Tentato omicidio per il marito che solleva la moglie stringendola per il collo (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 7 dicembre 2023, n. 48845).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE PENALE

Composta da:

Dott. GIACOMO ROCCHI – Presidente –

Dott. GIUSEPPE SANTALUCIA – Consigliere –

Dott. STEFANO APRILE – Consigliere –

Dott. MARCO MARIA MONACO – Consigliere –

Dott. MARIA ELENA MELE – Relatore –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

suI ricorso proposto da:

(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 20/09/2022 della CORTE APPELLO di BRESCIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa MARIA ELENA MELE;

lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa MARIELLA DE MASELUS, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Ritenuto in fatto

1. La Corte d’appello di Brescia, confermando la sentenza del Tribunale della stessa città, ha ritenuto (omissis)(omissis) colpevole del delitto di tentato omicidio della moglie e di maltrattamenti in famiglia, condannandolo alla pena di dieci anni di reclusione, oltre al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili costituite.

Risulta dalla sentenza che alle ore 18.25 del {omissis) aveva chiesto l’intervento dei carabinieri in quanto il marito aveva tentato di strangolarla.

Dalle dichiarazioni rese dalla donna e confermate dal figlio minore, rese nel corso delle indagini preliminari e quindi confermate in incidente probatorio, che era intervenuto in aiuto della madre, il (omissis) aveva afferrato la donna per il collo, l’aveva spinta contro il muro e, esercitando una pressione crescente, l’aveva sollevata da terra, provocandone l’offuscamento delta vista e una momentanea perdita di conoscenza. L’azione era stata interrotta dall’intervento del figlio che aveva afferrato le braccia del padre e lo aveva indotto a lasciare la presa. Dal referto del pronto soccorso era risultato che (omissis) presentava in regione laterocervicale quattro aree ecchimotiche di circa 5 cm x 1 cm.

Le dichiarazioni della (omissis) e del figlio avevano altresì messo in luce il quadro di maltrattamenti cui la donna era stata sottoposta per anni e che erano state sostanzialmente confermate dalle spontanee dichiarazioni rese dal (omissis).

2. Avverso tale sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione.

Con un unico articolato motivo deduce la violazione di legge e vizio di motivazione in quanta la Corte territoriale avrebbe pretermesso elementi di prova a discarico del ricorrente, che avrebbero consentito una lettura diversa degli eventi, in quanto sarebbero incompatibili con la idoneità dell’azione a cagionare la morte delta persona offesa.

In particolare, la difesa rileva che, benché l’area interessata dalle ecchimosi fosse costituita dal collo, tuttavia le lesioni non avevano interessato la regione cervicale, ne quella carotide e laringea, ma unicamente in regione laterocervicale destra del collo. Ciò attesterebbe l’inidoneità dell’azione a provocare la morte.

Nello stesso senso deporrebbero altri elementi trascurati dalla Corte territoriale e cioè la circostanza che la presa del collo era avvenuta con la mano sinistra da parte di soggetto destrorso non dotato di particolare muscolatura, il mancato utilizzo della mano destra e l’aver sollevato la persona offesa da terra. Tali elementi attesterebbero la scarsa carica lesiva dell’azione e dunque la mera volontà dell’imputato di ledere.

Inoltre, mancherebbero segni clinici premonitori dell’evento morte, non essendo l’annebbiamento della vista della persona offesa, valorizzato dai giudici di merito, un parametro tecnico-scientifico, ed essendo comunque smentito dal referto del Pronto soccorso.

3. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.

4. La parte civile costituita, (omissis) (omissis) ha depositato memoria chiedendo il rigetto del ricorso.

5. Le parti civili costituite (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) e (omissis) in persona del curatore speciale, hanno depositato memoria chiedendo il rigetto del ricorso.

Considerato in diritto

1. II ricorso é inammissibile.

2. Le censure mosse dalla difesa del (omissis) alla sentenza impugnata, oltre ad essere aspecifiche in quanto meramente reiterative delle analoghe censure proposte con i motivi di appello, anziché denunciare lacune e incongruenze effettivamente esistenti nel percorso argomentativo sviluppato dai giudici di appello, si risolvono in censure in fatto che comportano per il loro accoglimento una diversa lettura dei dati processuali oppure una diversa interpretazione delle prove, entrambe non consentite al giudice di legittimità.

3. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, infatti, «eccede dai limiti di cognizione della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che ii controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità e circoscritto, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., alla sola verifica dell’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile» (Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Chen, Rv. 284556 – 01).

In sostanza, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F. Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).

Più in generale, si é affermato che, con il ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, cosi come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747).

4. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha tenuto puntualmente conto degli elementi che, secondo il (omissis) avrebbero escluso l’idoneità dell’azione a cagionare la morte della persona offesa, nonché la sussistenza dell’animus necandi.

In modo argomentato e analitico la sentenza impugnata, dopo aver descritto la condotta dell’imputato, il quale aveva afferrato la moglie per il collo, l’aveva spinta contro il muro e l’aveva sollevata da terra, provocandone il temporaneo offuscamento della vista e la momentanea perdita di conoscenza, ha spiegato, avvalendosi delle risultanze della perizia, che il collo e sede di organi vitali e che la loro compromissione può determinare gravi conseguenze, che da un iniziale venir meno della coscienza – come avvenuto nella specie – possono condurre alla morte.

