primi anni di vita del R.O.S. sul fronte della lotta antidroga.
104.3 In conclusione anche i motivi nuovi ripropongono il tema della reinterpretazione delle vicende processuali non esperibile in questa sede in relazione alle preclusioni contenute nell’art. 606 comma 3 prima parte cod. proc. pen.
105. Ed infine non si sottraggono a tali riflessioni nemmeno le note di udienza depositate nell’interesse del ricorrente GANZER in data 29 dicembre 2015 in cui, per l’ennesima volta, si ripropongono temi riferiti alle varie operazioni, comprese quelle per le quali i reati relativi sono stati dichiarati estinti per prescrizione, non emergendo elementi tali da comportare il proscioglimento immediato e comunque essendo stati formulati rilievi in fatto come tali non scrutinabili in sede di legittimità.
106. Ritiene a questo punto il Collegio di dover affrontare il tema, fin qui fugacemente accennato nell’ambito delle posizioni dei ricorrenti FISCHIONE, PALMISANO e LEONE con espressa riserva di approfondimento, relativo alla qualificazione delle condotte per contestate per le quali è stata confermata la penale responsabilità: si tratta, in particolare dei reati sub Bl, El, E2 F1 e G1 relativi alla importazione e successiva cessione di rilevantissime quantità (dell’ordine, a volte, di centinaia di chili) di sostanze stupefacenti del tipo hashish, cocaina (sia raffinata che in pasta) ed eroina.
106.1 Come accennato in precedenza, la difesa dei ricorrenti FISCHIONE, PALMISANO e LEONE nel tredicesimo motivo dei ricorsi proposti nel loro interesse, ha denunciato la inosservanza della legge penale e la manifesta illogicità della motivazione in punto di mancata ricomprensione delle condotte loro contestate nel paradigma normativo di cui all’art. 73 comma 50 del D.P.R. 309/90.
106.2 Tale tema, mai affrontato dalla Corte territoriale, che non vi ha dato risposta anche per ragioni di ordine “temporale” in stretta correlazione con la data della sentenza (13 dicembre 2013) antecedente alla riforma attuata con il D.L. n. 146/13 successivamente convertito nella L. n. 10/14, ritorna oggi di attualità alla luce (anche) di alcune considerazioni svolte dalla Corte di merito sia relativamente alla qualificazione delle condotte (con riguardo all’elemento soggettivo 96 del reato ed alla “offensività”) sia relativamente al trattamento sanzionatorio (con esplicito riferimento alla elisione della circostanza aggravante speciale di cui all’art. 80 comma 2° lett. B) del D.P.R. 309/90 che il Tribunale aveva, invece, mantenuto ferma ed al riconoscimento in favore di tutti gli imputati militari del R.O.S. delle circostanze attenuanti generiche in termini di prevalenza rispetto alle altre aggravanti contestate) che finiscono con il riverberarsi sulla diversa qualificazione delle condotte.
107. Per una corretta impostazione e soluzione della questione sottoposta all’esame del Collegio occorre richiamare alcuni passi della motivazione della sentenza di appello in cui si affrontano i temi della offensività e del reato impossibile.
107.1 La Corte di Milano, nel respingere la tesi difensiva – ritenuta suggestiva, quanto infondata – della mancanza di offensività in correlazione con la circostanza che la droga importata non era destinata ad essere immessa nel mercato in quanto le operazioni condotte dai militari del R.O.S. erano congegnate in modo tale che tale eventualità non potesse verificarsi – ha incentrato l’attenzione sulla condotta di importazione giudicata assorbente rispetto alla condotta successiva di cessione, anche perché logicamente e temporalmente antecedente rispetto a questa. Inoltre la Corte distrettuale ha richiamato, quanto al reato in esame, la nozione di reato di pericolo evidenziando che come della importazione ne rispondevano i fornitori esteri, così, sul piano materiale, ne dovevano rispondere anche gli importatori italiani (i militari del R.O.S. che agivano sotto-copertura).
