Non costituiscono intercettazioni le dichiarazioni telefoniche rese in vivavoce di fronte ai carabinieri, nella quali viene ammesso il reato di violenza sessuale ai danni della nipote minorenne, acquisite poi agli atti (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 8 marzo 2024, n. 10079).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE PENALE

Composta da

Dott. Aldo Aceto                                – Presidente –

Dott. Alessio Scarcella                      – Consigliere –

Dott. Antonio Corbo                         – Consigliere –

Dott. Alessandro Maria Andronio  – Relatore –

Dott. Beatrice Magro                        – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

anche nei confronti di: (omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

(parti civili)

avverso la sentenza del 19/12/2022 della Corte di appello di Brescia;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Alessandro Maria Andronio;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Giuseppe Riccardi, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 19 dicembre 2022, la Corte di appello di Brescia ha riformato la sentenza del 14 marzo 2022, con la quale il Gip del Tribunale di Brescia ha condannato l’imputato alla pena di anni 4 e mesi 10 di reclusione, alle pene accessorie, nonché al risarcimento del danno in favore della parte civile, in relazione:

a) ai reati di cui agli artt. 81, secondo comma, 609-bis, 609-ter, primo comma, nn. 1) e 5) cod. pen., per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, con violenza o, comunque, con abuso delle condizioni di inferiorità fisica correlate all’età, costretto la nipote (omissis) (omissis) (omissis) a compiere o, comunque, subire atti sessuali, con una frequenza di circa cinque volte al mese, con le aggravanti di avere commesso il fatto in danno della nipote, prima minore degli anni quattordici e poi minore degli anni diciotto (tra il 2015 e il 19/09/2020);

b) agli stessi reati, per avere, con analoghe modalità, costretto la nipote (omissis) (omissis) (omissis) a compiere o subire atti sessuali, con le aggravanti di aver commesso il fatto in danno della nipote, minore degli anni quattordici (nell’anno 2013).

La Corte di appello, nella specie: ha confermato la sentenza di primo grado in riferimento all’accertamento della responsabilità dell’imputato, rideterminando la pena in anni 6 e mesi 2 di reclusione; ha applicato la pena accessoria dell’interdizione legale; ha sostituito la pena dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici con quella dell’interdizione perpetua.

2. Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.

2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamenta l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità (artt. 228, 267, 268, 350 cod. proc. pen.), per avere la Corte d’appello ritenuto riscontrate le dichiarazioni delle persone offese, poste a fondamento dell’accertamento della responsabilità del ricorrente, in base ad elementi inutilizzabili, ovvero:

a) le dichiarazioni telefoniche di ammissione del fatto rese, durante la fase delle indagini preliminari, dal ricorrente alla madre delle minori, in vivavoce di fronte ai carabinieri con lei presenti, acquisite in atti senza le garanzie previste dagli artt. 267 e 268 cod. proc. pen. in materia di intercettazioni; ne utilizzabili come dichiarazioni rese alla polizia di giudiziaria, per l’assenza del difensore;

b) le dichiarazioni rese in sede peritale, utilizzate nel rito abbreviato per fini diversi da quelli dell’accertamento peritale e rese, inoltre, al di fuori del setting della seduta, in violazione delle regole stabilite dall’art. 228 cod. proc. pen., riferibili anche al giudizio abbreviato.

Si sostiene l’erroneità della conclusione della Corte di merito nella parte in cui afferma che l’inutilizzabilità non modifica il quadro probatorio di riferimento, sul rilievo che tali dichiarazioni sono state prese in considerazione sia nel rafforzamento del convincimento della responsabilità penale sia ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche.

2.2. Si deducono, in secondo luogo, la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, per avere la Corte d’appello ritenuto sussistente l’elemento oggettivo del reato e la gravita di esso, con conseguente esclusione dell’attenuante della minore gravita.

In relazione al primo profilo, si deduce la carenza di motivazione in ordine all’inattendibilità delle persone offese, ricavabile dal ritardo nella presentazione della querela, di mesi successiva all’epoca dei fatti, nonché, nel caso delle dichiarazioni rese da (omissis) (omissis) dalla genericità delle sue affermazioni accusatorie, suggestionate dal contesto familiare.

In relazione al secondo profilo, si sostiene che la motivazione in ordine alla valutazione globale del reato, da cui dedurne la gravità, non si é confrontata con le deduzioni relative alla  tenuità  del  fatto, denunciate come un unico episodio, alla lieve compromissione della libertà sessuale, all’assenza di coartazione fisica e alla mancata consumazione di un rapporto sessuale completo.

2.3. In terzo luogo, si denunciano carenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, per avere la Corte d’appello ritenuto sussistente l’elemento soggettivo dei reati, trascurando le risultanze probatorie relative al quadro clinico del ricorrente, che indicavano il suo stato di declino fisico e psichico, che ne avrebbe alterato la percezione della realtà al tempo dei fatti.

2.4. Una quarta censura é riferita all’errata applicazione della legge penale e a vizi della motivazione, quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche.

Si lamenta, sul punto, che la Corte territoriale ha: valorizzato contro l’imputato le summenzionate risultanze inutilizzabili; non ha tenuto conto che tali risultanze sono state già impiegate per fondare l’applicazione delle aggravanti e perciò non possono essere richiamate anche per negare le attenuanti generiche; non ha considerato l’elemento positivo dello stato di declino psico-fisico ne il corretto comportamento processuale del ricorrente.

3. Con successiva memoria, l’imputato ha ribadito quanto già dedotto.

4. Le parti civili, tramite il difensore, hanno presentato memoria – con la quale si censurano le argomentazioni poste a sostegno del ricorso dell’imputato, aderendo alle motivazioni dei giudici di merito – e nota spese.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. II ricorso é inammissibile.

