Estorsione aggravata dal metodo mafioso, basta la decisione di merito (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 22 febbraio 2024, n. 8017).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE PENALE

Composta da:

Dott. GEPPINO RAGO – Presidente –

Dott. ANNA MARIA DE SANTIS – Consigliere –

Dott. MARIA DANIELA BORSELLINO – Consigliere –

Dott. SANDRA RECCHIONE – Relatore –

Dott. DONATO D’AURIA – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(omissis) (omissis) nato a GELA il xx/xx/20xx;

avverso l’ordinanza del 26/10/2023 del TRIBUNALE di CALTANISSETTA

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa SANDRA RECCHIONE;

il procedimento si celebra con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d.l. n. 137 del 2020, il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Ettore Pedicini, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

L’Avv. (omissis) (omissis) con note scritte insisteva per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale per le misure cautelari di Caltanissetta respingeva la richiesta di riesame nei confronti dell’ordinanza che aveva applicato a (omissis) (omissis) la custodia in carcere riconoscendo i gravi indizi di colpevolezza per i reati di estorsione aggravata, rapina aggravata, porto d’armi e lesioni aggravate.

2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva:

2.1. violazione di legge (art. 273 cod. proc. pen.; art. 629 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza in relazione al capo a): la motivazione sarebbe apparente e generica, in quanto non sarebbe stato identificato l’effettivo contributo del ricorrente all’azione estorsiva;

2.2. violazioni di legge (art. 273 cod. proc. pen.; art. 628 cod. pen.) e vizio di motivazione in relazione al capo b): i gravi indizi di colpevolezza sarebbero stati ritenuti senza considerare che l’hard disk era stato sottratto dai coindagati (omissis) e (omissis) e che non era stato identificato il contributo concorsuale di (omissis);

2.3. violazione di legge (art. 273 cod. proc. pen.; art. 2, 4 e 7 L. 895 del 1967) e vizio di motivazione in ordine alla ai gravi indizi di colpevolezza in relazione al capo c) non era stato dimostrato che il ricorrente detenesse armi;

2.4. violazione di legge (art. 273 cod. proc. pen.; artt. 628, commi 1 e 3 n. 1) e n. 3), art. 416-bis.1 cod. pen.) e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza delle aggravanti: non sarebbe stata motivata la conoscibilità in capo ricorrente circa l’appartenenza all’associazione mafiosa dei presunti correi, né la riferibilità allo stesso del ricorso all’uso del metodo mafioso e della disponibilità delle armi;

2.5. violazione di legge (art. 274 cod. proc. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari: (omissis) avrebbe reciso i contatti con i correi, il che avrebbe rilievo sulla valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari; comunque il pericolo di reiterazione sarebbe stato ritenuto senza valutare la concreta possibilità che il ricorrente possa porre in essere ulteriori reati; anche gli argomenti spesi per ritenere sussistente il pericolo di inquinamento probatorio non sarebbero persuasivi e non terrebbero conto delle allegazioni difensive;

2.6. violazione di legge (art. 275 cod. proc. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla scelta della misura, che sarebbe stata identificata nella sola gravità dei fatti, senza tenere in considerazione l’idoneità contenitiva di misure meno afflittive; si deduceva che la posizione di (omissis) ed il fatto che lo stesso avesse un’attività commerciale nel luogo in cui lavoravano le persone offese non poteva ridondare sulla valutazione del pericolo cautelare relativo al ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. I primi tre motivi di ricorso non superano la soglia di ammissibilità in quanto si risolvono nella richiesta di rivalutazione della capacità dimostrativa degli elementi di prova posti a sostegno della valutazione circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, senza indicare fratture logiche, carenze motivazionali o discrasie decisive tra la decisione e gli elementi di prova raccolti.

2.1. In materia di estensione dei poteri della Cassazione in ordine alla valutazione della legittimità della motivazione si riafferma che la Corte di legittimità non può effettuare alcuna valutazione di “merito” in ordine alla capacità dimostrativa delle prove, o degli indizi raccolti, dato che il suo compito è limitato alla valutazione della tenuta logica del percorso argomentativo e della sua aderenza alle fonti di prova che, ove si ritenessero travisate devono essere allegate – o indicate – in ossequio al principio di autosufficienza (tra le altre: Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015,0., Rv. 262965).