107.2 E’ stato anche ribadito il concetto che la situazione di pericolo vi fosse davvero (come del resto aveva lasciato intendere l’imputato LOVATO, attanagliato dalla “paura di perdere lo stupefacente con conseguente rischio di immissione di questo sul mercato” (così, testualmente, pag. 271 della sentenza impugnata), tanto da determinare la Corte territoriale a riaffermare il concetto che in mancanza anche di dati certi riguardanti la pesatura ed il tipo di confezionamento il rischio di dispersione dello stupefacente era concreto, con conseguente realizzazione del pericolo (v. in proposito, pag. 272 della sentenza impugnata) in riferimento a tutte le operazioni, aggiungendo anche che in alcuni casi (operazione “HOPE” sfociata nella cessione di un Kg. di cocaina a tale ALBANESE come campione, tale quantitativo è andato perduto o almeno non più recuperato; operazione “CEDRO 1” in riferimento a cessioni di piccoli quantitativi di droga per testarne la qualità non più recuperati; operazione “LIDO” in cui era accaduta la stessa cosa in riferimento ad alcune cessione di circa 250 gr. di hashish per volta come campione).
107.3 Si tratta, come già precisato, di argomentazioni certamente convincenti sul piano logico che, oltretutto, muovono dalla nozione che in materia di reati concernenti gli stupefacenti, il concetto di offensività non può essere disgiunto dal concetto di pericolo insito nel reato in parola, nei suoi vari momenti (acquisto, importazione, trasporto, detenzione, cessione costituenti fattispecie alternative ed autonomamente punibili).
107.4 In generale il principio di offensività del reato mira a temperarne la rigidità della concezione formale e si pone nel senso che il reato, per risultare tale ed essere sanzionato deve consistere nella offesa di un bene giuridicamente protetto: tale principio nel diritto vivente deve quindi costituire il parametro di legittimità costituzionale dei reati previsti dal codice e nello stesso tempo, un limite costituzionale per il legislatore in vista della creazione di nuove figure di reato.
Può dunque affermarsi senza tema di smentite che il principio di offensività postula necessariamente l’offesa di un determinato bene giuridico e vale ad integrare il reato unitamente agli altri non meno essenziali principi di materialità e responsabilità penale.
107.5 Il tema della offensività dei reati in materia di stupefacenti non è nuovo e sino ad oggi è stato, del tutto correttamente, affrontato e risolto alla stregua della constatazione, o meno, degli effetti droganti della sostanza stupefacente.
107.6 Di recente (Sez. 3^ 1.10.2013, n. 40620, Garavini non massimata) è stato ripreso il tema del rapporto tra principio di necessaria offensività e reati in materia di stupefacenti richiamando, preliminarmente, una precedente pronuncia di questa Corte Suprema con la quale era stato ribadito che “ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 è necessario dimostrare, con assoluta certezza, che il principio attivo contenuto nella dose destinata allo spaccio, o comunque oggetto di cessione, sia di entità tale da poter produrre in concreto un effetto drogante” (v. Sez. 6^ 22.1.2013, n. 8393, Cecconi, Rv. 254857).
107.7 Già le Sezioni Unite di questa Corte (S.U. 24.4.2008, n. 28605, Di Salvia, Rv. 239921) – con riferimento alla fattispecie della coltivazione (qui non ricorrente) – aveva stabilito che è compito del giudice quello di verificare in concreto l’offensività della condotta (intesa come idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile: e nell’affermare tale regola ermeneutica veniva richiamata la giurisprudenza della Corte costituzionale (vds. sent. n. 360/1995 e n. 296/1996) secondo cui il principio di offensività agisce sul duplice e contestuale piano della previsione normativa (intesa in astratto sotto forma di precetto rivolto al legislatore di prevedere fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo) e dell’applicazione giurisprudenziale (quale offensività in concreto con obbligo per il giudice di accertare che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l’interesse protetto dalla norma).
