Sotto minaccia di non venire assunto, paga per simulata ospitalità: è estorsione (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 20 ottobre 2023, n. 43064).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE PENALE

Composta da:

Dott. SERGIO BELTRANI                      -Presidente-

Dott. PIERLUIGI CIANFROCCA            -Consigliere-

Dott. MARIA DANIELA BORSELLINO -Consigliere Rel.-

Dott. SANDRA RECCHIONE                 -Consigliere-

Dott. MARZIA MINUTILLO TURTUR   -Consigliere-

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sui ricorsi proposti da

(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) in Bangladesh il xx xxxxxx 19xx;

(OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) in Bangladesh il xx xxxxxx 19xx;

avverso la sentenza resa il 21 giugno 2022 dalla Corte di appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa MARIA DANIELA BORSELLINO;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Giulio Romano che ha chiesto il rigetto di entrambi i ricorsi;

dell’avv. (OMISSIS) (OMISSIS) che per (OMISSIS) (OMISSIS) insiste nei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano ha confermato l’affermazione di responsabilità di entrambi gli imputati, già formulata con la sentenza resa dal GIP del Tribunale di Busto Arsizio il 7 novembre 2021, per i reati di estorsione meglio indicati in rubrica, modificando in parte le statuizioni civili a loro carico.

Si addebita ai due imputati di avere, in concorso tra loro approfittando della delega ricevuta al riguardo dal titolare dell’impresa in tema di assunzioni, costretto il loro connazionale (omissis) (omissis) a versare una somma di denaro e a sottoscrivere una dichiarazione di ospitalità presso il domicilio di (omissis) (omissis) (omissis) per ottenere l’assunzione a tempo determinato; e al solo (omissis) (omissis) anche di avere costretto il predetto (omissis) a versargli ulteriori somme percentuali sul salario percepito.

2. Avverso la detta sentenza propone ricorso (omissis) (omissis) (omissis), tramite difensore di fiducia, deducendo:

2.1 vizio di motivazione in ordine all’affermazione che il reato di estorsione è stato consumato nei confronti di (omissis) (omissis), poiché con minaccia questi è stato costretto ad accettare una nuova fittizia residenza, dietro pagamento di una somma di denaro, pur risultando domiciliato dalla sorella.

Deduce il ricorrente che la contestata falsa dichiarazione di ospitalità non sarebbe mai stata imposta alla persona offesa con la minaccia di non essere assunto e che nella condotta dei due imputati sono stati erroneamente ritenuti sussistenti i presupposti del reato di estorsione, non avendo il collegio considerato che per i medesimi comportamenti nei riguardi di altre persone l’imputato è stato assolto con formula piena.

Le dichiarazioni della persona offesa (omissis) sono state erroneamente ritenute credibili, mentre non emerge in alcun modo la condizione supposta della esplicita prospettazione dell’impossibilità di concludere il contratto di lavoro, qualora non avesse accettato la nuova domiciliazione. Si è trattato, piuttosto, di una convinzione personale del (omissis).

2.2 Violazione dell’art. 629 cod.pen. poiché nel caso in esame mancano gli elementi necessari ad integrare la condotta illecita, per l’omessa prospettazione da parte del coimputato (omissis) di un pregiudizio immediato, diretto e idoneo ad incidere sulla situazione giuridica soggettiva, in assenza di un diritto in favore della persona offesa alla rinnovazione del contratto di lavoro. Inoltre non è stata dimostrata nel caso di specie una condotta minacciosa idonea ad integrare l’elemento materiale dell’estorsione.

A dispetto di quanto sostenuto in sentenza non sono mai stati dimostrati i supposti poteri illimitati e incondizionati esercitati da (omissis) (omissis), in ragione del rapporto di fiducia con il datore di lavoro che gli delegava il compito di assumere e gestire i rapporti con i connazionali bengalesi.

Tale circostanza non è idonea a integrare il reato contestato poiché il potere dell’imputato di non far riassumere i dipendenti alla scadenza del rapporto lavorativo si poggia su ricostruzioni soggettive e opinioni dei dipendenti, ritenute erroneamente attendibili da parte della Corte.

