La presenza di una buca nell’asfalto stradale non giustifica il risarcimento, da parte del comune, per il danno subito dal motociclista caduto mentre teneva una condotta di guida imprudente (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 8 settembre 2023, n. 26209).

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

GIACOMO TRAVAGLINO -Presidente

ENRICO SCODITTI            -Consigliere

CHIARA GRAZIOSI            -Consigliere – Rel.

EMILIO IANNELLO            -Consigliere

STEFANIA TASSONE         -Consigliere

ORDINANZA

sul ricorso 13627/2020 proposto da:

(omissis) (omissis) rappresentato e difeso dall’avvocato (omissis) (omissis);

-ricorrente-

contro

Comune di (omissis) in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato (omissis) (omissis);

-controricorrente-

avverso la sentenza n. 480/2019 della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI SASSARI, depositata il 22/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/5/2023 dal Consigliere, dott.ssa CHIARA GRAZIOSI:

Rilevato che:

Il Tribunale di Sassari, con sentenza n. 1340/2015, accoglieva la domanda risarcitoria ex articolo 2051 c.c. proposta da (omissis) (omissis) nei confronti del Comune di (omissis) in relazione a una caduta del motociclo che sarebbe avvenuta per una buca sull’asfalto stradale in ora notturna l'(omissis) e condannava quindi il Comune a risarcire all’attore il danno non patrimoniale (identificato in lesione fisica e spese mediche) e patrimoniale (identificato in danno al motociclo).

Il Comune proponeva appello, cui controparte resisteva.

La Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con sentenza n. 480/2019, accoglieva il gravame, ritenendo che l’appellato avesse tenuto una condotta imprudente tale da integrare il caso fortuito.

Il (omissis) ha presentato ricorso, articolato in tre motivi, da cui il Comune si è difeso con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Considerato che:

1. Il primo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, 3 c.p.c., violazione degli articoli 1227, 2043 e 2051 c.c.

La Corte d’appello avrebbe errato basando la sentenza soltanto sulla condotta negligente della vittima – dal ricorrente comunque negato – in quanto la mera disattenzione non integrerebbe il caso fortuito, occorrendo condotta imprevedibile dal custode perché eccezionale e quindi frangente il nesso causale.

Mancherebbe l’accertamento della prevedibilità del fatto da parte del custode. Peraltro, si riconosce che dall’istruttoria emerge chiaramente che da tempo il luogo era dissestato.

2. Il secondo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n. 5 c.p.c., violazione degli articoli 1227 e 2051 c.c. in relazione ad omesso esame di fatto discusso e decisivo.

Si richiamano elementi relativi alla condizione del luogo come da tempo dissestato per negare che vi sia prova che la condotta del ricorrente abbia avuto l’autonomia, la eccezionalità, la imprevedibilità e la inevitabilità richieste dagli articoli 1227 e 2051 c.c.

La condotta della vittima potrebbe invero costituire caso fortuito soltanto, appunto, se fosse stata imprevedibile, eccezionale e inevitabile, così spezzando il nesso causale sussistente tra la cosa custodita e l’evento lesivo.

3. Il terzo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma, n. 4 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2051 c.c., 112 e 115 c.p.c.

Il giudice d’appello sarebbe incorso in errore di percezione delle fotografie prodotte dal (omissis) delle testimonianze.

Viene citata la giurisprudenza riconducibile alla linea che consente di denunciare al giudice di legittimità travisamento della prova.

4. Anteriormente a procedere all’esame dei primi due motivi, che deve essere ictu oculi congiunto per il loro assimilabile contenuto, è opportuno riassumere la giurisprudenza che si è ormai radicalmente

4.1. Invero, nell’anno 2018 questa Terza Sezione Civile effettuò un intervento nomofilattico in tema di responsabilità per cose in custodia (art. 2051 c.c.), essendo consapevole della necessità di un riordino ermeneutico in una materia particolarmente rilevante per gli aspetti giuridici, sociali ed economici, coinvolgenti soggetti sia privati che pubblici. Nell’anno 2022, poi, è anche pervenuta S.U. ord. 30 giugno 2022 n. 20943.

La materia dunque si chiarisce definitivamente attraverso le seguenti considerazioni.

