Sequestro preventivo dei crediti d’imposta per l’agevolazione del Bonus del 110% (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 15 febbraio 2024, n. 7021).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del popolo italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Giorgio FIDELBO – Presidente –

Dott. Giuseppina Anna Rosaria PACILLI – Consigliere –

Dott. Debora TRIPICCIONE – Relatore –

Dott. Paolo DI GERONIMO – Consigliere –

Dott. Fabrizio D’ARCANGELO – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

1) (OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) (OMISSIS) il 17/6/1982;

2) (OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il 30/5/1951;

3) (OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il 3/8/1976;

avverso l’ordinanza emessa il 18 luglio 2023 dal Tribunale di Monza

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Debora Tripiccione

udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Raffaele Piccirillo, che ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;

udite le richieste del difensore, Avv. (OMISSIS) (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto del 9 marzo 2023 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza ha disposto il sequestro preventivo dei crediti di imposta di cui all’art. 119, d.l. n. 34 del 2020 (c.d. “decreto Rilancio”), ritenuti apparentemente ceduti alla società (omissis) Impianti Elettrici, per l’importo complessivo di euro 4.380.556,00 in funzione sia impeditiva del reato di cui all’art. 316-ter cod. pen., ravvisato, quanto meno, nella forma tentata, che funzionale alla confisca diretta del profitto del reato, prevista dall’art. 322-ter cod. pen.

2. Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Monza ha rigettato l’appello proposto dagli amministratori della società, (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis), avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di dissequestro da questi presentata.

Secondo quanto risulta da tale ordinanza, detta istanza contestava la sussistenza del fumus del reato sulla base dei seguenti elementi:

a) la consulenza di parte in cui si attestava l’esecuzione di almeno il 30% del totale preventivato in 34 unità interessate;

b) le fatture relative agli ordini concernenti l’acquisto da parte della società dei beni necessari (per lo più caldaie) alla esecuzione degli interventi;

c) la circostanza che lo “storno” dei 150,000 euro era dovuto a risoluzione consensuale dei contratti di appalto.

L’istanza in esame veniva rigettata dal Giudice per le indagini preliminari sulla base delle seguenti considerazioni:

a) la consulenza di parte riguardava solo 34 delle 130 unità immobiliari oggetto degli appalti e si basava su una ricognizione effettuata il 6 maggio 2023, inidonea a dimostrare l’esecuzione del 30% delle opere alla data del 30/9/22, termine perentorio per beneficiare del c.d. bonus 110%, non essendo, a tal fine, sufficiente il solo acquisto del materiale documentato dalle fatture;

b) contrariamente alle asseverazioni dei direttori lavori (ing. (omissis) (omissis) e Ing. (omissis) (omissis)) non erano stati eseguiti i lavori presso le abitazioni di numerosi committenti, mentre l’installazione delle caldaie e delle pompe di calore era avvenuta dopo il 30/9/22.

Il Tribunale di Monza ha rigettato l’appello cautelare proposto dai ricorrenti reputando assorbente la circostanza relativa alla mancata esecuzione del 30% dei lavori risultante dalle sommarie informazioni rese da taluni committenti i quali hanno affermato che nessun lavoro era stato eseguito presso le rispettive unità o che, comunque, le opere risalirebbero ad epoca successiva al 30/9/2022.

Il Tribunale, inoltre, ha reputato non condivisibile l’assunto difensivo secondo il quale l’art. 14, comma 1, lett. a, dl. 50/2022, nella parte in cui prevede la condizione della realizzazione alla data del 30/9/22 del 30% dell’intervento complessivo, inclusi i lavori non agevolati, dovrebbe interpretarsi nel senso che alla predetta data sarebbe sufficiente che l’appaltatore abbia sostenuto i costi per l’acquisto del materiale necessario alla esecuzione dei lavori.

Ad avviso del Tribunale infatti tale tesi sarebbe in contrasto, oltre che con la lettera della norma, con il parere della Commissione consultiva per il monitoraggio dell’applicazione del DM 58/2017, da cui si desume che, ai fini del raggiungimento della percentuale del 30% dell’intervento complessivo, è necessaria l’effettiva e materiale esecuzione delle opere edilizie, non essendo sufficiente il solo acquisto di materiali.