Corollario di tali affermazioni era dunque l’operazione di verifica sul piano giurisprudenziale circa l’assoluta – o meno – inidoneità della condotta contestata a porre in pericolo il bene giuridico tutelato protetto: solo nel caso di una verifica negativa circa il pericolo la condotta deve ritenersi inoffensiva e dunque non punibile.
Ovvio, poi, come afferma la citata sentenza 46020/13, che tali regole valgono in generale per l’intera disciplina degli stupefacenti, investendo, in particolare, la fattispecie disciplinata dall’art. 73 del D.P.R. 309/90 che costituisce un tipico esempio di reato di pericolo. 107.8 In conclusione viene quindi riaffermata la tesi, seguita dalla Corte di Appello e condivisa dal Collegio, che in termini generali il reato di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90 nelle sue 98 varie articolazioni rappresenta una tipica figura di reato di pericolo e che – con riguardo alla fattispecie in esame – proprio perché il pericolo poteva concretamente realizzarsi, era da ripudiare la tesi, pure coltivata da alcuni difensori, del reato impossibile ex art. 49 cod. pen.
108. Ma accanto a tali riflessioni che certamente escludono che possa parlarsi di assenza di pericolo sia astratto che concreto, sia di impossibilità di realizzazione del reato, la Corte di Appello, nel valutare l’aspetto sanzionatorio, ha operato alcune importanti precisazioni che, a giudizio del Collegio, finiscono con il riflettersi sulla diversa qualificazione delle condotte entro i parametri di cui all’art. 73 comma 5° del D.P.R. 309/90.
108.1 Ancora una volta occorre prendere le mosse da alcune affermazioni della Corte di merito contenute nelle pagg. 289-294 che qui si sintetizzano:
a) esclusione della circostanza aggravante della ingente quantità con la ulteriore puntualizzazione che, ferma l’offensività del reato per le ragioni precedentemente illustrate, non si trattava di una offensività grave (pag. 289) e che, tenuto conto della riduzione al minimo del rischio di dispersione della droga, poteva semmai affermarsi che – tenuto conto delle modalità operative e delle finalità perseguite dai militari del R.O.S. – “l’entità dei quantitativi trattati fosse irrilevante in rapporto alla ratio sopra individuata della previsione dell’aggravante in discorso” (così pag. 291);
b) la sussistenza di elementi che – a parte la non riconoscibilità della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 1 cod. pen. invocata da alcuni dei difensori – tenuto conto del contesto particolare anche di tipo temporale in cui i fatti ebbero a verificarsi (tra il 1991 ed il 1997 poco dopo l’istituzione del R.O.S. risalente al 1991) dovevano ritenersi favorevoli per una rivisitazione in melius della pena;
c) le finalità certamente eccedute nei limiti, ma non commendevoli e fonte, anzi, di notevoli pericoli per gli agenti sotto-copertura, tali da escludere che i militari avessero agito per finalità di carriera o per scopi economici, quanto piuttosto per una sorta di superbia o autocelebrazione del corpo (la Corte ha parlato di “fuoco sacro”), convinti invece di raggiungere risultanti altamente positivi nella prevenzione dei reati seppure in un’ottica distorta che ha di fatto consentito ad alcuni pericolosi criminali di conseguire alti profitti illeciti; d) la estrema esiguità di casi di dispersione della droga (pag. 293).
108.2 Tali riflessioni aggiuntive hanno indotto la Corte a temperare il trattamento sanzionatorio inflitto dal primo giudice, giudicato troppo severo e sproporzionato alla realtà dei fatti, attraverso il riconoscimento indifferenziato delle circostanze attenuanti generiche con determinazione della pena nel minimo anche con riferimento agli aumenti per la continuazione (pag. 294).