A. È ormai indiscutibile che la responsabilità di cui all’art. 2051 c. è di natura oggettiva, come affermato da questa sezione con le pronunce nn. 2477-2483 rese pubbliche in data 1/02/2018, alla luce delle origini storiche della disposizione codicistica, dell’affermazione di fattispecie di responsabilità emancipate dal principio di nessuna responsabilità senza colpa, dei criteri di accertamento del nesso causale e della esigibilità (da parte dei consociati) di un’attività di adeguamento della condotta in rapporto alle diverse contingenze nelle quali entrino in contatto con la cosa custodita da altri.

B. Tale qualificazione è stata convalidata dall’appena richiamata pronuncia delle Sezioni Unite, la quale, dopo aver diacronicamente illustrato il percorso della giurisprudenza di questa sezione, così ha ribadito: «La responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, e non presunto, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode».

C. Detta pronuncia delle Sezioni Unite precisa altresì come segue in via generale (si vedano i punti 4. e ss. della motivazione):

a) “l’art. 2051 c.c., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima”;

b) “la deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell’ 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l’evento dannoso”;

c) “il caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode; peraltro le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del tempo dall’accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere”;

d) “il caso fortuito, rappresentato dalla condotta del danneggiato, è connotato dall’esclusiva efficienza causale nella produzione dell’evento; a tal fine, la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione anche ufficiosa dell’art. 1227 c.c., comma 1; e deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost.;

e) quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale”.

4.2. Il fondamento della responsabilità del custode riposa, dunque, su elementi di fatto individuati tanto in positivo – la dimostrazione che il danno è in nesso di derivazione causale con la cosa custodita (la sequenza è quella che muove dall’accertamento di un danno giuridicamente rilevante per risalire alla sussistenza di una relazione causale tra l’evento dannoso e la cosa custodita e si chiude con l’imputazione in capo al custode dell’obbligazione risarcitoria, dalla quale il custode si libera provando il caso fortuito) – quanto in negativo (l’inaccettabilità di una mera presunzione di colpa in capo al custode e l’irrilevanza della prova di una sua condotta diligente).

4.3. Nel confermare tali principi, seguendo appunto le Sezioni Unite, occorre altresì precisare, sul piano della struttura della fattispecie (non su quello degli effetti, definitivamente chiariti dal massimo giudice nomofilattico), che il caso fortuito è un fatto giuridico e si colloca in relazione causale diretta, immediata ed esclusiva con la res, senza l’interposizione di alcun elemento soggettivo, laddove la condotta del terzo e la condotta del danneggiato rilevano come atti giuridici caratterizzati dalla colpa (art. 1227, primo comma, c.), con rilevanza causale esclusiva o concorrente (sul concorso tra causa umana e causa naturale, Cass. 21619/2007), intesa, nella specie, come caratterizzazione di una condotta oggettivamente imprevedibile da parte del custode.

4.4. Va ancora osservato, in proposito, che sia il fatto (fortuito) che l’atto (del terzo o del danneggiato) si pongono in relazione causale con l’evento di danno non nel senso della (impropriamente definita) “interruzione del nesso tra cosa e danno“, bensì alla luce del principio disciplinato dall’art. 41 c.p., che relega al rango di mera occasione la relazione con la res, deprivata della sua efficienza di causalità materiale, senza peraltro cancellarne l’efficienza causale sul piano strettamente naturalistico.

Ciò tanto nell’ipotesi di efficacia causale assorbente, quanto in quella di causalità concorrente di tali condotte, poiché, senza la preesistenza e la specifica caratterizzazione della res, il danno non si verificherebbe (esemplificando: una strada perfettamente asfaltata e senza buche non sarà in relazione causale, se non naturalistica, con il danno subito dal pedone che inciampa nei suoi piedi).