3. (omissis) (omissis) con atto di ricorso sottoscritto dall’avv. (omissis) deduce:

3.1 violazione di legge e in particolare degli artt. 21 e 23 d.Igs. 81/2015 in ordine alla normativa in materia di rinnovi e proroghe dei contratti per i lavoratori impiegati in attività stagionali.

Il giudice di merito ha ritenuto erroneamente che l’imputato, in forza di una delega ricevuta dal datore di lavoro, avesse il potere di rinnovare il contratto con la persona offesa.

Con il gravame il ricorrente ha sostenuto che non ricorre il reato contestato poiché nell’estorsione la persona offesa è posta nella condizione di subire un pregiudizio immediato e diretto sulla propria sfera patrimoniale, mentre nel caso specifico l’ingiustizia consiste nell’omesso rinnovo del contratto temporaneo, in ordine al quale la persona offesa non vantava alcun diritto. Alla scadenza naturale del contratto il lavoratore non ha alcun diritto al rinnovo e neppure alla prelazione.

3.2 Vizio di motivazione poiché la Corte per chiarire la posizione dell’imputato ha reso una duplice spiegazione, sostenendo in primis che questi avrebbe di fatto esercitato i poteri del datore di lavoro in ragione del rapporto fiduciario con quest’ultimo, il quale in sostanza gli delegava il compito di assumere e gestire i rapporti dei lavoratori; di contro a pagina 12 la corte ha evidenziato l’assenza di qualsiasi prova circa l’esistenza di un accordo tra datore di lavoro e dipendente, in quanto nel caso di specie non può essere ritenuta rilevante la sussistenza di una delega, poiché non è stato contestato l’esercizio dei poteri di fatto del ricorrente, ma l’illegittima pretesa della percentuale, del tutto svincolata dai rapporti lavorativi tra i dipendenti e il datore.

Se infatti (omissis) non aveva alcun formale potere di rinnovare il contratto, il solo fatto di aver rappresentato alle persone offese la possibilità di non farlo ottenere andrebbe a configurare la prospettazione di un pericolo immaginario, che integra la truffa aggravata e non l’estorsione.

3.3 Violazione dell’art. 190 cod. proc.pen. in relazione alle regole di valutazione sulla attendibilità della parte civile (omissis) (omissis), in quanto questi è stato sentito come testimone puro, pur essendo raggiunto da elementi di reato, considerato che da una conversazione intercettata emerge che stava organizzando l’ingresso in Italia di connazionali bengalesi, dietro corresponsione di denaro.

Su tale specifica censura la Corte di appello ha affermato che la condizione di indagato del (omissis) in ordine ad un reato non direttamente connesso con l’estorsione in oggetto, non scalfisce la sua credibilità, in ragione della convergenza delle sue dichiarazioni con quelle rese dalla totalità delle altre parti civili.

Così facendo la corte non affronta il problema della valutazione delle dichiarazioni del predetto il quale, se indagato per reato connesso, necessita di riscontri previsti dall’art. 192 comma due cod. proc.pen..

Né può dirsi che le dichiarazioni di (omissis) siano convergenti con quelle delle altre persone offese, laddove gli imputati sono stati assolti da tutte le contestazioni relative alle dichiarazioni di ospitalità delle altre persone.

3.4 Vizio di motivazione in ordine alla identificazione dei destinatari dei bonifici effettuati dalle persone offese in quanto (omissis) (omissis) non è la madre di (omissis) (omissis); (omissis) (omissis) non è la sorella e (omissis) (omissis) non è lo zio, come da documentazione prodotta dalla difesa, ma la corte a pagina 11 nuovamente incorre nell’errore affermando che i versamenti venivano effettuati in favore di (omissis) e di alcuni suoi familiari.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 ricorsi sono inammissibili.

Va ribadito in questa sede che al Giudice di legittimità è preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.

Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, è – e resta – giudice della motivazione.

In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965).

La sentenza impugnata risulta congruamente motivata in ordine al giudizio di colpevolezza, in relazione a tutti i profili dedotti dai ricorrenti, e le argomentazioni della corte non risultano apparenti, né “manifestamente” illogiche o contraddittorie.