Aggiunge, infine, il Tribunale che sebbene nel 30% siano computabili anche le opere diverse da quelle rientranti nell’agevolazione fiscale, i ricorrenti non hanno allegato alcun elemento idoneo a fornire, quanto meno, un principio di prova a tale riguardo, né tale circostanza risulta dalla consulenza tecnica di parte allegata all’istanza o dalle sommarie informazioni rese dai committenti.

3. Avverso detta ordinanza propongono ricorso per cassazione (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) deducendo nove motivi di ricorso:

3.1 Con il primo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo che, in quanto logicamente connessi, possono essere esposti congiuntamente, deducono i vizi di violazione di legge e omessa o apparente motivazione in ordine ai requisiti del fumus e del periculum in mora, nonché la violazione della normativa sul cd “cassetto fiscale”.

Assumono i ricorrenti che:

a) l’ordinanza impugnata non ha tenuto in debita considerazione l’attività svolta dai Direttori dei lavori e dal commercialista che ha apposto il visto di conformità ed ha omesso di considerare i contratti tra le parti, le fatture di acquisto, le fatture di pagamento dei professionisti e le attività espletate, quali S.C.I.A., A.P.E. e dichiarazione di notorietà;

b) le sommarie informazioni rese da sole venti persone – relative a lavori del valore pari al 25% del cassetto fiscale – sono insufficienti a documentare l’inesistenza delle operazioni nei 132 cantieri interessati;

c) i soggetti escussi hanno comunque confermato il mandato alla (omissis) come General Contractor e tutti gli atti a loro firma, quali la cessione del credito fiscale, la S.C.I.A. presentata, l’APE., il sopralluogo e la verifica dei lavori da eseguire;

d) la (omissis) ha predisposto la documentazione relativa all’attività svolta in tutti i cantieri interessati (indicata a pagina 10 del ricorso in cui si cita, ad esempio, l’autocertificazione di possesso dell’immobile, i contratti di appalto, il computo metrico estimativo), che, tuttavia, non è stata valutata dal Tribunale.

Con riferimento alle sommarie informazioni valorizzate dal Tribunale, nel terzo motivo di ricorso si rileva che i proprietari sentiti non hanno dichiarato che i lavori precedenti non era stati eseguiti e che le domande sono state mal poste in quanto nulla è stato chiesto in ordine all’esistenza o meno del rapporto contrattuale o ai lavori espletati.

Infatti, tutti i soggetti escussi:

a) avevano sottoscritto il contratto di appalto per il bonus 110% con la società la quale, non avendo le competenze, aveva limitato il proprio intervento alle caldaie e agli impianti termici;

b) avevano nominato un proprio direttore dei lavori, presentato la S.C:.I.A., ricevuto sopralluoghi presso le rispettive abitazioni, sottoscritto una dichiarazione di notorietà per la cessione dei crediti maturati.

A fronte di tali rapporti, la società appaltatrice aveva: acquistato le caldaie, gli impianti termici e i pannelli fotovoltaici; stipulato accordi con gli operai; predisposto il primo S.A.L.; depositato l’asseverazione del direttore dei lavori ed il visto di conformità del consulente.

Si rileva, inoltre, che, erroneamente, il Tribunale ha ritenuto non dimostrata l’esecuzione di lavori diversi da quelli agevolati, avendo omesso di valutare le asseverazioni dei direttori lavori, i visti di conformità e le perizie di parte.

Sempre in relazione al fumus del reato, nel quarto motivo di ricorso si lamenta che dal cassetto fiscale emergeva solo l’esistenza del credito fiscale che era relativo ad attività espletate nell’ambito dei lavori del 110%, documentato ed asseverato dai direttori dei lavori, dal consulente e dai proprietari che avevano conferito gli incarichi.

Ciò renderebbe inesistente l’elemento psicologico del reato, anche nella forma del dolo eventuale.