1.1. II primo motivo – con cui si eccepisce l’inutilizzabilità delle dichiarazioni confessorie rese dall’imputato nel corso del colloquio telefonico con la figlia e in sede di espletamento dell’incarico peritale – è inammissibile.

Va infatti ricordato che, in tema di ricorso per cassazione, é onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l’inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì l’incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, si da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (ex plurimis, Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Rv. 243416); in altri termini, il motivo di impugnazione deve illustrare l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (ex plurimis, Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, Rv. 269218; Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, dep. 2015, Rv. 262011).

Nel caso di specie, l’imputato non ha assolto a tale onere, mentre la sentenza impugnata ha chiarito la non decisività delle dichiarazioni confessorie, a fronte di un quadro probatorio già cristallizzato dalle attendibili affermazioni delle vittime e del video dei palpeggiamenti ripreso dal fratello di queste; elementi non puntualmente presi in considerazione dalla difesa neanche a fini di critica.

II motivo é altresì manifestamente infondato, in quanto le intercettazioni regolate dagli artt. 266 e segg. cod. proc. pen. consistono nella captazione occulta e contestuale di una comunicazione o conversazione tra due o più soggetti che agiscano con l’intenzione di escludere altri e con modalità oggettivamente idonee allo scopo, attuata da soggetto estraneo alla stessa mediante strumenti tecnici di percezione tali da vanificare le cautele ordinariamente poste a protezione del suo carattere riservato.

Ne consegue che la registrazione fonografica di un colloquio, svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, ad opera di un soggetto che ne sia partecipe, o comunque sia ammesso ad assistervi, non é riconducibile, quantunque  eseguita  clandestinamente,  alla  nozione  di  intercettazione, ma costituisce forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l’autore può disporre legittimamente, anche a fini di prova nel processo secondo la disposizione dell’art. 234 cod. proc. pen., salvi gli eventuali divieti di divulgazione del contenuto della comunicazione che si fondino sul suo specifico oggetto o sulla qualità rivestita dalla persona che vi partecipa (ex plurimis, Sez. 2, n. 40148 del 06/07/2022, Rv. 283977; Sez. 2, n. 12347 del 10/02/2021, Rv. 280996; Sez. U, n. 6747 del 28/05/2003, Rv. 225465); nel medesimo senso, si é chiarito che la trascrizione della conversazione intercorsa tra la vittima e l’autore di condotte estorsive ed usurarie, portata a conoscenza delle forze dell’ordine per iniziativa della stessa persona offesa mediante l’inoltro della chiamata in corso sull’utenza delia polizia, che provveda immediatamente alla sua registrazione tramite l’applicazione call recorder, costituisce forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, utilizzabile in dibattimento quale prova documentale, ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 26766 del 06/07/2020, Rv. 279653). Tali principi trovano applicazione nel caso in esame, in cui la conversazione si é tenuta in vivavoce.

Infine, relativamente alle dichiarazioni rese a margine delle attività peritali – in ogni caso prive di rilevanza probatoria sul piano sostanziale – la difesa trascura di considerare che la Corte territoriale ne ha già dichiarato l’inutilizzabilità.

1.2. II secondo motivo, con cui si contesta l’affermazione di responsabilità con riferimento al capo b) dell’imputazione, é inammissibile, perché, oltre ad essere generico, propone doglianze eminentemente di fatto, che sollecitano, in realtà, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una “rilettura” (peraltro parcellizzata) degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione é, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (ex plurimis, Sez:. 5, n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970).

La difesa si limita a richiamare elementi la cui irrilevanza é già stata presa in considerazione dai giudici di primo e secondo grado: quali il ritardo nella denuncia, la genericità di alcune dichiarazioni accusatorie, le pretese suggestioni dell’ambiente familiare.

Anche quanto al mancato riconoscimento dell’ipotesi di minore gravita, la doglianza é generica e valutativa, in quanto non si confronta con la sentenza impugnata, che ha correttamente escluso l’applicabilità dell’attenuante, sul rilievo del grave trauma provocato (pag. 9 della sentenza).

1.3. II terzo motivo – con cui si contesta la configurabilità del dolo, richiamando il declino cognitivo e la sindrome depressiva dell’imputato – é inammissibile, in quanto, oltre a sollecitare una rivalutazione del merito, é altresì manifestamente infondato, trattandosi di condizioni psicofisiche che –  anche se ritenute sussistenti – non inciderebbero sul dolo, ma al più sull’imputabilità; ma, al riguardo, la perizia ha escluso qualsiasi compromissione della capacita di intendere e di volere.

1.4. II motivo con cui si contesta il diniego delle circostanze attenuanti generiche é inammissibile.

Premesso che, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione é insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (ex plurimis, Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269), va ribadito che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positive.

Infatti, non é necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma é sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (ex plurimis, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549 – 02).

Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha evidenziato l’assenza di elementi favorevoli valutabili ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche, a fronte di elementi negativi significativi, come la gravita delle condotte, la reiterazione delle stesse, la pluralità delle persone offese, l’esistenza di rapporti di discendenza.

2. II ricorso, per tali motivi, deve essere dichiarato inammissibile.

Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.

3. L’imputato deve essere anche condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, da liquidarsi in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Condanna inoltre l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.

Così deciso il 10/11/2023.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 del d.lgs. n. 196 del 2003, in quanto imposto dalla legge.

Depositato in Cancelleria, oggi 8 marzo 2024.

SENTENZA