Per contro deve osservarsi che i ricorrenti, pur deducendo formalmente vizi della motivazione e violazioni di legge nella valutazione del materiale probatorio, reiterano in maniera pedissequa le censure formulate con l’atto di gravame, cui la corte ha fornito esaustive risposte, e tentano in realtà di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito.

Nel caso in esame, inoltre, le due sentenze di primo grado e di appello si integrano reciprocamente e soprattutto la sentenza di primo grado, cui fa rinvio esplicito la sentenza impugnata, espone in maniera dettagliata gli elementi su cui si basa il giudizio di colpevolezza dei due imputati.

2. (omissis) (omissis) ha formulato due censure, quasi sovrapponibili, in ordine alla sussistenza del reato di estorsione.

2.1 La prima censura non può trovare accoglimento poiché introduce dinanzi a questa Corte motivi generici e non consentiti in quanto mirano ad ottenere una diversa valutazione delle fonti probatorie ed invocano una ricostruzione alternativa in punto di fatto della vicenda storica, correttamente esposta e esaustivamente valutata dai giudici di merito; costoro hanno concordemente ritenuto credibile la persona offesa (omissis) (omissis), il quale ha riferito di essere stato costretto per ottenere l’assunzione a tempo determinato, a dichiarare fittiziamente di avere la propria residenza in una delle abitazioni degli imputati, pur essendo già munito di una propria residenza presso la sorella, e a corrispondere una somma di denaro per tale simulata ospitalità.

La circostanza che la corte abbia assolto l’imputato per analoga condotta posta in essere nei confronti degli altri dipendenti è irrilevante, ed anzi conferma la bontà della decisione impugnata, poiché in quei casi è stato dimostrato che l’imputato aveva offerto effettivamente l’alloggio, per un prezzo ritenuto non eccessivo rispetto alle regole di mercato, mentre nei confronti di (omissis) (omissis) si è trattato di un’imposizione fittizia e ingiustificata, finalizzata esclusivamente a giustificare un indebito profitto.

Inoltre la corte ha escluso espressamente che la costrizione operata possa essere stata frutto di una supposizione personale della persona offesa, che ha dichiarato di essersi sentito coartato al riguardo e non può avere equivocato, considerato, peraltro, che la medesima condizione è stata imposta agli altri testi.

Va in questa sede ribadito che ai fini della configurazione del reato estorsivo rilevano – come nel caso di specie – non solo l’attitudine minacciosa della condotta, l’idoneità ad influire sulle scelte personali ole condizioni personali del soggetto passivo, ma anche la personalità sopraffattrice degli imputati ed i poteri in concreto delegati dal datore di lavoro, che aveva attribuito il compito di assumere e gestire i rapporti di lavoro con i connazionali bengalesi, da cui discendeva la possibilità di negare l’assunzione e/o la riassunzione alla scadenza del rapporto lavorativo, trattandosi di dipendenti stagionali e avventizi.

La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che integra il reato di estorsione, e non di truffa aggravata, la minaccia di un male, indifferentemente reale o immaginario, dal momento che identico è l’effetto coercitivo esercitato sul soggetto passivo, tanto che la sua concretizzazione dipenda effettivamente dalla volontà dell’agente, quanto che questa rappresentazione sia percepita come seria ed effettiva dalla persona offesa, ancorché in contrasto con la realtà, a lei ignota. (Sez. 2, Sentenza n. 21974 del 18/04/2017 Ud. (dep. 08/05/2017 ) Rv. 270072 – 01 )

2.2 La seconda censura è reieterativa dei motivi di appello e risulta non supportata da adeguato interesse in quanto si riferisce all’addebito mosso nei confronti del coimputato (omissis).

3. Ricorso (omissis) (omissis).

3.1 La Corte ha risposto alla specifica censura a pagina 13 della sentenza, affermando che seppur non sussista giuridicamente il diritto dei dipendenti al rinnovo del contratto, il male prospettato è considerato fondato, in relazione al globale contesto di consumazione e alle concrete circostanze di necessità di una regolare attività lavorativa, tale da far ritenere sussistente e credibile la minaccia di non proporre il nominativo al datore di lavoro per il rinnovo, così in sostanza provocando il mancato rinnovo del rapporto lavorativo, e quindi un pregiudizio alla persona offesa idoneo ad integrare gli estremi del reato contestato.