4.5. Il dato normativo va, pertanto, applicato governando la costruzione funzionale dell’illecito e raccordandola con la modulazione dei rimedi ad esso conseguenti, vale a dire tenendo conto che il sistema risarcitorio si fonda non solo sulla capacità preventiva della colpa (giustizia correttiva), ma anche sul soddisfacimento di esigenze meramente compensative (giustizia redistributiva, cioè il trasferimento del peso economico di un evento pregiudizievole dal danneggiato a chi abbia la signoria sulla cosa) e, non da ultimo, muovendosi con la consapevolezza che quello causale, essendo un “giudizio” utilizzato per allocare i costi del danno, deve essere calibrato in relazione alla specifica fattispecie di responsabilità; costituisce, infatti, il proprium della responsabilità civile il presentarsi “a geometria variabile, perché moltiplica le sue possibilità a seconda degli istituti con cui si fonde, facendo scattare principi anche solo lievemente diversi ma con implicazioni notevoli sulla allocazione finale dei costi, sulla prevenzione, sulla sostenibilità nel tempo della sua promessa (il risarcimento del danno)“.

4.6. L’irrilevanza della colpa quale criterio per risalire al responsabile è condizione necessaria ma non sufficiente per attribuire alla responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. natura oggettiva. Essa supera i modelli di ragionamento che invocano la presunzione di colpa, la quale individua il fondamento della responsabilità pur sempre nel fatto della persona che è il custode, che non sia rispettoso del suo dovere di controllo e vigilanza affinché la cosa non produca danno a terzi (Cass. 20/05/1998, n. 5031), ma non anche della teoria del riconoscimento di una presunzione di responsabilità in capo al custode, giustificata ritenendo che, se la cosa fosse stata ben governata e controllata, non avrebbe arrecato alcun danno, mentre se il danno si verifica (fatto noto) si presume che ciò sia avvenuto perché la cosa non è stata adeguatamente custodita (fatto ignoto); da tale presunzione di responsabilità il custode si libererebbe dimostrando, in ragione dei poteri che la particolare relazione con la cosa gli attribuisce, che il danno si è verificato in modo non prevedibile né superabile con lo sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso.

4.7. Ritenere che sul custode gravi una presunzione di responsabilità – esclusa espressamente, come si è detto, dalla già ricordata pronuncia delle Sezioni Unite – è indice di una resistenza ad emanciparsi dalla colpa che, infatti, viene evocata in via surrettizia non per fondare, come regola, la responsabilità del custode, ma (comunque) per escluderla come eccezione.

La capacità di vigilare la cosa, di mantenerne il controllo e di neutralizzarne le potenzialità dannose, infatti, non è elemento costitutivo della fattispecie di responsabilità, bensì elemento estrinseco del quale va tenuto conto seguendo il canone interpretativo della ratio legis, cioè come strumento di spiegazione di “un effetto giuridico che sta a prescindere da essi“.

L’intento di responsabilizzare il custode della res o quello di controbilanciare la signoria di fatto concessagli dall’ordinamento perché ne tragga o possa trarne beneficio sulla cosa con l’obbligazione risarcitoria (Cass. 01/02/2018, n. 2480, § § 11 e 12) possono essere criteri di spiegazione della regola scelta per allocare il danno, ma non sono elementi costitutivi della regola di fattispecie né elementi di cui tener conto per escludere l’obbligazione risarcitoria in capo al custode.

4.8. Non è stata fornita una definizione normativa della custodia da parte del legislatore del 1942 perché l’art. 2051 c. si è limitato a tradurre l’espressione francese sous sa garde presente nell’art. 1384, 1° comma, Code Napoleon.

Questa Corte (S.U. 11/11/1991 n. 12019) ha tuttavia avuto già occasione di rilevare le diverse accezioni della portata della custodia come criterio di determinazione della responsabilità rinvenibili dalle fonti romane, raggruppandole nelle seguenti categorie:

a) quella che si correla alla configurazione giustinianea per cui la custodia non è che un particolare tipo di diligentia;

b) quella custodiendae rei, la quale rimane un criterio soggettivo di responsabilità;

c) quella più recente che individua il concetto di custodia nella responsabilità oggettiva.

A quest’ultima, che “si concretizza in un criterio oggettivo di responsabilità, intendendo per tale quello che addossa a colui che ha la custodia della cosa la responsabilità per determinati eventi, indipendentemente dalla ricerca di un nesso causale fra il comportamento del custode e l’evento“, ha ricondotto quella rilevante ex art. 2051 c.c.