La Corte ha altresì evidenziato che, non solo la sede corporea attinta, ma anche le modalità dell’azione, ed in particolare le caratteristiche del mezzo utilizzato confermavano l’idoneità dell’azione a cagionare la morte della vittima.

Essa, invero, era resa evidente dalla intensità della presa esercitata sul collo, che era stata tale da cagionare le quattro ecchimosi riscontrate al pronto soccorso, dell’ampiezza di 5 cm x 1 cm, tre con andamento oblique e tra loro parallele e una verticale. Altrettanto significativo della forza utilizzata era stato l’annebbiamento della vista e la temporanea perdita della coscienza cagionata alla (omissis).

La Corte territoriale ha altresì spiegato in modo ineccepibile che tali circostanze erano di pregnanza tale da rendere irrilevante che la persona offesa non presentasse i sintomi indicati dal consulente della difesa (disfonia, disfagia, scialorrea o dispnea).

Conferma della intensità della forza utilizzata dal (omissis) – e dunque infondatezza della tesi difensiva secondo cui il ricorrente non avrebbe esercitato una pressione intensa – é stata rinvenuta nelle spontanee dichiarazioni dello stesso ricorrente, che aveva riconosciuto di avere stretto troppo la presa.

Le argomentazioni svolte dai giudici del merito risultano senz’altro coerenti con l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo la quale l’idoneità degli atti, richiesta per la configurabilità del reato tentato, deve essere valutata con giudizio ex ante, tenendo conto delle circostanze in cui opera l’agente e delle modalità dell’azione, in modo da determinarne la reale adeguatezza causale e l’attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto (ex plurimis, Sez. 1, n. 11928 del 29/11/2018, dep. 18/03/2019, Comelti, Rv. 275012; Sez. 1, 4.3.2010, n. 27918, Rv. 248305).

Inoltre, i giudici di legittimità hanno costantemente affermato che «in tema di delitti contro la persona, per distinguere ii reato di lesione personale da quello di tentato omicidio, occorre avere riguardo sia al diverso atteggiamento psicologico dell’agente sia alla differente potenzialità dell’azione lesiva, desumibili dalla sede corporea attinta, dall’idoneità dell’arma impiegata nonché dalle modalità dell’atto lesivo (Cass. Sez. 1, 27.11.2013, n. 51056, Rv. 257881; Sez. 1, n. 24173 del 05/04/2022, Rusu, Rv. 283390).

5. Nel caso di specie, la Corte territoriale, al fine di ritenere integrati i presupposti del delitto di tentato omicidio ha evidenziato come le modalità dell’azione, ed in particolare la veemenza della condotta, la forza esercitata sulla vittima, nonché la circostanza che l’aggressione era stata interrotta solo dall’intervento del figlio minore, sopraggiunto in aiuto della madre, evidenziassero sia l’idoneità delta condotta del ricorrente a cagionare la morte della moglie, sia la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di omicidio, quantomeno nella forma del dolo alternativo.

In definitiva, giudici del merito si sono correttamente attenuti all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la scarsa entità (o anche l’inesistenza) delle lesioni provocate alta persona offesa non sono circostanze idonee ad escludere di per se l’intenzione omicida, in quanto possono essere rapportabili anche a fattori indipendenti dalla volontà dell’agente, come un imprevisto movimento delta vittima, un errato calcolo della distanza o una mira non precisa, ovvero, come nella specie, all’intervento di un terzo (Sez. 1, n. 52043 del 10/06/2014, Vaghi, Rv. 261702 – 01; Sez. 1, n. 48681 del 14/09/2022, n.m.; Sez. 1, n. 24173 del 05/04/2022, Rusu, Rv. 283390 – 01; Sez. 1, n. 45332 del 02/07/2019, Rv. 277151 – 01).

Trattasi di argomentazioni assolutamente adeguate e congrue, che le censure difensive non riescono a disarticolare.

6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – non escludendosi profili di colpa nella proposizione della impugnazione (cfr. Corte Cost. sent. n. 186 del 2000) – al versamento in favore della Cassa delle ammende della somma che la Corte determina nella misura congrua ed equa di euro tremila.

7. Segue altresì la condanna del ricorrente alla refusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (omissis). (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) ammessi al patrocinio a spese dello Stato.

Ai fini della liquidazione di detti compensi, si dispone la restituzione degli atti alla Corte d’Appello di Brescia, che ha emesso il provvedimento impugnato, «posto che la Corte di cassazione può accedere agli atti esclusivamente ai fini della rilevazione di eventuali vizi processuali verificatisi nel corso del giudizio e, pertanto, non ha la piena disponibilità materiale e giuridica degli stessi, che devono essere restituiti, con pienezza di accesso, al giudice di merito una volta definito il giudizio di legittimità» (Sez. 3, n. 41525 del 15/12/2016, dep. 2017, Amato, Rv. 271339).

8. In caso di diffusione del presente provvedimento, devono essere omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52, d.lgs. n. 196/03 in quanto imposto dalla legge.

PQM

Dichiara inammissibile ii ricorso e condanna ii ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) e (omissis) gli ultimi tre in persona del curatore speciale, ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte d’appello di Brescia con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83, d.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52, d.lgs. n. 196/03 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 luglio 2023.

Depositato in Cancelleria, oggi, Roma lì 7 dicembre 2023.

SENTENZA