3.2 La prospettazione difensiva avanzata con il secondo motivo di ricorso è erronea poiché il discrimen tra truffa ed estorsione è dato dalla costrizione patita dalla persona offesa anche in ordine ad un pericolo immaginario.

Va ribadito che il criterio distintivo tra il delitto di estorsione mediante minaccia e quello di truffa cd. vessatoria consiste nel diverso atteggiarsi del pericolo prospettato, sicché si ha truffa aggravata ai sensi dell’art. 640, comma secondo, n. 2, cod. pen. quando il danno viene prospettato come possibile ed eventuale e mai proveniente direttamente o indirettamente dall’agente, di modo che la persona offesa non è coartata nella sua volontà, ma si determina all’azione od omissione versando in stato di errore, mentre ricorre il delitto di estorsione quando viene prospettata l’esistenza di un pericolo reale di un accadimento il cui verificarsi è attribuibile, direttamente o indirettamente, all’agente ed è tale da non indurre la persona offesa in errore, ma, piuttosto, nell’alternativa ineluttabile di subire lo spossessamento voluto dall’agente o di incorrere nel danno minacciato. (Sez. 2 – , Sentenza n. 24624 del 17/07/2020 Ud. (dep. 01/09/2020) Rv. 279492 – 01).

Ciò è quanto accaduto alla persona offesa, costretta a cedere parte del proprio corrispettivo per garantirsi il diritto al rinnovo contrattuale.

3.3 La terza censura difensiva in ordine all’attendibilità della persona offesa e alle modalità di assunzione delle sue dichiarazioni è stata motivatamente disattesa dalla Corte di merito sul rilievo che “la circostanza che il (omissis) sia indagato ed eventualmente coinvolto nella commissione di un reato non scalfisce la sua credibilità, in ragione della convergenza delle sue dichiarazioni con quelle rese dalla totalità delle altre parti civili e dei riscontri esterni univocamente diretti a confermare la penale responsabilità dell’imputato, dai quali si esclude al di là di ogni ragionevole dubbio la totale estraneità ai fatti di quest’ultimo”.

Giova ricordare che in tema di prova dichiarativa, ai fini dell’attendibilità delle dichiarazioni rese, “allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, prescindendo da indici formali quali l’eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, l’attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, sicché il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità” (Sez. 5, Sentenza n. 39498 del 25/06/2021,Rv. 282030).

La Corte ha motivatamente escluso la sussistenza di una connessione tra il reato ipotizzato dalla difesa dell’imputato nei confronti del (omissis) e quelli oggetto del presente giudizio.

La Corte ha correttamente affermato che le dichiarazioni del (omissis) in quanto persona offesa non richiedono specifici riscontri e invece hanno trovato precisa conferma in quelle delle altre persone offese ma gli imputati sono stati assolti poiché quei dipendenti non usufruivano e non potevano usufruire di una sistemazione alternativa, e quindi il compenso ricevuto è stato ritenuto non integrare un ingiusto profitto, mentre soltanto (omissis), pur potendo dichiarare la residenza presso la sorella, era stato indotto, sotto la minaccia di non venire assunto, a indicare una residenza fittizia e a versare una somma di denaro in relazione a questa.

3.4 Il quarto motivo è inconcludente poiché la circostanza che i versamenti siano stati effettuati in favore di soggetti terzi o familiari e congiunti dell’imputato non costituisce certamente un elemento dirimente ai fini del giudizio di responsabilità, poiché oggetto dell’affermazione di colpevolezza è la condotta dell’imputato che ha costretto sotto minaccia la persona offesa a versare indebitamente le dette somme di denaro, non rilevando l’identità dei soggetti addetti a riscuotere e l’eventuale assenza di un legame di parentela con l’autore della estorsione.

3. Si impone pertanto l’inammissibilità dei ricorsi con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Roma 19 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.