4.9. Non può mettersi in dubbio che, per individuare il responsabile, non debba farsi riferimento alla custodia di fonte contrattuale (Cass. 18/2/2000, 1859; Cass. 20/10/2005, n. 20317), in quanto l’art. 2051 c.c. attiene ai rapporti con i terzi danneggiati dalla cosa oggetto di custodia, né possono nutrirsi riserve circa il fatto che, trattandosi di una relazione meramente fattuale, non sia giustificato un mero rinvio ad altri istituti come la proprietà, i diritti reali minori, il possesso, la semplice detenzione; la relazione giuridica con la cosa non è elemento costitutivo della responsabilità, a differenza di quanto previsto dagli artt. 2052, 2053, 2054 c.c., onde responsabile ex art. 2051 c.c. può ben essere un soggetto diverso da quello che abbia un titolo giuridico sulla res (Cass. 6/7/2006, n. 153684), dato  che  rileva  esclusivamente  la  relazione  di  fatto  di  natura custodiale, a prescindere anche dall’essere titolata. L’applicazione dell’art. 2051 c.c. si arresta soltanto dinanzi alle cose insuscettibili di custodia in termini oggettivi (acqua, aria), come rileva Cass. 20/2/2006, n. 3651.

4.10. L’indeterminatezza della nozione di caso fortuito, talvolta declinato in termini di polivalenza, consente (è bensì vero) di considerare il fortuito tanto come limite della responsabilità per colpa quanto come limite della causa di imputazione della responsabilità. Peraltro, quando il caso fortuito è evocato espressamente da una norma, come in questo caso, la sua nozione deve essere riempita di contenuto in correlazione con il contesto e con la ratio legis.

Per quanto non decisivo, orienta in tal senso anche il tenore letterale dell’art. 2051 c.c. (“Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito“) se confrontato con quelli dell’art. 2050 c.c. (“Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno“), dell’art. 2053 c.c. (“Il proprietario di un edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina, salvo che provi che questa non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione“) e dell’art. 2054 c.c. (“Il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno“).

4.11. Il contenuto della prova liberatoria non solo è stato tipizzato dal legislatore, ma è stato altresì differenziato secondo la regola di fattispecie di volta in volta presa in considerazione; quando la prova liberatoria è costituita dalla ricorrenza del caso fortuito (cfr. pure l’art. 2052 c.: “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito“) è segno che il legislatore non ha inteso che il custode (o il responsabile di cui all’art. 2052 c.c.) possa liberarsi provando di avere tenuto un comportamento diligente volto ad evitare il danno né la dimostrazione che il danno si sarebbe verificato nonostante la diligenza da lui esigibile, data l’imprevedibilità e l’inevitabilità dell’evento dannoso, e tantomeno che l’intervento del caso fortuito abbia reso oggettivamente impossibile la custodia (utili indicazioni a supporto, ma con carattere di minore prossimità, possono trarsi anche dalle ipotesi in cui il legislatore non ha previsto la prova liberatoria, come nelle ipotesi di cui all’art. 2049 c.c. e all’art. 114 Cod. consumo).

5. Premessi questi principi di massima, si possono ora esaminare i primi due motivi del ricorso.

Mediante entrambi i motivi – ut supra già si accennava, li accomuna la stessa sostanza – si mira a una impostazione diversa rispetto a quella, appena evidenziata, dell’insegnamento nomofilattico. Il legislatore non ha stabilito la liberazione del custode nella prova della sua diligente custodia, eppure è proprio a questo obiettivo che, a ben guardare, si rapportano le censure del ricorrente, sostenendo infatti che il custode non avrebbe potuto prevedere il fatto.

Una siffatta prospettazione non è accoglibile, e quindi – a prescindere dall’ulteriore rilievo che i motivi inseriscono anche una inammissibile diretta critica sul piano fattuale – conduce al rigetto dei primi due motivi del ricorso.

6. Infine, il terzo motivo risulta palesemente inammissibile, in quanto la pretesa sussistenza di un errore di percezione da parte del giudice d’appello non è arredata con la necessaria dimostrazione della concreta decisività degli elementi probatori che non sarebbero stati percepiti.

7. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di € 3100, oltre a € 200 per gli esborsi, al 15% per spese generali e agli accessori di legge.

Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma il 23 maggio 2023

Il Presidente

Dott. Giacomo Travaglino

Depositato in Cancelleria l’8 settembre 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.