108.3 Si tratta, a giudizio del Collegio, di una serie di indici positivi che, coniugata con la stessa irrilevanza dei quantitativi non già per ragioni intrinseche alle tipologie delle droghe importate, ma per ben più specifiche ragioni che inducono a ritenere quei quantitativi, al di là del dato ponderale ed aritmetico, virtuali in quanto non destinati alla circolazione nel mercato, 99 può assumere una sua specifica rilevanza ai fini dello inquadramento delle condotte suddette nello schema di cui all’art. 73 comma 5 D.P.R. 309/90.
109. Il Collegio è ben consapevole dell’indirizzo assolutamente stabile seguito alla nota decisione delle S.U. 24.6.2010 N. 35737, P.G. in proc. RICO, Rv. 247911 secondo la quale “La circostanza attenuante speciale del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990 può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio’. 109.1 Si tratta di un orientamento che ha trovato plurime conferme negli anni successivi (vds. Sez. 6^ 19.9.2013 n. 39977, Tayb, Rv. 256610; Sez. 3^ 27.3.2015 n. 32695, Genco e altri, Rv. 264491 con le quali si ribadisce il concetto della minima offensività e la non riconoscibilità della attenuante ove anche uno solo degli indici enunciati nella norma di riferimento porti ad escludere che la lesione del bene protetto sia “di lieve entità”). 109.2 Rimane ferma però la regola che la valutazione ai fini del riconoscimento della ipotesi attenuata vada operata complessivamente tenendo conto ovviamente anche dei dati positivi.
110. E’ noto, però, che in conseguenza del nuovo panorama normativa introdotto con il D.L. 146/13 convertito nella L. 10/2014, l’assetto dell’art. 73 D.P.R. 309/90 nella versione vigente per effetto della L. 49/06, è profondamente mutato nei senso che quella che in origine il comma 5° dell’art. 73 L. Stup. annoverava tra le circostanze attenuanti ad effetto speciale, oggi si pone come fattispecie autonoma di reato.
110.1 E’ pur vero che i parametri di riferimento al fine di riconoscere la fattispecie attenuata sono rimasti inalterati, tant’è che questa stessa Sezione ha avuto modo di precisare che la fattispecie in parola anche all’esito della formulazione normativa introdotta dall’art. 2 del D.L. n. 146 del 2013, può essere riconosciuta soltanto nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (in termini Sez. 3^ 19.3.2014 n. 27064, Fontana, Ry. 259664; in senso analogo Sez. 3^ 29.4.2015 n. 23945, Xhihani, Ry. 263651).
110.2 Così come ancor più recentemente, in data coeva alla presente decisione, si è ribadito il principio della compatibilità della ipotesi attenuata in esame con una attività di spaccio non occasionale, ma continuativa, seppure per quantitativi modesti (Sez. 3^ 14.1.2016 n. 13470, Casamonica C., non mass. sul punto; Sez. F. 13.8.2015 Bannour e altri, 39844, Rv. 264678).
110.3 Tanto autorizza allora ad affermare il principio – senza cori ciò smentire il dato asserito dalla richiamata sentenza delle S.U.35737/10 cit. e dalle pronunzie successive) – che laddove tutti gli indici di valutazione richiesti dall’ad. 73 comma 5 0 D.P.R. 309/90 siano di segno positivo e l’unico dato dissonante sia rappresentato dalla quantità, questa non assume specifico rilievo negativo ai fini della esclusione della fattispecie di lieve entità se trattasi di quantitativo solo apparentemente rilevante, ma in realtà del tutto virtuale perché non destinato a circolare ed essere immesso sui mercato (le consegne successive erano infatti controllate in modo da evitare la circolazione della droga) ed anzi sequestrato subito dopo l’importazione per essere ceduto in quantitativi modesti come campione in vista di successivi acquisti propedeutici alla scoperta dei trafficanti interni ed al loro arresto.
110.4 E’ evidente infatti che il dato quali-quantitativo, unico a presentare in astratto aspetti di criticità solo in apparenza costituisce un indice negativo, tanto più che è la stessa Corte distrettuale ad asserire, con giudizio di fatto incensurabile in questa sede oltre logico nei suoi variegati passaggi argomentativi, che l’offensività era da ritenersi contenuta e la quantità irrilevante rispetto alla ratio cui era ispirata l’aggravante della ingente quantità originariamente contestata, perde consistenza, finendo con l’uniformarsi agli altri indici positivi.
110.5 Si è detto che la Corte distrettuale per ragioni di ordine temporale non poteva certamente occuparsi della questione della lieve entità oltretutto non prospettata da nessuna delle difese: il che non impedisce a questa Corte, al di là della specifica proposizione – sia pure in termini sfumati – di apposito motivo nell’interesse dei ricorrenti FISCHIONE, LEONE e PALMISANO senza che lo stesso venisse prospettato in appello, di occuparsi di ufficio della questione ai sensi dell’ad. 609 comma 2 cod. proc. pen. trattandosi di questione che – sempre per ragioni di ordine temporale – non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello.
110.6 In conclusione ritiene il Collegio di inquadrare tutte le condotte di importazione contestate (in esse assorbite le successive cessioni come già ritenuto dal giudice territoriale) nel paradigma normativo di cui all’art. 73 comma 5 D.P.R. 309/90.
111. Ciò comporta l’intervenuta estinzione dei reati per decorso del tempo, calcolato sulla base delle regole di cui all’art. 157 cod. pen. nella formulazione conseguente alla L. 251/05 in anni sette e mesi sei, avuto riguardo ai limiti massimi edittali per la nuova fattispecie oggi previsti in anni quattro di reclusione ai sensi della L. 79/14.
111.1 Poiché, ad eccezione della posizione del solo BOU CHAAYA Jean Ajaj (il cui ricorso è stato ritenuto inammissibile), sulla base del principio costantemente affermato da questa Corte Suprema secondo cui nel caso di maturazione del termine prescrizionale successivamente alla sentenza di appello, è solo l’inammissibilità del ricorso dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi a precludere la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’ad. 129 c.p.p, non potendo considerarsi formato un valido rapporto di impugnazione (Cass S.U. 22.11.2000 n. 32 D.L. Rv. 217266; Sez. 4^ 20.1.2004 n. 18641, Tricorni, Rv. 228349; Sez. 2^?5 101 8.5.2013 n. 28848, Ciaffoni, Rv. 256463) e poiché nessuno degli altri ricorsi risulta manifestamente infondato, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per essere i reati residui estinti per prescrizione, non sussistendo – per le ragioni dianzi precisate, spazio alcuno per addivenirsi ad un proscioglimento immediato ex art. 129 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Qualificati i residui reati ascritti a Ganzer Giampaolo, Obinu Mauro, Fischiane Carlo, PaInnisano Laureano, Leone Costanzo, Lavato Gilberto, Arpa Rodolfo, Benigni Gianfranco, Lazzeri Zanoni Alberto e Scansi Michele, quali violazioni dell’art. 73, quinto comma, D.P.R. n. 390 del 1990, dichiara non doversi procedere nei confronti degli anzidetti ricorrenti per essere i reati estinti per prescrizione.
Annulla altresì la sentenza impugnata nei confronti di Lucato Ezio in ordine alla residua imputazione di cui al capo E4, perché il fatto non costituisce reato.
Dichiara non doversi procedere nei confronti di Zanda Bruno in ordine al reato di cui al capo E7 perché estinto per prescrizione.
Dichiara inammissibile il ricorso di Bou Chaaya Jean Ajaj, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle Ammende.
Rigetta nel resto il ricorso di Ganzer Giampaolo.
Così deciso in Roma il 15 gennaio 2016.
Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2016.
SENTENZA – è copia conforme all’originale -.
La notizia della condanna del Generale Ganzer, data dai TG1 e Tg2
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