Deve essere altresì affermato che i contenuti delle intercettazioni, rilevanti nel caso in esame, non possono essere rivalutati in sede di legittimità se non nei limiti del travisamento, che deve essere supportato da idonea allegazione: si riafferma cioè che in sede di legittimità è possibile prospettare un’interpretazione del significato di un’intercettazione “diversa” da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza di travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017 – dep. 12/02/2018, Di Maro, Rv. 272558; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013 – dep. 17/02/2014, Napoleoni e altri, Rv. 259516).

La valutazione della credibilità dei contenuti delle conversazioni captate è infatti un apprezzamento di merito che investe il significato e, dunque la capacità dimostrativa della prova, sicché la sua critica è ammessa in sede di legittimità solo ove si rileva una illogicità manifesta e decisiva della motivazione o una decisiva discordanza tra la prova raccolta e quella valutata.

1.2. Nel caso in esame il ricorrente ha criticato la capacità dimostrativa delle dichiarazioni rese dalle persone offese, nonostante le stesse, come rilevato dai giudici di merito, risultino ampiamente confermate dagli esiti delle intercettazioni ambientali, oltre che dai referti che attestano le gravi lesioni patite dagli offesi all’esito della spedizione punitiva.

E’ stata, inoltre, reiteratamente criticata la mancata “individualizzazione” della motivazione in riferimento al concreto contributo offerto dal ricorrente alla consumazione dei reati contestati.

Si tratta di doglianze manifestamente infondate in quanto sia il Giudice per le indagini preliminari che il tribunale, in sede di riesame, hanno rilevato come l’azione delittuosa manifestati con la consumazione concorsuale di una serie di reati strettamente collegati (estorsione, lesioni, rapina, porto d’armi) sia sostanziata in una vera e propria “spedizione punitiva”; e che la struttura dell’azione delittuosa non consente di ritenere, come sostenuto con il ricorso, né la marginalità del contributo di (omissis), né la mancata condivisione da parte sua del progetto e dell’esecuzione dei delitti contestati.

Dopo una attenta analisi degli elementi di prova raccolti, il tribunale rilevava, infatti, che le risultanze investigative avevano evidenziato la partecipazione di “pari grado” di tutti i coindagati – ad eccezione del (omissis) – nell’esecuzione “materiale” delle condotte violente ed intimidatorie contestate (pagg. 14 e 15 dell’ordinanza impugnata).

Si tratta di una valutazione basata su un’esaustiva analisi delle fonti di prova, oltre che su un’accurata valutazione delle dichiarazioni degli offesi, che non si presta ad alcuna rivalutazione in questa sede e si sottrae ad ogni censura

2. Sono infondate le doglianze proposte con il quarto motivo relativo alla ritenuta sussistenza delle aggravanti della appartenenza all’associazione mafiosa, della consumazione dei fatto in più persone riunite, dell’uso del metodo mafioso e della disponibilità di armi.

2.1. Con riferimento all’aggravante dell'”appartenenza all’associazione mafiosa il collegio riafferma che non è necessario che l’appartenenza dell’agente a un’associazione di tipo mafioso sia accertata con sentenza definitiva, ma è sufficiente che tale accertamento sia avvenuto nel contesto del provvedimento di merito in cui si applica la citata aggravante (Sez. 2, n. 33775 del 04/05/2016, Bianco, Rv. 267850 – 01).

In coerenza con tali indicazioni, il Tribunale rilevava che (omissis) e (omissis), coindagati di (omissis), avevano dichiarato di appartenere all’organizzazione criminale, il che è sufficiente per ritenere sussistente la circostanza.

Il tribunale ha legittimamente ritenuto che l’aggravante in questione fosse imputabile a (omissis) ai sensi dell’art. 59 cod. pen., essendo la stessa relativa a “condizioni e qualità personali del colpevole”, dunque non compresa tra quelle non comunicabili ai concorrenti indicate dall’art. 118 cod. pan. (pagg. 15 e 16 della sentenza impugnata).