Inoltre, nel quinto motivo di ricorso, i ricorrenti deducono che il Tribunale ha erroneamente considerato anche i crediti “rinunciati” o “rigettati” che, in tesi difensiva, non sono idonei ad integrare il fumus del reato in quanto relativi a meri «errori di rilievo fiscale», prontamente corretti dalla società, o alla risoluzione dei rapporti contrattuali (si richiama, a tal fine, la consulenza depositata). Assumono, inoltre, i ricorrenti che manca nel provvedimento una motivazione sul nesso di pertinenzialità dei beni oggetto di sequestro e sulla sussistenza del periculum in mora.

3.2 Con il secondo, sesto, settimo e ottavo motivo di ricorso, che in quanto logicamente connessi possono essere esposti congiuntamente, deducono i vizi di violazione della legge 17 luglio 2020, n. 77, esercizio da parte del giudice di una potestà riservata alla legge o ad organi legislativi o amministrativi, violazione di legge in relazione al calcolo della soglia del 30 ID/0 dei lavori, violazione dell’art. 14, comma 1, lett. c), dl. 50/2022 e violazione dell’art. 14, comma 1, lett. d), D.M. infrastrutture e trasporti del 7/3/2018

I primi due profili di censura, dedotti nel secondo motivo, lamentano che il Tribunale ha escluso il raggiungimento di detta soglia senza considerare le asseverazioni dei direttori dei lavori e l’attività del consulente che ha apposto i visti di conformità sul valore raggiunto, consentendo così di redigere il primo S.A.L. al 30/9/22.

A tal fine, il sesto e settimo motivo di ricorso richiamano, oltre al testo dell’art. 14, comma 1, lett. c, d.l. 50/2022, i chiarimenti forniti dalla Commissione consultiva per il monitoraggio dell’applicazione del DM 58/2017, e l’intervento della Commissione di monitoraggio del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, facendo riferimento, in particolare, alla computabilità nella soglia del 30% non solo delle spese oggetto di agevolazione, ma di tutte quelle relative all’intervento complessivo edilizio, comprese – come emerge dalla risposta n. 53/2022 dell’Agenzia delle Entrate – quelle per gli acquisti necessari ed i costi dei professionisti.

Aggiungono inoltre i ricorrenti (ottavo motivo di ricorso) che il computo metrico e le attestazioni dei direttori dei lavori provano attività espletate che rientrano nel computo del primo S.A.L. e che nessuna anomalia è emersa nella compilazione delle fatture poste a sostegno di questo, essendo tutte relative ad attività regolarmente eseguite (quali la presentazione S.C.I.A., i sopralluoghi e l’acquisto della merce).

3.3 Con il nono motivo di ricorso deducono la violazione del principio di proporzionalità, adeguatezza e gradualità del sequestro e la mancanza di motivazione al riguardo, posto che il sequestro è stato mantenuto sulla base delle sole dichiarazioni inerenti 23 su 132 cantieri oggetto della richiesta di bonus.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte.

2. In via preliminare, appare utile ricostruire sinteticamente la normativa relativa al c.d. superbonus.

L’art. 119 dl. 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, ha introdotto per talune categorie di contribuenti, specificamente indicate al comma 9, una detrazione pari al 110% delle spese relative a specifici interventi di efficienza energetica e di misure antisismiche sugli edifici.

L’articolo 121, comma 1, del medesimo decreto consente, inoltre, la possibilità generalizzata di optare, in luogo della fruizione diretta di tale agevolazione fiscale, per un contributo anticipato sotto forma di sconto dai fornitori dei beni o servizi (cd. sconto in fattura) o, in alternativa, per la cessione del credito corrispondente alla detrazione spettante.

Tale cessione può essere esercitata in relazione a ciascuno stato di avanzamento dei lavori e deve riferirsi ad almeno il 30 per cento del medesimo intervento (art. 121, comma 1-bis).

2.1 In particolare, quanto al termine entro il quale devono essere sostenute le spese oggetto dell’agevolazione fiscale, per quanto rileva in questa Sede, il comma 8-bis del citato art. 119 (come recentemente modificato dal d.l. 10 agosto 2023, n. 104 contenente disposizioni urgenti a tutela degli utenti, in materia di attività economiche e finanziarie e investimenti strategici), convertito con modificazioni dalla legge 9 ottobre 2023, n. 136, prevede che per gli interventi effettuati dai condomini, dalle persone fisiche di cui al comma 9, lettera a) (ovvero i condomini e le persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, arte o professione), e dai soggetti di cui al comma 9, lettera d-bis (ovvero le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, le organizzazioni di volontariato iscritte nei registri di cui all’articolo 6 della legge 11 agosto 1991, n. 266, e le associazioni di promozione sociale iscritte nel registro nazionale e nei registri regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano), la detrazione spetta anche per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2025, nella misura del 110% per quelle sostenute entro il 31 dicembre 2022, del 90% per quelle sostenute nell’anno 2023, del 70% per quelle sostenute nell’anno 2024 e del 65% per quelle sostenute nell’anno 2025.

Per gli interventi effettuati su unità immobiliari dalle persone fisiche di cui al comma 9, lettera b) (ovvero le persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, arti e professioni, su unità immobiliari) – ipotesi che dovrebbe venire in rilievo nella fattispecie in esame – la norma prevede che la detrazione del 110% spetta anche per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2023, a condizione che alla data del 30 settembre 2022 siano stati effettuati lavori per almeno il 30% dell’intervento complessivo, nel cui computo possono essere compresi anche i lavori non agevolati ai sensi del presente articolo.

Per la medesima categoria di contribuenti la norma prevede, inoltre, che per gli interventi avviati a partire dal 1° gennaio 2023, la detrazione spetta nella misura del 90% anche per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2023, a condizione che il contribuente sia titolare di diritto di proprietà o di diritto reale di godimento sull’unità immobiliare, che la stessa unità immobiliare sia adibita ad abitazione principale e che il contribuente abbia un reddito di riferimento, determinato ai sensi del comma 8-bis. 1, non superiore a 15.000 euro.

Infine, per gli interventi effettuati dai soggetti di cui al comma 9, lettera c), (istituti autonomi case popolari comunque denominati nonché gli enti aventi le stesse finalità sociali dei predetti istituti, istituiti nella forma di società che rispondono ai requisiti della legislazione europea in materia di “‘in house providing”) compresi quelli effettuati dalle persone fisiche sulle singole unità immobiliari all’interno dello stesso edificio, e dalle cooperative di cui al comma 9, lettera d), per i quali alla data del 30 giugno 2023 siano stati effettuati lavori per almeno il 60 per cento dell’intervento complessivo, la detrazione del 110% spetta anche per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2023.

A fronte delle incertezze interpretative sulla portata di tale norma e, soprattutto, sulle modalità di calcolo della soglia del 30% dei lavori, la Commissione di monitoraggio insediata presso il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici ha precisato che la possibilità di fruire, per gli edifici unifamiliari e unità funzionalmente indipendenti e con accesso autonomo dall’esterno, della detrazione del 110% relativa alle spese sostenute entro il 31 dicembre 2022 (poi spostato al 3:L dicembre 2023) è subordinata alla condizione che, alla data del 30 settembre 2022, “siano stati effettuati lavori per almeno il 30% dell’intervento complessivo, nel cui computo possono essere compresi anche i lavori non agevolati ai sensi del presente articolo” (comma 8-bis, art. 119 del D.L. 34/2020).

L’Agenzia delle Entrate, inoltre, con la Circolare del 6/10/2022, n. 33/E, al paragrafo 7, ha chiarito che ai fini del raggiungimento della percentuale richiesta dalla norma, non rileva il pagamento dell’importo corrispondente al 30% dei lavori essendo necessaria, stante il tenore letterale della disposizione, riferito ai lavori realizzati entro la predetta data del 30/09/2022, la realizzazione di almeno il 30% dell’intervento complessivo.

3. Così ricostruita la disciplina del c.d. “superbonus” rilevante nel caso in esame, ritiene il Collegio che devono ritenersi fondate tutte le doglianze articolate in ricorso sia in relazione al fumus del reato di cui all’art. 316-ter c:od. pen. che alla proporzionalità della misura cautelare disposta.

Dall’esame sia del decreto genetico che dei successivi provvedimenti emessi sull’istanza di dissequestro, sembrerebbe, infatti, emergere che la condotta contestata ai ricorrenti attiene alla emissione di fatture per operazioni inesistenti – limitatamente al rapporto con la (omissis) ed alla falsa attestazione della realizzazione del 30% dei lavori commissionati dagli altri committenti.

Si assume, infatti, che da tali condotte sarebbero derivate le operazione di cessione dei crediti di imposta maturati dai clienti committenti in favore della società (omissis) per un importo complessivo, risultante dal “cassetto fiscale” dell’ente, di euro 4.380.556.

In particolare, quanto al fumus del reato, risulta dal decreto di sequestro che il procedimento ha avuto origine da un esposto presentato da (omissis) (omissis) in ordine alla presenza nel suo “cassetto fiscale” di tre fatture di importo complessivo pari a euro 48.920, emesse dalla società (omissis) Impianti Elettrici s.r.I., a lei sconosciuta, per lavori eseguiti in un immobile di sua proprietà nell’ambito degli interventi di efficientamento energetico commissionati dalla stessa (omissis) alla (omissis) s.r.l. per usufruire dell’incentivo statale denominato “superbonus 110%”.

Il Giudice per le indagini preliminari ha, inoltre, considerato, che:

a) l’inesistenza di un rapporto tra la società e la (omissis) aveva trovato riscontro nell’emissione da parte della società di una nota di credito (n. 12 del 11/11/2022) di importo pari ad euro 44.476,19 (ciò a seguito di diffida da parte della stessa (omissis));

b) le note di credito emesse dalla società in relazione ad altre quattro fatture emesse nei confronti di altri differenti clienti nell’anno 2022 per un importo di 150.000 euro;

c) la presenza nel cassetto fiscale della società di crediti di imposta “rifiutati” dalla società per un valore di 1.000.000 euro tra i quali vi era anche il credito di imposta generato dalla fattura emessa nei confronti della Mariotto ed oggetto della successiva nota di credito;

d) la mancata presentazione da parte della società delle comunicazioni periodiche di liquidazione dell’IVA per l’anno 2022 con conseguente omesso versamento dell’imposta dovuta per le fatture emesse.

Sulla base di tali elementi il Giudice per le indagini preliminari ha ritenuto l’apparenza dei crediti di imposta, in quanto generati dall’emissione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, relative ad interventi edilizi ammessi agli incentivi in realtà mai eseguiti dalla società.

3.1 Venendo all’esame dei motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente in quanto, sia pure sotto diversi profili, investono tutti il giudizio relativo al fumus del reato, ritiene il Collegio che l’ordinanza impugnato ha confermato il rigetto dell’istanza di dissequestro sulla base di una motivazione carente e, a tratti, meramente apparente.

A fronte di una misura che, senza una puntuale ricostruzione del meccanismo fraudolento addebitabile ai ricorrenti in relazione a ciascuna cessione, ha attinto tutti i crediti di imposta “accettati” dalla società (omissis), i Giudici di merito hanno, infatti, omesso di argomentare in ordine al nesso di pertinenzialità tra detti crediti e le contestate condotte di falso.

Con motivazione sostanzialmente apparente, l’ordinanza impugnata si è limitata a considerare “assorbenti” rispetto alle questioni dedotte dai ricorrenti le circostanze emergenti dai verbali di sommarie informazioni di alcuni committenti in merito alla mancata esecuzione dei lavori nelle rispettive proprietà o, in ogni caso, al mancato completamento del 30% delle opere alla data dei 30 settembre 2022.

Dalle sintetiche argomentazioni del Tribunale – dalle quali sembrerebbe evincersi la falsità della documentazione attestante la realizzazione del 30% dei lavori commissionati – non emerge, tuttavia, alcun elemento che consenta di correlare causalmente tali dichiarazioni ai crediti fiscali oggetto di sequestro.

Peraltro, anche a voler presumere che i proprietari escussi rappresentino i cedenti dei crediti di imposta vantati dalla (omissis) s.r.I., il Tribunale ha, comunque, omesso di motivare sulle ragioni per cui – anche ai fini della necessaria verifica della adeguatezza e proporzionalità della misura cautelare reale (cfr. Sez. 2, n. 29687 del 28/05/2019, Frontino, Rv. 276979) – ha ritenuto che da tali dichiarazioni possa desumersi la falsità della totalità delle operazioni sottostanti ai crediti di imposta vantati dalla società, posto che, come affermato dalla stessa ordinanza impugnata, i proprietari escussi a sommarie informazioni rappresenterebbero solo una parte «dei cantieri» ove avrebbe dovuto operare la società (omissis) (secondo i ricorrenti tali dichiarazioni riguardano il 25% del cassetto fiscale della società e sarebbero inidonei a documentare l’inesistenza dei lavori relativi ai 132 cantieri in cui opera).

Il Tribunale ha, inoltre, omesso di esaminare il motivo di appello concernente la irrilevanza, ai fini del fumus del reato di cui all’art. 316-ter cod. pen., dei crediti “rinunciati”, oggetto delle note di credito emesse dalla (omissis), e di quelli “rifiutati” dalla medesima società.

Rileva, al riguardo, il Collegio che lo stesso decreto genetico omette di argomentare in merito alla effettiva inferenza causale di detti crediti rispetto ai crediti fiscali oggetto di sequestro.

Posto che tali ultimi crediti, secondo la tesi accusatoria, dovrebbero avere la propria causa nelle cessioni dei crediti corrispondenti alle agevolazioni tributarie fittiziamente maturate dai proprietari- cedenti, nulla risulta nel decreto genetico, così come nei provvedimenti successivi, in ordine alla effettiva corrispondenza soggettiva ed oggettiva tra i crediti interessati dalle operazioni di storno, o per i quali la società ha rifiutato la cessione, e quelli che, a seguito di una imprecisata cessione in favore della (omissis), sono stati attinti dal provvedimento di sequestro.

3.2 Altra lacuna motivazionale attiene, infine, alla ritenuta mancata esecuzione del 30% dei lavori commissionati, genericamente esclusa – anche in questo caso per la generalità degli appalti in favore della società (omissis) – sulla base delle dichiarazioni rese da alcuni dei committenti e del citato parere della Commissione consultiva per il monitoraggio del D.M. 58/2017, senza alcuna valutazione delle deduzioni difensive relative alle diverse attività effettuate nei singoli cantieri, della possibile rilevanza delle attività non agevolate (ai sensi del comma 8-bis del citato art. 119) documentate dai ricorrenti e, soprattutto, delle asseverazioni sottoscritte dai direttori dei lavori, assertivamente reputate false sulla base della loro iscrizione nel registro degli indagati.

4. Tenuto conto di quanto sopra esposto va disposto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Monza competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen.

Il Giudice del rinvio valuterà le doglianze difensive in merito al fumus del reato oggetto di imputazione provvisoria specificando, in particolare:

a) per ogni credito d’imposta vantato dalla (omissis), le specifiche ragioni, per le quali debba considerarsi fittizio, se per l’inesistenza del rapporto negoziale sottostante ovvero per la falsa attestazione di realizzazione del 30% dei lavori;

b) quanto a quest’ultima ipotesi, le ragioni poste a fondamento di tale contestata falsità, tenuto conto dei chiarimenti forniti dalle Autorità competenti e delle allegazioni difensive in merito alle attività espletate nell’ambito dei singoli contratti di appalto;

c) se ed in base ai quale operazione negoziale i crediti risultanti dalle note di credito emesse dalla società e quelli per cui la società ha rifiutato la cessione hanno generato un credito di imposta effettivamente “azionabile” dalla società;

d) l’incidenza delle operazioni sottostanti i singoli crediti di imposta vantati dalla (omissis) ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 316-ter cod. pen.

Il Giudice del rinvio valuterà, infine, la possibile rilevanza ai fini della valutazione della condotta contestata ai ricorrenti dell’ulteriore termine del 31 dicembre 2023, introdotto al comma 8-bis dell’art. 119 d.l. n. 34/2020, per gli interventi decorrenti dal 10 gennaio 2023, ai fini della possibile maturazione, sussistendone le condizioni di legge, di una detrazione fiscale pari al 90% delle spese sostenute.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Monza competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, c.p.p.

Così deciso il 16 gennaio 2024.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.