2.2. Con riferimento alla consumazione del reato “con armi” ed “in più persone riunite” veniva legittimamente rilevato che si tratta di circostanze oggettive, che si comunicano ai concorrenti e che, pertanto, non potevano che essere riconosciute anche in capo a (omissis), che ha partecipato alla esecuzione materiale dei delitti contestati.

2.3. Anche la circostanza del metodo mafioso veniva riconosciuta attraverso un percorso motivazionale privo di vizi logici: il tribunale rilevava che l’avere ingenerato nelle vittime la consapevolezza che gli agenti appartenessero ad un’associazione mafiosa ed agissero su un mandato della stessa, aveva indotto nelle vittime una particolare soggezione, dato che si risolveva nella concreta evocazione del temibile capitale criminale della “stidda”, mafia storica agente nel territorio dove sono stati consumati i delitti per cui si procede.

3. Nessuna censura può essere, infine, rilevata in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari.

Il tribunale correttamente rilevava che si procede per reati in relazione ai quali è prevista la doppia presunzione di “sussistenza” del pericolo cautelare, e di “adeguatezza” della misura della custodia in carcere.

Sul punto si riafferma che quando si procede per un reato aggravato dall’art. 416-bis.1 cod. pen. e la condotta contestata abbia una correlazione con una mafia storica, cioè con una associazione caratterizzata da un risalente radicamento e da una riconosciuta stabilità, non occorre fornire una specifica motivazione in ordine alla “attualità” del pericolo di reiterazione essendo tale attributo immanente al tipo di reato per cui si procede ed escludibile solo in presenza di prove indicative della rescissione di ogni rapporto dell’accusato con la mafia di riferimento (Sez. 2, n. 26904 del 21/04/2017, Politi, Rv. 270626).

La doppia presunzione, come legittimamente rilevato dal tribunale, nel caso di specie non risultava superabile attraverso la valorizzazione degli argomenti allegati dalla difesa.

Il tribunale rilevava, infatti, che non era rilevante il fatto che il ricorrente fosse incensurato, tenuto conto della gravità della condotta, agita in modo preordinato, concorsuale e con modalità particolarmente gravi; rilevava, altresì, che il tempo decorso dalla consumazione del reato era comunque inferiore a un anno e, pertanto, non idoneo a far ritenere perento il pericolo di reiterazione e che l’interesse del (omissis) condiviso dal ricorrente a svolgere un’attività di rivendita di fiori in concorrenza con le vittime era attuale (pagg. 20 e 21 dell’ordinanza impugnata).

Anche la rilevazione del pericolo di inquinamento probatorio si sottrae ad ogni censura: il tribunale riteneva infatti che le persone offese erano state avvicinate dai parenti degli indagati al fine di indurle a non denunciare e che tale emergenza era indicativa una chiara tensione verso la manipolazione dei testimoni, funzionale ad inquinare le prove dichiarative che dovranno formarsi nel contraddittorio dibattimentale (pag. 21 dell’ordinanza impugnata).

Si tratta di una motivazione che, anche in questo caso, non si presta ad alcuna censura.

4. Infine, legittimamente, il tribunale riteneva adeguata solo la misura della custodia in carcere, valutando come inidonea a contenere i pericoli rilevati ogni misura meno afflittiva.

Segnatamente: si riteneva che la presunzione di adeguatezza della massima cautela fosse suffragata dagli elementi di prova raccolti e che una misura più gradata, quale quella degli arresti domiciliari, anche se applicata con il sistema di controllo del braccialetto elettronico, non sarebbe stata idonea ad impedire la reiterazione anche in considerazione della estrema pericolosità ritenuta rilevata (pag. 22 dell’ordinanza impugnata).

Si tratta di una motivazione che resiste alle censure difensive le quali, invero non si fondano sulla allegazione di decisivi elementi idonei a superare le presunzioni, ma si limitano ad invocare una diversa valutazione della intensità del pericolo e della adeguatezza delle misure per contenerlo.

5. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, dorma 1-ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato si trova ristretto, perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 -bis del citato articolo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. .

Così deciso in Roma, il giorno 24 gennaio 2024.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale –